Freaks Out prende un po’ dal Cinema americano e un po’ dal Cinema italiano. Mischia il tutto in un cocktail che agita ben bene per 2 ore e mezza, e che serve allo spettatore.
Ci sono tante cose americane, e non sono sempre le più apprezzabili: il film rimane molto attaccato alla sua patria, con alcuni suoi vizi e alcuni suoi pregi (e i magnifici Giorgio Tirabassi e Aurora Giovinazzo sono sicuramente tra questi).
Regia e sceneggiatura
A parte qualche inquadratura forzata, che non sembra inserirsi perfettamente con le altre (anche se questo potrebbe essere un errore da attribuire al montaggio), Freaks Out, a livello puramente visivo, è affascinante. Incanta, come promette all’inizio Israel con i suoi fumi blu e un’introduzione favolistica (e sarebbe stato bello calcare ancora di più su questo taglio: ciò che c’è nel film però, già soddisfa). Un ottimo lavoro di Mainetti.
Lo spettatore non avrà voglia di contare i seggiolini, sbirciare le capocce delle altre persone, o mettersi a osservare il soffitto: Mainetti confeziona un film le cui immagini ti incatenano, e la fotografia, molto apprezzabile, in alcune scene più che in altre, collabora alla creazione della magia: la creatura di Mainetti vive.
Il film scorre, soprattutto nella prima parte: un inizio coinvolgente, un set up molto chiaro, perfettamente leggibile, che si riserva qualche sorpresa per la seconda parte (che appunto vuole più stupire con gli occhi che altro).
Freaks Out ha un inizio memorabile, molto chiaro: sistema sul palco tutti gli elementi che servono alla comprensione del film. Poi procede alla definizione dell’obiettivo dei protagonisti (e questa parte forse è un po’ confusa). Un difetto della sceneggiatura è che non è organica: è stata scritta probabilmente con l’intento di arrivare in certe scene – pensate isolatamente dal resto della sceneggiatura semplicemente perché belle o divertenti – senza però tirare le fila. La storia è portata avanti a mano a mano che il minutaggio avanza, ma appunto manca una direzione. La stessa storia ridotta all’osso poteva essere raccontata in meno di 2 ore e 20 minuti.
Il turning point di Freaks Out è un imprevisto in piena regola, che impedisce ai personaggi di raggiungere il proprio obiettivo. Anche qui, nulla di male. Da questo momento in poi ci si confonde un po’ in fase di scrittura: c’è un’enorme scena di tira e molla tra i personaggi, dopo l’imprevisto. E questo dà via a una serie di peripezie con al centro Matilde (la separazione dei personaggi contribuisce e non poco a rallentare il ritmo): qui c’è anche una scena che certo, ha significato di essere lì a livello storico, ma non c’entra nulla con la trama. Infatti vederla, infastidisce: presa in un altro contesto sarebbe stata una scena orribile (per la crudezza) e apprezzabile.
Vengono introdotti poi vari personaggi, e ci sono altre scene per nulla sensate o utili a mandare avanti la storia. Molto lentamente si giunge al finale: il villain sta per rivelare il proprio piano al mondo ma la scena è molto lunga, anche un po’ imbarazzante, e soprattutto… non è l’ultima scena. Il film prosegue ancora per almeno un quarto d’ora/venti minuti, ma sono i più ritmati e godibili di tutto il film, insieme all’inizio e a qualche isolata scena nello svolgimento.
Mainetti ha cercato di tenere insieme moltissime cose, tanti generi, tanti spunti: qualcosa gli è sfuggito.
Insomma, Freaks Out non annoia. Purtroppo però può risultare stancante. Sono 141 minuti di pellicola, non sempre resi digeribili da Mainetti. Se vuoi fare un film così lungo devi essere sicuro di poter poggiare i piedi su una sceneggiatura molto solida (a meno che non vuoi dichiaratamente fare cinema sperimentale, slegare l’ancora dal mare della sceneggiatura ed esplorare terre, luoghi sconosciuti): cosa che Freaks Out ha, e non ha.
