The Farewell – Una bugia buona (The Farewell)
Regia: Lulu Wang; soggetto: dal racconto breve di Lulu Wang What you don’t know; sceneggiatura: Lulu Wang; fotografia: Anna Franquesa Solano; montaggio: Matt Friedman, Michael Taylor; scenografia: Yong Ok Lee; costumi: Vanessa Porter, Athena Wang; colonna sonora: Alex Weston; interpreti: Awkwafina (Billi Wang), Tzi Ma (Haiyan Wang), Diana Lin (Jian Wang), Zhau Shuzen (nonna Nai Nai), Lu Hong (sorella di Nai Nai), Jiang Hong Bo (zio Haibin), Chen Han (Hao Hao), Aoi Mitzuhara (Aiko), Li Xiang (zia Lin); origine: Stati Uniti – 2019; produzione: Daniele Melia, Peter Saraf, Marc Turtletaub, Andrew Miano, Chris Weitz, Jane Zheng, Anita Gou per Big Beach, Depth of Field, Kindred Spirit; lingua originale: inglese, mandarino; durata: 100′
Trama
New York, oggi. La trentenne Billi (Awkwafina) ha lasciato a 6 anni la Cina per gli Stati Uniti. Nubile, cerca di rendersi indipendente facendo piccoli lavoretti e attende una risposta dalla Fondazione Guggenheim per una prestigiosa borsa di studio. Molto legata alla nonna Nai Nai, rimasta nella città natale, Billi parla spesso con lei al cellulare. Vediamo la nonna nell’atrio di un ospedale, in attesa di conoscere i risultati di alcuni esami clinici; per non far preoccupare la nipote, l’anziana signora mente, dicendo di trovarsi a casa della zia. Billi è ormai una tipica ragazza americana e ricorda poco della Cina, a malapena parla la lingua ed è abituata a spendere troppo con le carte di credito, motivo questo di una certa tensione con la madre. In una lettera, la Fondazione respinge la domanda di Billi per la borsa di studio. Ella, in ritardo con l’affitto, lascia il suo appartamento per tornare ad abitare dai genitori, senza tuttavia rivelare loro nulla. In casa si respira un’aria strana e Billi ne domanda il motivo al padre. Scopre che la sua amata nonna sta morendo, per un tumore ai polmoni di cui non sa nulla. Con la scusa del matrimonio di un cugino, tutti gli zii si sono organizzati ,dal Giappone e dall’estero, per raggiungere la nonna e passare con lei i suoi ultimi giorni, senza però dirle nulla della malattia;Billi non è invitata alla riunione di famiglia, poichè i parenti temono che non possa nascondere le sue emozioni. La ragazza non si rassegna, parte da sola e raggiunge Changchun. Tutti sono sorpresi di vederla, la nonna è estasiata di riavere con sé per qualche giorno la sua nipote preferita. Billi accetta di mantenere il segreto e questa è un’occasione per riscoprire il paese che ha lasciato da bambina, ma l’infanzia è ormai trascorsa e nonostante i legami profondi di affetto Billi si scopre sospesa in un limbo, non sentendosi nè cinese nè americana.
La conferenza stampa e il commento del redattore
The Farewell – una bugia buona arriva alla Festa del Cinema di Roma dopo il successo riscosso al Sundance Film Festival di quest’anno, dove è stato presentato in anteprima. Il film è piaciuto molto, anche per la sua struttura atipica: si basa su un segreto, ma manca la catarsi della rivelazione e il momento culminante arriva un attimo prima dei titoli di coda, in cui l’autrice rivela il contenuto autobiografico che l’ha spinta a trasformare in film un racconto che è la storia di un vissuto personale. Lulu Wang si considera una cineasta, ma What you don’t know è stato inizialmente letto alla radio in una puntata dello show This american Life. Così la regista spiega la scelta:”Io volevo che la storia fosse un film, fin da quando l’ho scritta. I primi produttori che ho contattato però non erano convinti e mi proponevano modifiche per aumentarne il fascino commerciale. Lo show in radio mi ha dato modo di approfondire certi aspetti, permettendomi di girarla come volevo io. Ci sono degli elementi che ho cambiato in funzione della trasposizione, ma le vicende sono essenzialmente vere, così come le ho vissute”. Per Wang girare in Cina è stato intenso e racconta: “Changchun è davvero la città natale della mia famiglia e il cimitero che si vede è quello dove è sepolto mio nonno. Il racconto da cui nasce il film è anche un omaggio alla sua memoria: credo che egli desiderasse di essere uno scrittore, ma è morto prima di realizzare questo suo sogno. Onorarlo è stata un’esperienza spirituale e difficile perché attinge alla mia realtà familiare, quindi avevo l’obbligo di essere rispettosa ma sincera. Quando ho chiesto ai miei genitori un parere, mio padre mi ha risposto che ero stata anche troppo autentica! Si aspettavano un filmetto noioso e sono rimasti spiazzati dalla reazione entusiastica del pubblico”. Altro tema cruciale della pellicola è il rapporto tra gli emigrati e la madrepatria, che si ricollega anche con l’attualità. In modo forse paradossale chi è costretto ad allontanarsi dalla terra natìa risulta molto più attento al rispetto di antiche tradizioni che in patria vengono ormai considerate sorpassate: ne sono la dimostrazione le varie “Chinatown” presenti nelle metropoli occidentali, all’interno delle quali viene perpetuata l’immagine – anche stereotipata – di una nazione che non c’è più,tesa com’è all’inseguimento dello stile di vita occidentale per modernizzarsi. La protagonista esprime alla perfezione lo smarrimento davanti a una realtà ambigua e mutevole, così radicalmente cambiata in pochi anni da apparire irriconoscibile. L’originalità del film sta anche nei modelli cui Wang ha attinto: nonostante un cast completamente asiatico, nel film domina la sensazione di assistere a un lavoro ispirato allo stile di Alexander Payne (Sideways – In viaggio con Jack, Paradiso Amaro)o Mike Leigh (Segreti e bugie), con un tocco di leggerezza in più: non mancano infatti momenti esilaranti che conferiscono all’insieme un tono meno solenne,più godibile per lo spettatore.
Voto: 7