Si scrive Diego, si legge Bad Balo. Questo il protagonista di El Campeón, pellicola dell’anno scorso, il 2024, firmata alla regia da Carlos Theron, nonché, scopro adesso, remake spagnolo de Il Campione, pellicola del 2019 diretta dal romano Leonardo D’Agostini.
Il concept di base non deve essere malvagio, siccome l’originale nostrano, con, tra gli altri, Andrea Carpenzano e Stefano Accorsi, ha ottenuto candidature ai David di Donatello e ai Globo d’Oro, aggiudicandosi addirittura due Nastri d’Argento su quattro nomination alla kermesse ospitata a Taormina.
D’altronde l’idea, forse già vista, è teoricamente efficace: un giovane fuoriclasse del pallone, dalla testa calda, a cui viene appioppato un Maestro carico di paure e mancanze, il quale dovrebbe aiutare la stellina a superare le proprie, permettendogli di esprimere a pieno lo straordinario talento calcistico di cui è dotato.
Beh, teoricamente scrivevo. In pratica, però, l’opera del regista iberico, diciamo così, lascia decisamente a desiderare…
El Campeón, è mejor fare lo spregiudicato procuratore…
Il Genio è colui che assomiglia più a sé stesso. Questa è una delle frasi a effetto che insegna mio fratello all’Università, immerso com’è in questioni poco pratiche, tipo i libri e i silenzi.
Che belle parole, che profondità, che onestà… peccato, caro fratello-Maestro, che se non fosse per me e l’offerta di lavoro che ti ho propinato, quella di mettere a posto Diego, aka El Campeón, per i debiti ti saresti venduto pure la casa di Vicolo Stretto. Ma certo, quella ereditata dalla lontana parente delle probabilità, conosciuta altresì con l’appellativo di Mamma. La casa dove tu abiti, insomma.
Io, di contro, sono piuttosto soddisfatto della mia vita. Forse noi procuratori siamo il male, forse mi piacciono troppo i soldi, forse pecco di superficialità. E chissenefrega, almeno non ho l’agorafobia. Lo sai che voglio il meglio per te, questa è un’occasione più unica che rara. 100.000 euro per dare lezioni di gestione della rabbia a un 18enne dislessico con i piedi da Ronaldo. Ma quando ti ricapita. E poi lo faresti per il nostro Atlético, non devi odiare la tua squadra del cuore a causa di papà…
El Campeón, premesse interessanti ma personaggi piatti
Tralasciando commenti circa la discutibile resa su schermo delle azioni di gioco, il film non si presenta male, anche grazie alle suggestive immagini del Metropolitano, l’impianto dove, dal 2017, l’Atlético Madrid disputa le partite interne.
Ma l’illusione di un prodotto godibile dura sino a che Juanma, l’agente di Diego interpretato da Luis Fernández, quello del paragrafo qui sopra, mantiene un ruolo di primo piano nella vicenda, essendo, nella sua brillante spregiudicatezza, un valido specchio per i vari personaggi che si alternano in scena.
Quando il peso della narrazione passa tutto sulle spalle dei due protagonisti, Diego e Alex, il Maestro, ecco che il castello di carte crolla.
Se il personaggio interpretato da Swit Eme, infatti, si fa notare più per testate ai compagni (con relativa squalifica) e feste al sapore di niente, quello interpretato da Dani Rovira, nelle intenzioni, vorrebbe essere uno profondo, al di là degli schemi imposti dalla società.
Peccato che se si vuol ritrarre un personaggio del genere, banalmente, occorre fare un film di spessore, cosa che, non serve essere Marzullo per dirlo, El Campeón non è.
Anzi, quasi comico, se non fosse kitsch, il fatto di attribuire la presunta profondità di Alex al suo leggere libri, o al non apprezzare i locali affollati, o al ritenere che il denaro non sia tutto. Luoghi comuni abbastanza insopportabili, presentati in quel modo.
Quasi superfluo, a questo punto, specificare che il rapporto sviluppatosi tra i due è privo di interesse per lo spettatore, senza alcun tipo di complessità.
El Campeón, i diversi tipi di intelligenza
Durante una cena, tra un calice di vino e l’altro, poi, ecco giungere il discorso di Alex sui diversi tipi di intelligenza, che io non ho alcuna intenzione di elencare in questa sede.
Tutta la ciurma di Diego è riunita a tavola, dal padre che ha fatto tutto per lui col ceffone facile, alla fidanzata gnocca che si lamenta dei suoi atteggiamenti ma non lo molla (Rose B, sei più bella che intelligente…), fino agli amici parassiti e scrocconi di cui il ragazzetto si circonda. Macchiette, nulla più, sia chiaro.
Riassumendo, dalle parole di Alex viene fuori che, sebbene Diego sia semi-analfabeta e incapace di gestire i rapporti con le persone e il proprio mondo interiore, è praticamente un genio sotto altri aspetti, basti pensare alla sua coordinazione motoria, nonché alla capacità di percepire sè stesso e gli altri a livello spaziale, per non parlare della velocità con cui risolve il cubo di Rubik durante i pit-stop al bagno.
(Incredibile, se sei uno dei migliori al mondo a fare qualcosa, hai un qualche tipo di intelligenza di base. Non lo avrei mai detto, meno male che c’è Netflix…).
Appena un piccolo problema in ciò: ci dobbiamo fidare. Di Diego non abbiamo mai visto una partita, come, del resto, di Alex non abbiamo mai sentito una frase particolarmente acuta, ma soltanto accusare il fratello di essere scaltro, mica intelligente come lui (tra i millemila tipi di intelligenza, caro Alex, sul serio non lo trovi un posticino per la scaltrezza?). In ogni caso, qualità attribuite dalla sceneggiatura, che non traspaiono – sarebbe impossibile – dalla visione del film.
Per questo, alla fine, preferisco “l’onesto” Juanma. La sua brillante spregiudicatezza, almeno, è percepibile in concreto.
Nota conclusiva
Non ho voluto rivelare troppo, quindi ho limitato alcune considerazioni che si potevano fare.
Mi si conceda, però, sempre senza spoiler, di sottolineare l’unico tocco artistico che il regista, il già citato Carlos Theron, è riuscito a dare alla pellicola. La conclusione dell’ultima scena, infatti, per quanto furba, è una intuizione inaspettata, e a suo modo perfetta.