Harry Dean Stanton è stato uno dei più prolifici caratteristi della storia del cinema statunitense. Attore, musicista e cantante, la sua carriera si è estesa per più di sessant’anni, durante i quali ha collaborato con i più grandi registi di tutti i tempi, da Alfred Hitchcock a Martin Scorsese, da David Lynch a Ridley Scott, senza quasi mai interpretare un ruolo da protagonista. Eppure, nonostante ciò, il suo volto è rimasto impresso nella nostra memoria collettiva, un volto da sempre solcato dal tempo e sul quale era possibile scorgere la storia del cinema hollywoodiano.
L’infanzia e la formazione
Nato Il 14 luglio del 1926 nel West Irvine, in Kentucky, Harry Dean Stanton era il figlio del padre Sheridan Harry Stanton, coltivatore di tabacco e barbiere, e della madre Ersel Moberly, una cuoca. La famiglia Stanton era poi completata dai due fratelli minori, Archie e Ralph, e dal fratellastro più piccolo, Stan.
Gli Stanton possedevano un campo di trecento acri di tabacco presso la piccola cittadina di White Rock, che Harry Dean Stanton raccontò come una città che aveva cessato di esistere da molto tempo, un luogo dove esisteva esclusivamente un ufficio postale rimasto in funzione fino al 1965 e che nel 2010 contava soltanto tre abitanti. Durante la depressione del 1929 gli Harry Dean Stanton e la sua famiglia si trasferirono per un certo periodo nella Carolina del Nord.
Harry Dean Stanton si diplomò presso la Lafayette High School. Fu proprio durante il periodo del liceo che i suoi genitori divorziarono, per poi risposarsi entrambi successivamente. L’attore è sempre stato particolarmente riservato sulla sua vita privata e non ha mai rilasciato alcuna dichiarazione riguardo a quel periodo.
Tuttavia vale la pena ricordare uno dei ritratti più intimi che siano mai stati realizzati su di lui, il documentario di Sophia Huber del 2012 Harry Dean Stanton: Partly Fiction, in cui l’attore ha descritto la sua come una famiglia non unita, con una situazione difficile alle spalle. A seguito del divorzio di fatto l’attore prese le distanze dai suoi genitori, per poi riavvicinarsi alla madre soltanto quando lei era in punto di morte.
Sempre durante il liceo Harry Dean Stanton iniziò ad avvicinarsi al mondo dello spettacolo, in particolare a quello della musica. In quegli anni, infatti, cantava nel quartetto del barbershop e nel glee club locali. Fu soltanto con l’università però che l’uomo iniziò ad interessarsi alla recitazione, anche se in realtà questa passione risiedeva in lui da prima che potesse rendersene conto. In un’intervista del 1997 per Venice Magazine, alla domanda se fosse interessato alla recitazione sin d bambino, Stanton rispose:
“Ho sempre avuto una vena drammatica. Mi piaceva travestirmi da cowboy, giocare a far credere… Ma non avevo realizzato che recitare fosse qualcosa con cui avrei avuto a che fare fino a quando non sono andato al college”.
Harry Dean Stanton frequentò l’università del Kentucky a Lexington, dove studiò giornalismo ed arti radiofoniche. Qui si iscrisse al gruppo teatrale del college, recitando nel Pigmalione ed altre tragedie greche, nonché in opere di Shakespeare. Ebbe anche modo di recitare presso il Guignol Theater diretto dal regista teatrale inglese Wallace Briggs. Fu proprio quest’ultimo ad alimentare la sua passione ed il suo talento innato per la recitazione, incoraggiandolo a lasciare l’università per perseguire la carriera d’attore.
Nonostante la formazione teatrale però Harry Dean Stanton era maggiormente attratto dalla recitazione cinematografica. Egli stesso ha dichiarato che il teatro non gli piaceva perché richiedeva troppo lavoro e tempo e non ripagava quegli sforzi. Al contrario il cinema gli avrebbe permesso di guadagnare di più e, naturalmente, di avere più chance con le donne!
