Dracula – L’amore perduto (Dracula: A Love Tale) è l’ultima trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo scritto dall’irlandese Bram Stoker nel 1897, distribuito nelle sale italiane da Lucky Red il 29 ottobre, dopo la sua presentazione del 24 ottobre alla Festa del Cinema di Roma 2025. Precedentemente era già uscito il 30 luglio nei cinema francesi, patria del suo regista e sceneggiatore, Luc Besson. Non a caso, oltre alla Transilvania, la storia si svolge soprattutto a Parigi e l’opera riesce a proporsi come un giusto mix gotico di sentimentale e horror.
Dracula, errante soldato spinto dal suo cuore
Nel suo nuovo film Luc Besson riesce a portare diversi temi, tutti ricondotti a un unico focus, l’amore. Il sottotitolo, soprattutto in inglese (A Love Tale, ovvero “una storia d’amore”), è più forte del titolo stesso delineando un’opera molto sentimentale, ma allo stesso tempo riflessiva, cercando quasi di donare un racconto di redenzione a un personaggio tratteggiato per lo più negativamente nella sua storia culturale. Ti consigliamo di continuare a leggere solo se hai già visto il film poiché potremmo addentrarci in zone più specifiche di Dracula – L’amore perduto.
Innanzitutto, il lungometraggio si apre con una serie di fotogrammi molto romantici che potrebbero rappresentare la fine di una fiaba, il lieto “e vissero felici e contenti”, che non vedremo mai qui: un principe e una principessa, bellissimi entrambi e molto affiatati, felicemente sposati, si amano, ma una guerra è pronta a scuoterli. L’amore perduto si riferisce proprio alla perdita dell’amata da parte del protagonista e alla sua relativa ricerca esasperata per secoli, ma anche alla mancanza di amore in qualsiasi sua forma e al rifiuto della fonte dell’amore, intesa come Dio.
Da questo momento Dracula diventa il vampiro per eccellenza, il non morto, colui che deve nutrirsi del sangue degli esseri viventi per sostenersi: in lui l’amore non è riuscito neanche a diventare la morte, che di solito si contrappone a esso, come due facce della stessa medaglia; è incompleto, irrequieto, ma in qualche modo cerca sempre legami. Gli antichi Greci distinguevano diverse forme d’amore: quello parentale-familiare (storghé), l’amicizia (philia), il desiderio erotico e allo stesso tempo romantico (eros) e l’amore più prettamente spirituale (agape).
Anche in questo caso Luc Besson cerca di collegarli tutti al suo protagonista: eros per Elisabetta, philia per i suoi seguaci vampiri e agape alla fine per Dio, quando si pente e si riunisce con la sua parte spirituale. Anche la devozione, che pone il suo centro nella fede, è una forma d’amore, quella rivolta a Dio; è riconducibile anche all’agape, ma quest’ultimo è identificato all’amore disinteressato, ovvero la condizione del protagonista del finale.
Il dialogo con il personaggio di Waltz, un prete sui generis, riesce ad allontanare l’amor proprio di Vlad dal suo cuore, ricordandogli che non ha mai combattuto per Dio, ma solo per sé stesso: Dio non chiede di distruggere le sue creazioni, nessuna guerra è mai stata religiosa, ma la religione è diventato strumento per combattere per molti uomini nella storia; Dracula comprende che amare non vuol dire incatenare un’altra persona, ma lasciarla andare al proprio destino.
Caleb Landry Jones riesce ad unificare tutti gli aspetti del principe di Valacchia nella sua persona e a portare in scena un vampiro magnifico sia nei combattimenti sia nelle scene più romantiche. Non a caso il regista francese ha raccontato che il progetto è nato dal suo desiderio di lavorare nuovamente con questo attore dopo l’esperienza di Dogman del 2023 e ha pensato che per lui sarebbe stato ideale il ruolo di Dracula.
Nel cast, oltre al sempre ottimo Christoph Waltz, vorrei ricordare Matilda De Angelis: anche il suo personaggio era in preda a una forma molto sfrenata d’amore, ricordandomi a tratti il suo ruolo in Fuori. La scelta dei costumi, del trucco e delle acconciature ci rimanda al Dracula di Coppola solo per l’aspetto visivo perché le due opere differiscono molto. Da segnalare la superba colonna sonora di Danny Elfman, con note molto malinconiche e travolgenti.