La nostra recensione di Favolacce si ispira a un film che veramente abbiamo visto. Il film “è ispirato a una storia vera. La storia vera è ispirata a una storia falsa. La storia falsa non è molto ispirata”. Con la voce narrante esterna di Max Tortora, i fratelli D’Innocenzo riprendono l’espediente narrativo da cui inizia il più celebre romanzo italiano: Alessandro Manzoni utilizzò la finzione dell’Anonimo del manoscritto per narrare I Promessi Sposi. Prima dello scrittore italiano, anche Miguel de Cervantes per Don Quijote e Ludovico Ariosto per Orlando Furioso si erano serviti di questo topos per la loro narrazione. Nel caso del film si tratta di un diario scritto da una bambina e ritrovato dal narratore.
Nonostante la triste situazione sanitaria, Favolacce riesce a conquistare critica e pubblico. Presentato in anteprima al Festival internazionale del Cinema di Berlino il 25 Febbraio 2020, riceve l’Orso d’argento per la migliore sceneggiatura (a Damiano e Fabio D’Innocenzo); vince anche 5 Nastri d’Argento (Miglior film, Miglior produttore, Migliore sceneggiatura, Migliore fotografia, Migliori costumi) su 10 candidature e 2 Globi d’oro (Miglior regista, Miglior sceneggiatura). Disponibile on demand a partire dall’11 Maggio 2020, è ora incluso nell’abbonamento Amazon Prime Video. Con la riapertura parziale delle sale, nelle scorse settimane ha superato i 100000 euro d’incassi, diventando il miglior nuovo incasso post lockdown.
Favolacce ha il pregio di raccontare le famiglie italiane in diversi contesti relazionali e sociali e di indagare in quei punti di debolezza critici che da anni fanno discutere in merito alla cultura della ‘famiglia’. Il film invita a riflettere criticamente sull’apparenza e sulla sostanza, a partire dalla famiglia, il cui capostipite è interpretato da Elio Germano. Tutti vivono in un quartiere residenziale volutamente reso simile a quelli dei film o meglio di un’architettura tipicamente statunitense e tutti i figli nei vari nuclei familiari appartengono ad una scuola privata che offre un’istruzione socialmente percepita come eccellente.
In realtà nonostante questi aspetti in comune, nella sostanza, nel privato delle mura domestiche, ogni figlio vive un’esperienza di osservazione e silenziosa critica nei confronti dei genitori. Siamo spettatori di altri spettatori e i veri protagonisti del film sono proprio i comportamenti delle figure genitoriali. Emblematica è la scena nella quale Elio Germano distrugge la piscina orgogliosamente e con tanti sacrifici acquistata per i figli: un po’ in risposta allo stress con cui gestisce il fatto che tutto il vicinato sia costantemente a casa sua e quindi lui non sia più padrone della sua intimità, un po’ scottato dal fatto che la figlia del vicino di casa fintamente amico, abbia preso i pidocchi proprio lì.
Nell’altro nucleo familiare di Favolacce è evidente quanto rilevi l’apparenza, tanto nel confronto con i vicini di casa, tanto nel rapporto con la prole: significativa a tal proposito è la scena in cui la giovane figlia, Viola (Giulia Melillo), deve tagliare tutti i capelli e quasi automaticamente, viene guardata diversamente dal suo stesso papà, Pietro Rosa (Max Malatesta).
E come non dare conferma di tutto quanto analizzato finora se non osservando la famiglia di Geremia Guerrini (Justin Korovkin), composta soltanto dal suo papà (Gabriel Montesi): per tutto il film ci viene mostrato come un uomo disfunzionale, irresponsabile, infantile, precario e completamente inadatto a fare il genitore; in realtà, quando la situazione precipita, sebbene non abbia nulla da offrire a suo figlio, è disposto a mettere in gioco tutta la sua vita per allontanarlo da quel contesto degradante che lo sta risucchiando. Diviene, inaspettatamente, la figura più responsabile tra tutte quelle narrate in Favolacce. È anche vero che è l’unico a non risiedere nel quartiere fintamente idilliaco con i prati all’inglese.
È profonda ed articolata l’analisi sociale sottesa alla realizzazione di Favolacce ed abbraccia il complesso contesto famigliare, educazionale e generazionale che è intrinseco al rapporto genitori-figli. In un mondo in cui i ragazzini sono sempre più svegli e precoci ed i genitori sempre più stanchi e sopraffatti, il dialogo tra loro manca. Esattamente come manca nel mutismo carico di giudizio che i bambini di Favolacce dedicano ai loro genitori per tutto il tempo.
Favolacce: il capolavoro dei fratelli D’Innocenzo
Tornando a parlare di dati tecnici, Favolacce è perfetto sotto ogni punto di vista. In particolare la regia degli autori de La terra dell’abbastanza è minuziosa e simbolica: spesso i fratelli D’Innocenzo preferiscono dare più risalto alla paradossalità della storia non concentrandosi sui personaggi, ma riprendendo dall’alto o da lontano e cogliendo lo stesso tutti i particolari; oppure le azioni dei protagonisti vengono seguite passo passo con telecamere anche sott’acqua o galleggianti nella scena in cui i bambini sono a mare; la regia diventa simbolica, invece, quando si sofferma sui volti dei bambini con primissimi piani sfocando il contesto.
Anchela gestione delle luci e la scenografia di Favolacce sono perfette, ma ci soffermiamo sulla colonna sonora: le note stordenti e penetranti che accompagnano la narrazione ci trasmettono il malessere che vivono i protagonisti, rendendo drammatico ogni momento della storia, persino quello meno triste. Città notte di Egisto Macchi, un album poco noto dell’avanguardia italiana anni ’70, è selezionato dai fratelli D’Innocenzo per il loro film, in una colonna sonora che termina con la seicentesca Passacaglia della vita, in cui Rosemary Standley canta senza fine: “Bisogna morire, bisogna morire”.
La pluripremiata sceneggiatura di Favolacce, firmata da Damiano e Fabio D’Innocenzo, mostra dialoghi decisi, in cui spesso le parole si perdono nella tragicità della situazione. Una favola che, però, ci lascia con un po’ d’angoscia e turbamento. Tuttavia, lo scopo dell’arte, tra cui il cinema, è soprattutto emozionare lo spettatore e questo film ci è proprio riuscito!
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