I suoi studi universitari tuttavia subirono un’interruzione dovuta alla seconda guerra mondiale. Nel 1944 Harry Dean Stanton lasciò il college per prestare servizio nella marina militare statunitense all’età di diciannove anni. Durante il servizio Stanton cantava nel coro militare e lavorò anche come cuoco a bordo della USS LST-970, una nave anfibia per il trasporto delle truppe e delle munizioni coinvolta nella battaglia di Okinawa.
Durata dall’aprile al giugno 1945, si è trattato dell’operazione anfibia più grande eseguita sul fronte del Pacifico durante il secondo conflitto mondiale. La battaglia fu una delle più sanguinose e feroci della campagna in Estremo Oriente e si concluse con la quasi completa distruzione della guarnigione nipponica e gravi perdite tra le file statunitensi, vedendo inoltre il coinvolgimento diretto anche della popolazione civile: migliaia di cittadini si suicidarono pur di non cadere nelle mani dei soldati statunitensi. Harry Dean Stanton riuscì miracolosamente a salvarsi ma, come ogni uomo che abbia vissuto la guerra sulla propria pelle, ne rimase profondamente segnato e anche successivamente fece grande difficoltà nel riprendere la vita civile:
“Sono stato abbastanza fortunato da non essere stato fatto saltare in aria o ucciso. Ero lì quando i piani suicida giapponesi erano in arrivo. Fortunatamente mancarono la nostra nave. Mi ci è voluto un po’ per riadattarmi dopo”.
Successivamente tornò al college a Lexington senza però terminare gli studi. La passione per la recitazione era infatti divenuta troppo forte e, seguendo il consiglio di Briggs, Harry Dean Stanton lasciò l’università nel 1949 e si trasferì a Pasadena, in California, per studiare recitazione presso il prestigioso Pasadena Playhouse. Tra i suoi compagni di corso ricordiamo anche Tyler MacDuff e Dana Andrews, due celebri attori di quei tempi. Nello stesso periodo Harry Dean Stanton non aveva abbandonato la sua passione per la musica e partì per una tournée con il coro maschile. Lavorò inoltre presso un teatro per bambini.
L’esordio
Il suo esordio avvenne nel 1954 nel primo episodio della serie TV Inner Sanctum. Si trattò della sua prima apparizione sul piccolo schermo accreditata, seppur agli inizi della sua carriera l’attore si faceva chiamare Dean Stanton per non essere confuso con un altro attore contemporaneo, Harry Stanton.
Il suo turno sul grande schermo arrivò due anni dopo, nel 1956, quando esordì in un ruolo non accreditatogli ne Il ladro (The Wrong Man) di Alfred Hitchcock. Nello stesso anno recitò anche in Rivolta a Fort Laramie (Revolt at Fort Laramie, di Lesley Selander).
Fu soltanto nel 1957 che Harry Dean Stanton debuttò ufficialmente al cinema nel film western La pista di Tomahawks (Tomahawk Trail), tornando a collaborare con Lesley Selander. Molti anni dopo, nel 1985, l’attore ha raccontato in un’intervista per il Washington Post di quanto questa prima esperienza fosse stata negativa:
“La pista di Tomahawks è stato una barzelletta. Lo filmarono in quattro giorni, o quattro e mezzo, e lo editarono in una settimana. Era il mio secondo film, Rivolta a Fort Laramie fu il primo. Ho interpretato un soldato in entrambi. Recitavo dappertutto, facendo cose con le mie mani. È stato imbarazzante…”
Da allora lavorò ininterrottamente per i successivi dieci anni, durante i quali però era costantemente relegato a ruoli secondari, spesso del cattivo o dello strano, principalmente in pellicole western e crime.