Gabriele Mainetti mette in mostra una serie di cose che normalmente in molti film vengono censurate perché considerate migliori/peggiori se lasciate alla fantasia dello spettatore. Mainetti invece mostra, mostra e ancora mostra, cercando di stupire lo spettatore: ciò può infastidire.
Anche lui mette in piedi un suo circo personale: affascina – anche merito di un comparto addetto alla CGI fenomenale – ma può correre il rischio di essere stucchevole. Certe cose è meglio abbozzarle. Questo è comunque un buon passo nella definizione dello stile di un regista. Vedremo altre mirabolanti cose da Mainetti.
Cos’è Freaks Out, allora?
Per farla breve: la storia di base di Freaks Out è un buon punto di partenza, che però certe volte viene disatteso, un po’ dimenticato. Abbiamo un tipo di storia che può essere interpretato come americano. L’arco narrativo di Matilde in particolare, aderisce perfettamente al viaggio dell’eroe: questo la mette affianco a un personaggio come Wolverine in Logan. Matilde impara a rispondere alla vita, e non a subirla e basta: ed è Israel a spronarla in questo (e Israel è difatti il suo obiettivo).
Freaks Out è un freak film: uno strano essere di cellulosa che si muove in un panorama di pellicole che fanno tanto per assomigliarsi e poco poco per essere diversi, e quindi più uguali a se stessi.
Le storie non devono essere complicate, o ispirate a -, per essere buone: c’è una storia ovunque posiamo lo sguardo. Basta leggerle, e raccontarle. Freaks Out, e quindi Mainetti, vuole raccontare quelle che non vorrebbero sempre essere ascoltate.
Insomma, è tutto buono in questo film?
No, anzi: la pellicola ha alcune sbavature qui e là. La comicità dialettale – anche se non è solo comicità, anzi, ma uno stile di vita, un modo di rispondere ai colpi della vita con ironia – dopo un po’ è stucchevole.
La colonna sonora di Freaks Out, dopo una scena iniziale accattivante scompare e ritorna a farsi sentire solo a tratti.
Alcune scene potevano non esserci, e ciò avrebbe contribuito a snellire il film.
Certi escamotage di sceneggiatura sono un po’ campati per aria (LA motivazione di Matilde a non fare quella determinata cosa; vorrei scrivere di più ma non posso, perché faccio spoiler: ma capirai quando avrai visto il film), sganciati in un punto senza un minimo di approfondimento.
Freaks Out, di Gabriele Mainetti, è azzoppato, più dal punto di vista della storia che da altri, però ha più pregi che difetti.
Interpreti
Aurora Giovinazzo bravissima. Si muove da un estremo all’altro dell’espressività e non cede di un millimetro.
Claudio Santamaria decisamente bravo ad esprimere molte cose con solo l’ausilio del corpo.
Pietro Castellitto fisicamente molto calzante nel ruolo.
Giancarlo Martini non bravo: iconico. Non toppa neanche volendo, complimenti.
Giorgio Tirabassi, l’attore con più esperienza di questo gruppo, splende – e illumina lo spettatore – ogni volta che compare sullo schermo.
Dati tecnici
Regia: Gabriele Mainetti. Sceneggiatura: Gabriele Mainetti, Nicola Guaglianone. Cast: Giorgio Tirabassi, Aurora Giovinazzo, Claudio Santamaria, Pietro Castellitto, Giancarlo Martini, Franz Rogowski, Anna Tenta, Max Mazzotta, Sebastian Hulk. Colonna sonora: Gabriele Mainetti, Michele Braga. Scenografia: Massimiliano Sturiale. Costumi: Mary Montalto. CGI: Maurizio Corridori, Stefano Leoni. Produzione: Goon Films, Lucky Red, Rai Cinema, GapBusters. Paese di produzione: Italia, Belgio. Durata: 141 minuti. Rapporto (a.r.): 2,39:1.