Oggi è la Giornata della Memoria, ricorrenza internazionale per commemorare le vittime dell’Olocausto, oscuro periodo della storia umana di cui, anche ai nostri tempi, si continua a parlare purtroppo per rigurgiti nazionalisti ormai in molte nazioni del mondo, rendendo il ricordo ancora più importante da mantenere e portare avanti. Nel corso del tempo il cinema ha raccontato l’Olocausto con molti film, tra cui il pluri premiato Shindler’s List di Steven Spielberg, Il pianista di Roman Polansky, La scelta di Sophie di Alan J. Pakula e molti altri, ma a quei tempi, nel periodo in cui il nazismo era ancora forte e la guerra ormai sembrava inesorabilmente vinta, il cinema come raccontava quei tragici eventi?
Quando iniziarono le persecuzioni razziali tedesche, il mondo del cinema inizialmente non si interessa dell’argomento. Per il timore di boicottamenti nelle sale europee e incidenti diplomatici con la Germania, Hollywood si tenne ben lontana dal tema ma, allo scoppio della guerra, in Inghilterra e negli USA si inizia a parlare delle atrocità commesse dai nazisti. Prima del 1940, anno di uscita di Night train to Munich di Carol Reed, in cui per la prima volta vengono mostrati campi di concentramento per dissidenti, l’argomento era stato affrontato nel documentario americano Hitler’s reign of terror (1934, USA) e il film Belve su Berlino (1939, USA) di Sam Newfield.
Nel 1933, sfruttando la ricchezza e il nome della famiglia, il giornalista americano Cornelius Vanderbilt IV si reca in Germania e documenta l’ascesa di Hitler, non nascondendo le critiche per la deriva totalitarista e la pericolosità per l’Europa, e si racconta che riuscì anche ad incontrare il cancelliere tedesco il quale, alla domanda di Vanderbilt sulle politiche antisemite, fuggì senza dare una risposta.
Questo episodio è stato ricostruito in Hitler’s reign of terror, diretto da Michael Mindlin, ma non sappiamo se sia realmente accaduto o meno. La pellicola fu presentata a New York il 30 aprile del ’34 ma la stampa, che ancora era scettica sul nazismo e la sua pericolosità, non si mostrò granché entusiasta. Alla fine, il film fu ritirato dalle sale per evitare un incidente diplomatico in quanto il Reich aveva dichiarato il film offensivo.
Considerato perduto, il film ancora nella scatola originale, fu ritrovato nel 2013 negli archivi della Cinémathèque Royale de Belgique a Bruxelles, dopo averlo restaurato è stato mostrato al pubblico al Museo D’Arte Moderna di New York il solito anno.
Nel 1939 esce Belve su Berlino (Hitler. Beast of Berlin, GB) diretto da Sherman Scott (alias di Sam Newfield) con Roland Drew, Steffi Duna e Alan Ladd che ci racconta di Elsa e Hans, una coppia di intellettuali che cerca di combattere il nazismo. Scoperti, i due verranno internati in un campo di concentramento dal quale riusciranno a fuggire poco prima dell’inizio della guerra. Quando venne proiettato fu criticato poiché considerato troppo offensivo e compromettente, infatti al titolo fu tolto il nome di Hitler, e il film subì numerosi tagli.
Negli anni ’40 il cinema iniziò a mostrarsi meno gentile nei confronti del Terzo Reich. In quell’anno esce Night train to Munich in cui, per la prima volta, ci vengono mostrati i campi di concentramento in cui viene rinchiusa Anna (Margareth Lockwood), figlia dello scienziato cecoslovacco Axel Bomasch (James Harcourt), fatto fuggire in Inghilterra per sfruttare la sua conoscenza degli armamenti. In quella prigione, Anna incontrerà Karl (Paul Henreid) con il quale riuscirà a fuggire e a raggiungere il padre, per poi scoprire di essere stata ingannata proprio da Karl.
The man I married (I married a Nazi, USA) di Irving Pichel con Joan Bennett, Francis Lederer e Anna Sten, ci racconta invece di Carol, ingenua critica d’arte americana, che si sposa con Eric Hoffman, dal quale ha un figlio, e con loro viaggia attraverso la Germania durante l’invasione dell’Austria e della Cecoslovacchia. Resasi conto della pericolosità del nazismo, e dell’infatuazione del coniuge per questa malsana ideologia, Carol deve cercare un modo per riportare lei e il figlio in America.
Sempre nel 1940 esce uno dei capolavori di Charlie Chaplin e primo suo film sonoro, Il Grande Dittatore (The Great Dictator, USA), film che gli fa conquistare cinque candidature agli Oscar, anche se non ne vincerà nessuno, parodia del nazismo che portò al regista qualche problema di censura. In Europa fu proibito proiettarlo dal 40 al 45, in Italia uscì nel 49 pesantemente tagliato e dal doppiaggio volutamente riadattato, rieditato successivamente nel 72 e nell’88 per la versione home video. Nel 2016 la Cineteca di Bologna si occupa del restauro della pellicola che viene presentata l’11 gennaio al Cinema Odeon di Firenze.