Tra i vari titoli ricordiamo L’orgoglio ribelle (The Proud Rebel, di Michael Curtiz, 1958), Gli evasi del terrore (Voice in the Mirror, di Harry Keller, 1958), 38° parallelo: missione compiuta (Pork Chop Hill, di Lewis Milestone, 1959) dove ebbe modo di lavorare accanto a Gregory Peck, Il piede più lungo (The Man from Diner’s Club, di Frank Tashlin, 1963); nonché in diverse serie televisive come Suspicion (1957), The Court of Last Resort (1958), Le avventure di Rin Tin Tin (The Adventures of Rin Tin Tin, 1958), Alfred Hitchcock presenta (Alfred Hitchcock Presents, 1960), Scacco matto (Checkmate, 1962).
“In TV ero un classico poliziotto assassino. È questo che mi ha fatto iniziare, ero totalmente credibile come poliziotto killer violento…Sono stato assunto come killer per anni […] e ora voglio abbandonare le mie pistole. Voglio abbandonare le mie pistole ed interpretare amanti per il resto della mia vita”.
Dopo anni di ruoli secondari e negativi Harry Dean Stanton ha dichiarato di essere psicologicamente provato e stanco, spiegando:
“Vuoi sapere com’è interpretare ruoli secondari per tutta la tua vita? È frustrante. Tutte le parti secondarie ed i personaggi che ho interpretato. L’ho odiato, è orribile fare lo stesso tipo di emozioni ancora e ancora e non riesco a capire perché le persone non ne sono più consapevoli. Recitare è molto personale, usi la tua psiche. Se hai a che fare con emozioni negative diventa stancante dopo un po’”.
Le colline blu: l’amicizia con Jack Nicholson e la svolta della carriera di Harry Dean Stanton
Nel 1966 arrivò però quella che lo stesso attore definì la svolta della sua carriera: Le colline blu (Ride in the Whirlwind) diretto da Monte Hellman e interpretato e scritto dal grande Jack Nicholson. Quest’ultimo è sempre stato uno dei migliori amici di Harry Dean Stanton, tanto che lo stesso Stanton fu il testimone di nozze di Nicholson nel 1962 e, successivamente, dopo il divorzio di Jack nel 1968, Harry lo ospitò a casa sua e convissero per due anni e mezzo a Laurel Canyon.
Fu proprio Jack Nicholson a chiamare l’amico per interpretare una parte nel suo film, quella di Dick il guercio. Si trattava ancora una volta di un western ma riuscì a convincerlo dicendogli semplicemente che nel film non avrebbe dovuto fare nulla se non essere se stesso. Come Harry Dean Stanton ha raccontato in più occasioni, compreso il tributo alla carriera di Jack Nicholson, quell’esperienza riuscì a cambiare la sua prospettiva sul cinema e sulla recitazione.
Del resto la longevità di Stanton nel mondo hollywoodiano ha fatto sì che egli vivesse le differenti ere cinematografiche sulla propria pelle, osservando il susseguirsi di generazioni di registi e film rivoluzionari che cambiarono il mondo del cinema: erano sempre più numerosi i generi cinematografici sul grande schermo e richiesti dal pubblico, lasciando spazio ad una recitazione più naturale e spontanea, che più si addiceva ad Harry Dean Stanton.
Ciò che infatti lo ha reso noto è sempre stata l’incredibile naturalezza con cui è stato in grado di dar vita ai numerosissimi personaggi interpretati, donando loro tridimensionalità e rendendoli memorabili nonostante comparissero sullo schermo per breve tempo. Anche David Lynch, uno dei registi che più di tutti ha poi collaborato con l’attore, ha così dichiarato:
“Ha questa innocenza e naturalezza che sono davvero rare. Lui dice una frase ed è così reale. È fenomenale”.
Seguirono così numerosi altri ruoli secondari in pellicole più o meno importanti, spaziando da film indie a veri e propri cult. Tra questi ricordiamo Nick mano fredda (Cold Hand Luke, di Stuart Rosenberg, 1967) con Paul Newman e per il quale Harry Dean Stanton contribuì alla colonna sonora; Lanton Mills, cortometraggio di Terrence Malick del 1969; Strada a doppia corsia (Two-Lane Blacktop, 1971) ancora di Monte Hellmann.
