Spesso quando pensiamo alle grandi attrici del passato i nomi che vengono alla mente sono quasi sempre i soliti. Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Marilyn Monroe, Brigitte Bardot, ma tutte loro non potrebbero fregiarsi della definizione di diva se non grazie a lei, per la quale il termine fu coniato: Francesca Bertini, nata Elena Seracini Vitiello, grande protagonista del cinema muto italiano all’inizio del secolo scorso.
Bellissima con lunghi capelli corvini, sguardo intenso, forte presenza scenica e alcuni atteggiamenti “particolari”, tra cui avere sempre un abito nuovo cucito su misura per ogni scena e lo stop ai lavori alle 17 per prendere il thè con le amiche, incarnazione della donna passionale e fatale in gran voga a inizio ‘900, elevate qualità drammatiche e grande tecnica recitativa, ispirò l’appellativo diva. Ma non solo, la parola bertineggiare diventò “un’espressione corrente per alludere a gesti di disperazione plateale” (Fonte: Treccani)
Insieme a Lyda Borelli, altra grande attrice italiana dell’epoca, la Bertini dominò nelle sale cinematografiche per quasi tre decenni, e fu spesso paragonata a Greta Garbo, ritenendo però che l’attrice svedese ricevesse più “favori” in confronto a lei, infatti dichiarò:
“Per esempio nella versione cinematografica di Tosca del 1918, dove io interpretavo la protagonista dell’opera, quando uccido Scarpia, accoltellandolo, la mia mano alzandosi tendendo l’arma, va fuori inquadratura; per una scena così importante del film era una cosa inaccettabile. Se al mio posto ci fosse stata Greta Garbo, la scena sarebbe stata eliminata per girarne un’altra; io invece, chiedendo di rifare la scena, venni ignorata, perchè il produttore non voleva sprecare denaro in pellicola”.
Francesca Bertini, la diva
Figlia dell’attrice di prosa fiorentina Adelaide Maria Frataglioni, e successivamente adottata da Arturo Salvatore Vitiello, trovarobe napoletano, Elena nasce a Prato il 5 gennaio 1892 ma trascorre la sua infanzia a Napoli, dove inizia fin da piccola a calcare il palcoscenico del teatro nella compagnia di Eduardo Scarpetta con i nomi d’arte Cecchina Bertini e Franceschina Favati.
Nel 1908 partecipa al film amatoriale di Salvatore di Giacomo La dea del mare ma, durante uno spettacolo teatrale, Elena viene notata da Gerolamo Lo Savio, il quale aveva appena fondato con Ugo Falena la filiale romana di Pathé Frères chiamata la Film Arte Italiana e, a soli 21 anni spinta dalla voglia di emergere e non restare relegata al ruolo di commediante, Elena si trasferisce a Roma e assume il nome d’arte Francesca Bertini.
Nella capitale l’attrice girerà decine di film, che la renderanno la regina incontrastata del cinema italiano di quel periodo: Il trovatore di Louis Garnier (1910), Pia Dè Tolomei, Re Lear, Il mercante di Venezia, Salomé, Romeo e Giulietta, Tristano e Isotta. Nel 1915 arriva il suo primo ruolo da protagonista in L’Histoire d’un Pierrot di Baldassarre Negroni, ma fu con Assunta Spina diretto da Gustavo Serena che Francesca Bertini diventò una stella del cinema.
Come disse il regista in seguito, la Bertini non si limitò a recitare, ma volle anche avere voce in capitolo nella realizzazione del film, proponendo idee, cambiando le angolazioni della macchina da presa e, se non soddisfatta della scena, questa veniva girata finché lei non ne fosse pienamente soddisfatta.
Sfruttando il fatto che la femme fatale fosse di moda in quel periodo la Cines, casa di produzione alla quale era passata l’attrice, decise di proporre una serie di film ispirata a I sette peccati capitali di Eugene Sue, vizi tutti interpretati dalla Bertini in modo che lei potesse esprimere il suo talento attoriale carismatico e passionale ma, seppur all’annuncio l’idea avesse riscosso parecchio interesse e attirò parecchi investitori, al debutto del 1919 non ci fu il successo sperato. Dopo questa delusione, Francesca si ritirò per un breve periodo in una clinica per riposarsi.
Questo inciampo però non frenò la notorietà della Bertini, la quale si riprese il suo successo con il film Anima allegra di Roberto Roberti (1919) e in La fanciulla d’Amalfi, suo ultimo ruolo da protagonista, e ricevette una ricca offerta dalla FOX ma lei declinò, in quel periodo infatti l’attrice frequentava il banchiere svizzero Alfred Cartier con il quale convolò a nozze a settembre del 1921. La sua carriera subì un brusco rallentamento. Come ebbe a dire in seguito “mio marito voleva che mi occupassi solo della famiglia, io comunque sono rimasta ferma sul lavoro ben volentieri, non ho rimpianti, anzi”
Va anche detto che in quel periodo stava iniziando a prendere piede il sonoro e la Bertini non aveva una bella voce tant’è che nel 1934 girò Odette, secondo e ultimo film sonoro a cui ha partecipato Francesca dopo La donna di una notte (1930), ma fu doppiata da Giovanna Scotto diventando così la prima attrice ad essere doppiata nella sua lingua.
Durante gli anni successivi Francesca Bertini partecipò a diversi programmi televisivi e interviste, nel 1969 pubblicò la sua autobiografia Il resto non conta, in cui incluse e ampliò ciò che aveva pubblicato nel 1938 a puntate su di una rivista di cinema, partecipò a diverse pellicole in ruoli secondari e Bertolucci la volle in Novecento (1976), dove la la Bertini partecipa con un piccolo cameo vestita da suora.
Nel 1976 un episodio di Bontà loro, talk show condotto da Maurizio Costanzo trasmesso in seconda serata, dedicato a Francesca Bertini registrò quasi 12 milioni di spettatori, segno che la notorietà della diva del muto ancora non era calata. Qualche anno più tardi, nel 1982, Gianfranco Micozzi diresse un documentario su Francesca dal titolo evocativo L’ultima Diva, ultima apparizione dell’attrice sullo schermo.
Francesca Bertini muore a Roma il 13 ottobre 1985 all’età di 93 anni.