Quando è Isao Takahata a trattare un tema, tutto prende una forma diversa. Con I miei vicini Yamada entriamo a pieno nella vita di una famiglia giapponese per scoprire quali sono i segreti che mantengono costante l’equilibro familiare.
La settimana scorsa Hayao Miyazaki, attraverso la storia della Principessa Mononoke, si è identificato perfettamente con uno dei temi più amati dallo Studio Ghibli. Oggi ci catapultiamo nella sfera affettiva con Isao Takahata che ci presenta una famiglia con le abitudini che potremmo riconoscere anche nella nostra, fino ad arrivare a quello che è il nucleo, il centro, quel legame che resiste nel tempo e che noi non sapremmo nemmeno spiegare come e perché.
I genitori hanno scelto di avere i propri figli, ma i figli non scelgono i propri genitori: è con questi pensieri che si apre I miei vicini Yamada, attraverso la figura del piccolo Noboru che vorrebbe un altro papà ed un’altra mamma, più belli, più brillanti, meno pesanti. E come biasimarlo? Del resto, è vero che i figli non hanno chiesto di venire al mondo, magari in una famiglia povera, o troppo ricca, troppo potente, o chissà…disastrata. Noboru vive la conflittualità familiare tipica della sua età, appena prima della pubertà, in cui la ribellione è forte e non c’è verso di educarlo.
I coniugi Yamada d’altra parte sono una coppia tranquilla, attraverso loro possiamo rivedere anche i nostri genitori, a volte apprensivi, altre stanchi di atteggiamenti altalenanti dei figli, ma si sa che ogni genitore è stato per prima figlio ed è per questo che riusciranno sempre a comprendere e a starci vicino.
Un’altra cosa sottolineata da Takahata è che se è vero che i genitori sono stati figli, è altrettanto vero che i figli soltanto quando diventeranno genitori potranno capire tanti atteggiamenti che da piccoli rifiutavano, per cui si arrabbiavano, ignorando ogni parola.
Ne I miei vicini Yamada, la cosa interessante è che non c’è un trionfo perenne dei genitori, ma Isao Takahata sa bene che anche loro possono sbagliare, come nel caso dello smarrimento della piccola Nonoko, lasciata da sola nella stazione del treno. La gioia del ricongiungimento della famiglia Yamada, quando la ritroveranno, è il regalo più bello che il regista ci ha fatto in questo cartone. Oltre le scene finali, ovviamente.
I miei vicini Yamada – Verso la maturità dello Studio Ghibli
C’è sempre un momento dove un regista o un qualsiasi artista raggiungono un periodo di forte maturità. In questo caso, il momento del “passo in avanti” sarà di tutto lo Studio. Già con Principessa Mononoke, si era arrivati quasi al definitivo, come se il cerchio si potesse chiudere, invece arriva I miei vicini Yamada, tre anni dopo, a spezzare quanto visto fino ad ora.
Anzitutto lo stile inconfondibile di Takahata che predilige non solo disegni fedeli sempre a quelli dei fumetti (lo vedremo anche nel capolavoro La storia della principessa splendente), ma in questo caso anche la storia stessa è rimasta fedele al metodo del fumetto originale : una racconto diviso in capitoli spezzati, disgregati, ma che si uniscono con continuità per lanciare il messaggio principale.
Ecco che si giunge ad una consapevolezza dei propri film, con lo stacco tra il precedente Principessa Mononoke e I miei vicini Yamada, lo Studio Ghibli sigilla la diversità che caratterizza i registi uno ad uno ed inizierà ad entrare nelle grazie dei premi internazionali, infatti con il successivo La città incantata, arriverà agli Oscar.