Fu poi la volta di Per 100 chili di droga (Cisco Pike, 1972) diretto da Bill L. Norton, film tramite il quale fu lo stesso Harry Dean Stanton a lanciare la carriera musicale di Kris Kristofferson. I due amici fecero il provino insieme e Kristofferson si occupò di comporre la colonna sonora del lungometraggio.
I due tornarono a recitare insieme in Pat Garret e Billy Kid, film del 1973 di Sam Peckinpah. Il film è noto in particolare per la partecipazione di Bob Dylan, cantautore premio Nobel per la letteratura che, oltre ad interpretare un ruolo, si occupò con Kristofferson della colonna sonora del film realizzando, tra le altre, la famosissima Knockin’ on Heaven’s Door.
Kristofferson ha ricordato in alcune occasioni un simpatico aneddoto avvenuto sul set del film: in una scena registrata sfruttando la luce del tramonto sono stati ripresi Bob Dylan e Harry Dean Stanton che correvano sullo sfondo, rovinando così la ripresa che doveva essere rifatta il giorno dopo. Stanton ha raccontato che il motivo per cui rincorreva Bob Dylan era proprio quello di dirgli di non andare lì perché avrebbe rovinato la scena!
Nel 1973 Harry Dean Stanton recitò in Dillinger, diretto da John Milius al suo esordio da regista. Ricordiamo poi la sua interpretazione ne Il padrino – Parte II (The Godfather: Part II, 1974) di Francis Ford Coppola, regista considerato anche un caro amico dell’attore. Per l’occasione Stanton ebbe modo di recitare accanto ad Al Pacino, Robert De Niro, Robert Duvall e Diane Keaton.
Nel 1976 recitò in Missouri, film di Arthur Penn con Marlon Brando e l’amico Jack Nicholson. In quell’occasione l’attore ebbe modo di avvicinarsi a Marlon Brando, con il quale costruì un profondo legame soprattutto durante gli ultimi tre anni di vita dell’attore de Il Padrino. Stanton ha raccontato che i due erano soliti intrattenere lunghe telefonate in cui parlavano dei loro pensieri riguardo alla vita, al cinema e ulteriori idee che accomunavano i due attori.
Tra gli altri titoli menzioniamo anche Renaldo e Clara (1978), diretto ed interpretato da Bob Dylan; Alien (1979) di Ridley Scott, dove Harry Dean Stanton fu chiamato ad interpretare l’ingegnere Brett. La prima cosa che Stanton disse al regista era di non essere un amante dei film sci-fi o con mostri ma fu lo stesso Scott a convincerlo, dicendogli che si sarebbe trattato più di un thriller.
Ancora, ricordiamo 1997: Fuga da New York (Escape from New York, 1981) di John Carpenter; Un sogno lungo un giorno (One from the Heart, 1981) di nuovo di Francis Ford Coppola, regista che fu costretto a vendere i propri studios a seguito dell’enorme flop al botteghino per questo lungometraggio; Christine – La macchina infernale (1983) sempre di John Carpenter; Repo Man – Il recuperatore (1984, diretto da Alex Cox), un film decisamente sopra le righe dove Harry Dean Stanton ha avuto più spazio per dimostrare la propria versatilità recitativa.
Nonostante si sappia poco della vita sentimentale dell’attore, Stanton ha dichiarato in alcune occasioni di aver avuto una storia con l’attrice Rebecca De Mornay in quegli stessi anni. La loro relazione durò un anno e mezzo e fu lei a lasciarlo per Tom Cruise (con cui rimase per due anni) dopo la loro collaborazione sul set di Risky Business (1983), che Stanton definì avere un titolo effettivamente azzeccato. La rottura lo colpì più di quanto si aspettasse, non si era reso conto di essere così tanto legato a lei.
