Joaquin Phoenix ci ha abituati ad interpretazioni sempre impeccabili e, nel corso degli anni, è diventato decine e decine di uomini diversi.
Ma quando si interpreta il Joker, non si diventa qualcuno, si diventa un’emozione, una sofferenza, un’anima errante alla disperata ricerca della felicità e un certo livello interpretativo può travolgere l’attore al punto tale che il personaggio prende il sopravvento. Dunque così come fu per Heath Ledger, il Joker si è appropriato di una consistente parte della vita di Joaquin Phoenix. Com’è stato per lui vestire i panni di Arthur Fleck?
Joaquin ha recentemente rivelato gli aspetti più difficili ed interessanti della sua esperienza con il personaggio di Joker: ‘Ho perso quasi 25 chili. Ogni giorno mi alzavo con la paura di essere ingrassato: è una situazione assurda, quasi una malattia. Ma ho scoperto che senza tutto quel peso addosso ero molto più fluido, potevo fare movimenti che prima non sarei stato in grado di fare. Il lato negativo è che ero spesso di cattivo umore, sempre affamato e abbastanza debole. Però alla fine era proprio quello lo stato d’animo giusto per il Joker, uno che cerca di combattere i suoi seri problemi psicologici. La risata che incarna la fragilità del suo stato d’animo. È una risata dolorosa che nasce dal fondo dell’anima, disperata, più triste che felice. E poi il modo in cui si muove: ci sono momenti in cui danza in modo così leggero che sembra sollevarsi dalla tristezza del mondo in cui vive. Per questo mi sono ispirato a Ray Bolger, lo spaventapasseri de Il mago di Oz. Adoro il fatto che il suo personaggio risplenda attraverso la danza, la musica, le note, i solfeggi. Il mio Joker ha dei movimenti un po’ meccanici, un modo di gesticolare e muovere la testa che denota un’arroganza quieta prima … della tempesta. Spesso combinavo danza moderna e musica disco: il bello del Joker è che è davvero imprevedibile.
Non mi sono ispirato a nessun Joker. Però mi ricordo benissimo Jack Nicholson nel Batman di Tim Burton. E il bravissimo Heath Ledger. Ma ho preferito prepararmi senza fare riferimento a nessun lavoro precedente, neanche ai fumetti o serie tv. Volevo creare il mio Joker. Che fosse frutto della mia immaginazione. O della mia pazzia. Non è un film sui soliti supereroi, cattivi e umani con poteri speciali. A me i personaggi ispirati ai fumetti piacciono perché hanno problematiche reali, le stesse che abbiamo noi. Joker è proprio questo: uno di noi. Non ha padre, non ha amici, è ansioso, depresso, un lavoro infimo. Ha subito dei traumi ed è stato anche abusato da bambino… Poveraccio… Ha tutti i problemi di questo mondo. Non è stato né piacevole né facile entrare nella sua testa… ma sono orgoglioso di averlo conosciuto.’
E’ dunque con estremo tatto e ammirevole sensibilità che Joaquin ammette di aver empatizzato con Arthur Fleck al punto di soffrire con lui e forse è una delle sensazioni percepibili anche dagli spettatori in sala. Per altro, l’attore ha candidamente ammesso di essere severo giudice di se stesso e di non trovare piacevole rivedersi, anzi di essere entrato soli dieci minuti prima della fine del film, alla visione della prima assoluta di Joker, per evitare di ritrovarsi a pensare a possibili impostazioni differenti che avrebbe potuto dare al personaggio. Un vero perfezionista.
Joaquin ha anche chiarito una volta per tutte l’irritazione che prova quando gli domandano se non si ritenga responsabile di diffondere e mitizzare un certo tipo di violenza o comportamento criminale interpretando un simile personaggio. A seguito di una sgradevole serie di domande di questo genere, infatti, l’attore aveva interrotto un’intervista (salvo poi lasciarsi persuadere a concluderla) e dunque ha voluto precisare: ‘Penso che la maggior parte di noi sia in grado di discernere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. E coloro che non ne sono in grado, interpreteranno qualsiasi cosa nel modo in cui vogliono. Le persone fraintendono le parole delle canzoni, fraintendono alcuni passaggi di romanzi. Quindi non penso che sia responsabilità di chi fa film insegnare al pubblico la moralità o la differenza tra giusto e sbagliato. Voglio dire, per me, è ovvio‘.
Forte, per Joaquin Phoenix, l’influenza di suo fratello River (scomparso prematuramente per un’overdose, il 31 ottobre del 1993 ndr) a cui l’attore non smette mai di pensare e a cui dedica il suo successo, la sua carriera e, sostanzialmente, tutta la sua vita:. Durante il Toronto International Film Festival, infatti, ha raccontato: ‘Quando avevo 15 o 16 anni, mio fratello River è tornato a casa dal lavoro e aveva con sé la copia in VHS di un film intitolato “Toro Scatenato” che mi fece vedere quella sera stessa. Il giorno dopo mi svegliò e me lo fece rivedere. E mi disse “Devi ricominciare a recitare perché è questo ciò che devi fare”. La sua non era una domanda, ma un’affermazione. E gli sarò eternamente debitore perché la recitazione mi ha regalato una vita straordinaria‘.
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