Dopo il tracollo della civiltà, la giovane Furiosa viene rapita da un’orda di biker guidati dal signore della guerra Dementus, nonostante i tentativi della madre di riportarla a casa. Furiosa dovrà vedersela da sola affrontando diverse sfide e fronteggiando la brutalità delle Terre Desolate, ritrovandosi persino nel bel mezzo di una guerra tra la banda di Dementus e quella di Immortan Joe, mentre inizia a maturare una sempre più agognata vendetta.
La recensione di Furiosa: A Mad Max Saga
Sono passati nove anni dallo sconvolgente approdo nelle sale di Mad Max: Fury Road. Il regista George Miller, prima di rispolverare con quel film la saga post-apocalittica dei suoi esordi, era praticamente sparito dai radar. Prima di Fury Road, gli unici film diretti da Miller nell’arco di diciassette anni corrispondevano – nell’ordine – a Babe va in città, Happy Feet e Happy Feet 2. Eppure, nonostante una produzione ricca di complicazioni e i dubbi dei fan sul cambio dell’attore protagonista (Tom Hardy sostituì un non più così giovane Mel Gibson), il regista australiano tirò fuori dal cilindro uno spettacolare film d’azione con cui reinventò l’immaginario di Mad Max.
Fury Road è un film molto complesso, e non solo per via delle elaborate sequenze adrenaliniche: attraverso piccole pennellate si riesce a percepire la varietà del mondo costruito da Miller e dei suoi collaboratori, anche se ne vediamo solo uno squarcio, ed è un’opera che riesce ad affrontare diversi temi attraverso una narrazione volutamente ridotta all’osso, quasi essenziale. Il film vinse sei Premi Oscar e – senza esagerare – rappresenta uno dei film più iconici dello scorso decennio. È quindi inevitabile che Furiosa: A Mad Max Saga, prequel dedicato all’omonimo personaggio che in Fury Road era interpretato da Charlize Theron, si trovi a dover fare i conti con la pesante eredità di quell’opera.
Furiosa però non vuole essere semplicemente una ripetizione di ciò che è stato fatto in precedenza, e questo è messo in chiaro sin dai primi minuti: ci troviamo di fronte a una storia epica e divisa in capitoli, un’epopea in cui scopriamo le origini della protagonista – qui interpretata da una brava Anya Taylor-Joy e, inizialmente, dalla piccola Alyla Browne. La frenetica e interminabile cavalcata di Fury Road lascia spazio a un ritmo diverso, più compassato, e ad una maggiore esplorazione di quel mondo che recupera comunque tutta l’indimenticabile iconografia di quel film insieme a nuovi elementi di worldbuilding.
Ai personaggi già noti si aggiungono nuove figure fuori di testa, a cominciare dal villain principale Dementus, interpretato da un inedito Chris Hemsworth che per l’occasione sfoggia una protesi nasale e un esagerato accento australiano. Il personaggio di Hemsworth è un tronfio e grottesco cattivo dalla grande parlantina: fa da contraltare al più misterioso Immortan Joe e soprattutto a Furiosa, taciturna per gran parte della durata.
Coerentemente con quanto visto nel resto della saga, la protagonista imparerà infatti ad esprimersi tramite il rombo dei motori, e allo stesso modo Furiosa: A Mad Max Saga riesce – nei suoi momenti migliori – a dare vita a mozzafiato sequenze in cui, quasi come in un film muto, sono solo le immagini sullo schermo a contare e a portare avanti il racconto, senza bisogno di altro, mentre il rumore dei veicoli fa da tappeto sonoro all’azione. È un peccato che la componente visiva sia altalenante, a causa di una computer grafica non sempre impeccabile che fa apparire eccessivamente posticce alcune scene, anche se la pellicola fa sua sin da subito questa estetica senza compromessi, rendendola parte dell’atmosfera del film.
I soprusi subiti da Furiosa per tutta la durata portano la giovane protagonista a covare un sentimento d’odio, che non può che sfociare in un’implacabile sete di vendetta: nell’ultimo atto il film si rivela per quello che è, un solidissimo revenge movie, che tuttavia non si limita solamente a seguire la rivalsa della propria protagonista, ma intavola un discorso sulla caducità della soddisfazione portata dal compimento della propria vendetta – soprattutto nel confronto finale tra due personaggi speculari come Dementus e Furiosa. La protagonista dovrà fare i conti, anche nel corso di Fury Road in cui retrospettivamente il suo arco arriva a compimento, con il fatto che tornare indietro è impossibile.
Guardando il film sembra impossibile credere che George Miller abbia compiuto 79 anni quest’anno, essendo riuscito a confezionare un ottimo blockbuster dal linguaggio moderno e classico al tempo stesso. A un’opera così energica e spudoratamente vitale si possono perdonare piccolezze e difetti che in altri casi avrebbero fatto storcere il naso, come il pochissimo spazio concesso all’infanzia di Furiosa nel Luogo Verde delle Molte Madri; la gestione incerta e fantasiosa sull’invecchiamento (o il mancato invecchiamento) di alcuni personaggi già noti; il rapporto non così approfondito tra la protagonista e Immortan Joe.
Ciò che accade in Fury Road viene in una certa misura depotenziato ora che sappiamo che le sventure di Furiosa derivano in gran parte dall’operato di Dementus, anche se l’altro villain assurge comunque a simbolo di un potere corrotto e patriarcale. Anche in questo film, così come nel precedente, temi di questo tipo sono presentati da Miller in maniera naturale, senza prevaricare il centro della storia, come nei migliori film di genere.
Ciò che il regista non è riuscito totalmente a fare è stato liberarsi dall’ingombrante spettro dell’opera precedente che pervade Furiosa: A Mad Max Saga, e non solo attraverso gli ovvi riferimenti e il fan service. La scelta di far comparire scene di quel film durante i titoli di coda si rivela un’idea infelice, perché porta lo spettatore a fare immediatamente quel confronto che sarebbe stato meglio evitare. A quel punto è difficile non uscire dalla sala pensando “sì, bello, però Fury Road…”, invece di apprezzare quanto di buono visto fino a lì.