Paris, Texas: protagonista per la prima volta
Il film che però consacrò definitivamente la carriera di Harry Dean Stanton fu Paris, Texas (1984), dove l’attore fu per la prima volta chiamato ad interpretare un ruolo da protagonista, all’età di cinquantotto anni e con quasi venti anni di carriera alle spalle.
Era il 1983 quando l’attore incontrò l’amico Sam Shepard, autore dello script di Paris, Texas, in un bar a Santa Fe, nel New Mexico. Entrambi si trovavano lì a causa di un festival cinematografico e, come raccontò successivamente Stanton:
“Gli stavo dicendo che ero stufo dei ruoli che stavo interpretando. Gli dissi che volevo interpretare qualcosa di una certa bellezza e sensibilità. Non sospettavo che mi stesse considerando per il ruolo da protagonista nel suo film”.
Fu grazie a quella chiacchierata che Sam Shepard, dopo una settimana, lo telefonò a Los Angeles per offrirgli quel ruolo. Harry Dean Stanton era davvero insicuro, era convinto di non essere in grado di interpretare un protagonista, considerando l’età e le esperienze pregresse, ma l’amico riuscì a convincerlo:
“Mi ha detto che il protagonista non parlava per i primi trenta minuti e così mi ha convinto”.
Manifesto della corrente del Nuovo Cinema Tedesco, il film diretto da Wim Wenders è un lungo viaggio alla riscoperta della famiglia, dei valori affettivi e di sé: un vero e proprio road-movie, dove però il viaggio è puramente introspettivo. Il protagonista, Travis, mancato da casa per ben quattro anni senza dare alcuna spiegazione, tenta di ricongiungersi col suo nucleo familiare, cercando di ripristinare un rapporto ormai svanito. Paris, Texas è un racconto di redenzione, in cui un uomo compie un lungo viaggio alla ricerca di sé, perché questa è l’unica via per riconsolidare i rapporti con il prossimo.
Paris, Texas è stato da sempre descritto come il film più importante della vita di Harry Dean Stanton, dove l’attore ha avuto modo di provare al mondo il suo incredibile talento, evidente soprattutto nel toccante monologo finale. La forza del personaggio è stata certamente quella di essere fragile, di mostrarsi vulnerabile, grazie alle sapienti doti dell’attore che è riuscito a rendere così bene ogni sfaccettatura di un personaggio complesso in cui Stanton si era immedesimato molto.
“Un ruolo che richiedeva che l’attore rimanesse principalmente in silenzio…come un’anima persa, spezzata, che tenta di rimettere la sua vita insieme e riunirsi con la sua famiglia alienata dopo essere sparito anni prima”.
Del resto il personaggio di Travis non era così distante dalla vera persona di Stanton. L’attore ha infatti attinto dalla sua esperienza di vita personale, per quel poco che ne è trapelato e che abbiamo avuto modo di scoprire. Esattamente come Travis, Harry Dean Stanton ha avuto numerose donne, molto più giovani di lui, ma soltanto con due o tre è riuscito veramente a legare. Lui ha dichiarato che per due settimane è stato persino sposato ma il matrimonio non andò a buon fine. Nonostante abbia fatto alcune proposte di matrimonio è stato sempre rifiutato:
“Meno male che rifiutarono poiché lo stavo facendo solo perché pensavo di dovermi sposare. Non mi sono mai sentito a mio agio all’idea di essere in un’istituzione del genere”.
Due o tre donne rimasero incinte ma si trattò di storie brevi per cui l’attore non si è mai realmente preso cura di quei figli, di cui forse soltanto uno era realmente suo. Forse per i traumi dovuti alla passata e turbolenta situazione familiare, Harry Dean Stanton non è mai riuscito a costruirsi una famiglia ed ha sempre prediletto la sua solitudine ed il suo silenzio, tanto che anche i suoi amici più cari lo hanno sempre descritto come un tipo taciturno, le cui poche parole erano però pregne di significato. Wim Wenders ha così descritto l’attore:
“Non credo che Harry sia un uomo da parole grosse. E rispetto il fatto che gli attori non debbano necessariamente aprirsi molto quando sono da soli, e mostrarsi per ciò che sono. Se usi la tua vita, il dolore e gli errori in essa, è difficile che una parte non emerga in una conversazione. È qualcosa di sacro nel cuore dell’attore che gli permette di andare avanti. E penso che l’attore debba proteggere quella parte all’interno di sé”.