Nel 40 esce anche L’ebreo errante (Der ewige Jude) di Fritz Hippler, film di propaganda antisemita in cui vediamo anche i ghetti in Polonia, nato per volere del ministro Goebbels, in cui vengono mostrate verità stereotipate ed esagerate atte a dimostrare l’inferiorità degli Ebrei contrapposta alla perfezione della “razza ariana”. Distribuito dopo Suss l’Ebreo, questo film si rivelò un flop in Germania, dove il pubblico non apprezzò la mancanza di star nel cast e lo stile documentaristico.
Il 1941 è l’anno di uscita di Così finisce la nostra notte (So ends our night, USA) di John Cromwell, la storia della fuga dal nazismo di due uomini e una donna attraverso l’Europa con Glenn Ford, Margareth Sullavan e Fredric March.
Nel 1942 Irving Pichel torna a parlare di nazismo con The pied piper (GB), dove un anziano inglese, in vacanza in Francia, viene sorpreso dall’invasione nazista e cerca di rientrare nel suo paese. Durante il lungo tragitto, si uniranno a lui dei bambini, tra cui due Ebrei, con i quali cercherà di fuggire in Inghilterra con l’aiuto di alcuni amici. Ernst Lubitsch dirige invece una satira sul nazismo con Vogliamo vivere! (To be or not to be, USA), ultima interpretazione di Carole Lombard che morirà poco dopo la fine delle riprese in un incidente aereo.
Il 1943 è l’anno di Il pazzo di Hitler (Hitler’s madman, USA) di Sirk Lukas, basato sulla strage di Lidice dopo l’assassinio di Heyndrich, e Hitler’s children (USA) di Edward Dmytryk, un film denuncia dell’indottrinamento nazista ai giovani.
Nel 1944 arriva il primo film che mostra apertamente i crimini nazisti contro gli Ebrei con Nessuno sfuggirà (None shall escape, USA) di André De Toth, che racconta del processo di Varsavia di un criminale di guerra e, attraverso le parole dei testimoni, ripercorriamo i crimini compiuti dal nazista. …e domani il mondo (Tomorrow, the world!, USA) di Fenton Leslie invece ci racconta di un giovane indottrinato dalla ideologia nazista il quale, una volta trasferito in America dallo zio, piano piano inizia ad apprezzare i valori democratici statunitensi.
La settima croce (The seventh cross, USA) di Fred Zinnemann è il primo film in cui i campi di concentramento non ci vengono mostrati solo come prigionie per i dissidenti ma anche per gli Ebrei; nel cast Spencer Tracy e Jessica Tandy.
Cercando di far apparire il campo di Theresienstadt come un ghetto modello, soprattutto agli occhi della Croce Rossa in procinto di visitarlo, nel 1944 Kurt Gerron (attore e regista ebreo rinchiuso nella struttura) dirige il film di propaganda Terezin: Un documentario sul reinsediamento degli ebrei (Theresienstadt. Ein Dokumentarfilm aus dem jüdischen Siedlungsgebiet, Germania), in cui compaiono anche Leo Baeck (rabbino, filosofo ed educatore), Hans Krasa (compositore ceco) e Jo Spier (artista).
In Polonia invece Aleksander Ford a luglio del ’44 gira Majdanek – Il Cimitero d’Europa (Majdanek – cmentarzysko Europy / Majdanek – The Graveyard of Europe), documentario che, per la prima volta, mostra al mondo le camere a gas e le atrocità compiute dai nazisti.
Ormai la verità sugli atti dei nazisti sono diffuse e nel 1945 escono diversi documentari che mostrano la realtà vissuta dai prigionieri nei campi. La liberazione di Auschwitz (Аушвиц / The Liberation of Auschwitz), girato dai sovietici durante l’evacuazione di Auschwitz Birkenau, I mulini della morte (Die Todesmühlen / Death Mills), dove invece sono gli americani a mostrarci i campi di sterminio. The Nazi plan, Nazi concentration camps di George Stevens ci parlano del progetto di genocidio, documentari che saranno usati come prova al Processo di Norimberga, a cui si aggiunge il breve That justice be done in cui si mostrano gli sforzi per portare i responsabili dell’Olocausto.
In 17 minuti, Don Siegel con il suo Hitler lives ci racconta il pericolo della deriva nazista e del bisogno di vigilanza per fare si che non torni al potere, mentre lo jugoslavo Jasenovac di Gustan Gravin & Hlavaty Kosta ci mostra il campo di concentramento omonimo. Purtroppo rimasto incompiuto, ci sarebbe anche il documentario di Sidney Bernstein e Alfred Hitchock Memory of the camps, edito per la Tv nel 84-85 e nel 2014, dove vengono mostrati i filmati di undici campi di sterminio dopo l’ingresso dei soldati americani.
Sempre nel 1945, Peter Godfrey dirige Berlino Hotel, adattamento del libro di Vicky Baum, in cui troviamo un gruppo di personaggi variegati che gravitano attorno all’Hotel Berlin sul finire della seconda guerra mondiale.
Ormai la guerra è finalmente finita e le atrocità commesse dai nazisti sono ormai di dominio pubblico, molti criminali verranno processati e pagheranno per le loro colpe, mentre altri riusciranno a mettersi in salvo grazie a governi compiacenti che non si faranno problemi a sfruttare la sapienza di alcuni scienziati tedeschi nonostante i loro trascorsi, protagonisti anch’essi di numerose pellicole che usciranno negli anni successivi.