La sua interpretazione in Paris, Texas fu ampiamente apprezzata dal pubblico e dalla critica. In particolare, il critico Roger Ebert dichiarò:
“Nessun film con Harry Dean Stanton o M. Emmeth Walsh in un ruolo di supporto può essere un fiasco totale”.
Anche se successivamente il critico ha dovuto fare un passo indietro dopo l’uscita di Un piccolo sogno (Dream a Little Dream, 1989, di Marc Rocco), affermando che quel film era una chiara eccezione alla sua regola.
I film successivi ed il sodalizio con David Lynch
Dopo l’esperienza di Paris, Texas Harry Dean Stanton era ormai un attore affermato che, tuttavia, continuò per tutta la sua vita ad interpretare esclusivamente ruoli di supporto. Tra questi ricordiamo Bella in rosa (Pretty in Pink, 1986, diretto da Howard Deutch) e L’ultima tentazione di Cristo (Last Temptation of Christ, 1988, di Martin Scorsese).
Esattamente nel 1988 si colloca anche la prima collaborazione artistica tra Harry Dean Stanton e David Lynch, uno dei registi che più di tutti si è avvalso del volto caratteristico dell’attore nelle sue pellicole. La prima volta che i due lavorarono insieme fu per il cortometraggio The Cowboy and the Frenchman, prima commedia del regista. Da allora si può dire che Stanton divenne un vero e proprio attore feticcio nonché caro amico di Lynch. In realtà i due si conoscevano da prima: David Lynch desiderava che Harry Dean Stanton prendesse parte a Velluto Blu (Blue Velvet, 1986) nel ruolo che invece fu poi affidato a Dennis Hopper. Fu Stanton a rifiutare l’offerta:
“Non volevo avere a che fare con quelle emozioni”.
Nel frattempo, nel 1989 usciva la canzone I Want That Man di Debbie Harry, leader dei Blondie. Il singolo da solista della cantante era dichiaratamente dedicato a Harry Dean Stanton, di cui lei era rimasta infatuata dopo averlo visto in Paris, Texas. L’attore non aveva colto immediatamente e fu soltanto tramite alcuni amici che capì che la canzone era indirizzata a lui. Fu così che Deborah lo chiamò per un incontro per poi iniziare una breve quanto improbabile storia d’amore.
Nel 1990 proseguì il sodalizio con David Lynch, per il quale Harry Dean Stanton interpretò un ruolo di supporto in Cuore selvaggio (Wild at Heart), film vincitore della Palma D’Oro a Cannes. Due anni dopo, nel 1992, l’attore recitò nuovamente per Lynch in Fuoco cammina con me (Twin Peaks: Fire Walk with Me), film prequel tratto dalla serie cult Twin Peaks. Nel 1993 l’attore fu protagonista di Camera d’albergo (Hotel Room), film televisivo sempre diretto da David Lynch.
Negli anni successivi continuò a recitare anche in altre pellicole come Cento e una notte (Les cent et une nuits de Simon Cinéma, di Agnès Varda, 1995) e Paura e Delirio a Las Vegas (Fear and Loathing in Las Vegas, 1998, di Terry Gilliam).
Ancora con David Lynch collaborò per Una storia vera (The Straight Story, 1999), un film toccante che segue l’avventura realmente accaduta di un uomo anziano che guida un trattore tosaerba per giorni e chilometri per andare a trovare suo fratello, interpretato proprio da Harry Dean Stanton. L’attore, con pochissime battute ma con un’intensa espressività, è riuscito ancora una volta a dimostrare come uno sguardo sia sufficiente per comunicare un messaggio e suscitare forti emozioni.
Seguirono Il miglio verde (The Green Mile, 1999, di Frank Darabont); La promessa (The Pledge, 2001, diretto dall’attore Sean Penn); la commedia Terapia d’urto (Anger Management, 2003, di Peter Segal) dove ancora una volta recitò al fianco di Jack Nicholson. Nel 2006 recitò nell’ultimo lungometraggio di David Lynch, Inland Empire; prestò poi la voce ad un personaggio di Rango, film d’animazione di Gore Verbinski del 2011; è stato in This Must Be The Place (2011) di Paolo Sorrentino; The Avengers (2012, di Joss Whedon).
Nel 2011 il Lexington Film League istituì il festival cinematografico annuale Harry Dean Stanton Fest, in quanto si trattava della città dove l’attore aveva trascorso ampia parte della sua adolescenza.
Harry Dean Stanton: non solo attore ma anche musicista
Sin da giovanissimo l’attore ha avuto una grande passione per la musica che ha coltivato negli anni. La fama da attore lo precede ma Harry Dean Stanton ha contemporaneamente perseguito una carriera da cantante e musicista. Non si è mai etichettato in un genere musicale specifico, interessandosi di più a ciò che gli permetteva di parlare col cuore, spaziando dalla musica folk al blues, country, rock & roll e gospel. Non è mai stato un autore musicale particolarmente prolifico ma a lui sono da accreditare la colonna sonora del documentario Partly Fiction, nonché dei brani con la sua band The Cheap Dates nel 1993 e numerose collaborazioni con artisti notevoli come Bob Dylan, Kris Kristofferson e Art Garfunkel.
Sua madre era una brava chitarrista e negli anni, oltre che il canto, Harry imparò a suonare la chitarra, l’armonica e la batteria. Fu poi ai tempi del college che s’imbatté nella fatidica scelta tra la recitazione e la musica:
“Ho dovuto decidere se volevo essere un cantante o un attore. Cantavo sempre. Ho pensato che se fossi diventato un attore avrei potuto fare entrambe le cose”.
Già nella sua comparsa in Nick mano fredda il suo personaggio era solito portare con sé la chitarra e memorabile è stata la sua performance di Just a Closer Walk with Thee. Successivamente, grazie alla conoscenza di Bob Dylan sul set di Pat Garret e Billy Kid, il cantante invitò Stanton a cantare durante una sessione di registrazione, tuttavia il nastro con la traccia in cui i due cantavano insieme è stato perso.
Ancora nel 1978 Harry Dean Stanton ebbe nuovamente l’occasione di sfoggiare il suo talento musicale nel film drammatico Vigilato speciale (Straight Time) con Dustin Hoffman, dove cantò Hand Me Down My Walking Cane. Nel 1984 interpretò Canción Mixteca, traccia presente nella colonna sonora di Paris, Texas sulle note composte da Ry Cooder.
Lo stesso musicista lo invitò a partecipare al suo album del 1987 Get Rhythm, in cui Stanton canta Across the Borderline, scritta per il film Frontiera (The Border) in cui recitava Jack Nicholson.
Successivamente, sul set de L’ultima tentazione di Cristo nel 1988, Stanton fece la conoscenza di Michael Been, leader del gruppo alternative rock The Call. Da questa amicizia nacque l’album Let the Day Begin (1989), in cui l’attore suonò l’armonica in For Love e co-scrisse Watch. Si è spesso esibito dal vivo, prendendo parte anche ad alcuni tour internazionali al fianco dei suoi amici del settore.
Negli anni si sono inoltre seguiti numerosi ruoli televisivi principalmente come cameo o comunque non di protagonista, come in Due uomini e mezzo (Two and a Half Man, 2004); Big Love (2006-2010); Chuck (2010) e, infine, nella nuova serie di Twin Peaks nel 2017.
Lucky, il testamento spirituale di Harry Dean Stanton
Lucky è un film diretto dall’allora esordiente John Carrol Lynch nel 2017 ed è l’ultimo film con Harry Dean Stanton che, dopo quasi quarant’anni, torna nei panni di un protagonista nel ruolo che sarà l’ultimo prima della sua scomparsa, avvenuta pochi mesi dopo l’uscita del film.
È incredibile notare quanto Lucky sia stato cucito su misura per Harry Dean Stanton, dove all’attore, ancora una volta, non è stato chiesto altro se non di interpretare se stesso. La pellicola segue le giornate di Lucky, un uomo anziano sulla soglia dei novant’anni soprannominato così perché fortunato ad essere stato un semplice cuoco imbarcato durante la guerra e non un soldato della marina (già qui si può scorgere un’evidente somiglianza con la reale esperienza di vita dell’attore).
La quotidianità dell’uomo è però sconvolta da un improvviso mancamento: nulla di grave secondo il suo dottore, l’unico problema è semplicemente l’età. Lucky comincia ad aprire gli occhi sulla sua condizione ed inizia a comprendere quanto la morte sia realmente vicina. La morte, del resto, è il tema portante della pellicola, permea ogni dialogo ed ogni riflessione.
Si è trattata forse di un’esperienza catartica per l’attore, o più semplicemente la pellicola non fa altro che portare sul grande schermo alcuni pensieri che lo stesso Stanton ha più volte reso pubblici in diverse interviste, in occasione delle quali è stato addirittura definito nichilista.
L’uomo in particolare era fermamente convinto che tutto fosse già scritto, che il nostro percorso di vita è già tracciato e non abbiamo il reale controllo di ciò che accade, non abbiamo influenza nel mondo e sugli eventi perché è tutto predestinato. La vita è come un film, la sceneggiatura è già scritta e noi non siamo altro che attori pronti ad interpretarla, per cui nulla è davvero importante perché nulla dipende da noi, nessun gesto conta. Proprio per questo motivo la stessa Sophia Huber, autrice del documentario già citato sull’attore, ha avuto qualche difficoltà nel coinvolgerlo in questo progetto, in quanto l’uomo preferiva vivere il momento ed il passato non aveva importanza.
Dopo il suo ultimo ruolo, recitato accanto all’amico David Lynch, Harry Dean Stanton si è spento per cause naturali all’età di novantuno anni il 15 settembre 2017.
Nonostante siano state numerose le opportunità lavorative per Harry Dean Stanton, egli stesso ha dichiarato:
“Ho evitato il successo artistico”.
Riguardo alle ragioni legate a queste scelte, l’attore ha semplicemente affermato che doveva andare così. In più occasioni si è pentito di non aver fatto di più, di non essersi impegnato abbastanza o di aver rifiutato determinate proposte, tuttavia Stanton ha trovato la propria serenità nella convinzione che le cose dovessero andare semplicemente così. Eppure, nonostante ciò, il suo volto è rimasto indelebilmente impresso nella nostra memoria, riuscendo nell’incredibile impresa di rendere memorabili anche i personaggi meno rilevanti delle pellicole a cui ha preso parte. Il suo assistente ha così affermato:
“È stato un po’ come il Forrest Gump di Hollywood: non per una questione di scarsa intelligenza ma perché si è imbattuto nelle circostanze più incredibili”.
Comparso in oltre cento film e cinquanta serie TV, Harry Dean Stanton è stato uno dei più importanti caratteristi statunitensi, inconfondibile per i suoi lineamenti decisi e la notevole presenza scenica. Eppure ha sempre preservato la sua umiltà e la sua natura, rimanendo fedele alla sua personalità. Profondamente illuminante sulla sua persona è stato il dialogo tra Lynch e l’attore in occasione del documentario della Huber:
Lynch: “Come ti descriveresti?”
Stanton: “In nessun modo, non c’è un me”
Lynch: “E come ti piacerebbe essere ricordato?”
Stanton: “Non importa”.