Chi è Lucrecia Martel, regista, sceneggiatrice e produttrice argentina entrata sotto il mirino del grande pubblico per le affermazioni fatte in conferenza stampa sul nuovo film del regista polacco Roman Polanski
Nata il 14 dicembre del 1966 a Salta in Argentina, secondo la critica cinematografica Paul Julian Smith è tra le registe spagnole di maggior successo. Riconoscimento giunto da più parti e non da una sola voce: anche Haden Guest la considera una delle cineaste più talentose del panorama internazionale del cinema mondiale contemporaneo e nella rivista Vogue viene definita come “una delle più grandi registe del mondo in questo momento“.
Figlia di Ferdi e Bochi, la Martel è la secondogenita di sette figli. Fin dalle scuole elementare Lucrecia Martel, grazie anche allo zio, sviluppa una forte passione per la mitologia greca e latina, tanto da voler entrare, finita la quinta elementare, nella scuola secondaria ultra-cattolica Bachillerato Humanista Moderno (l’unica scuola che le poteva permettere di studiare le lingue antiche). I suoi genitori però non erano della sua stessa opinione, quello che più li disturbava era la forte tradizione elitaria che rinforzava le differenze di classe, ma, visto il potenziale di Lucrecia e l’elenco di volti ben noti presenti tra gli ex alunni, non le impedirono di frequentarla: superò l’esame di ammissione iscrivendosi così in prima media. La maggior parte delle persone che la circondavano frequentavano quella scuola perché lo volevano i genitori, al contrario di lei che la frequentava solo per avere la possibilità di studiare greco e latino. Se Lucrecia dice di essersi sentita sola durante il periodo degli studi, la madre descrive la figlia come una “studentessa radicale e stimolante”. Lucrecia Martel prende in mano per la prima volta una videocamera tra i 15 e i 16 anni. Suo padre ne aveva presa una per poter conservare i ricordi della loro grande famiglia. Il colpo di fulmine con il cinema però arriva quando ha 17 anni: Lucrecia Martel accompagna suo padre a Buenos Aires e lì ha l’occasione di partecipare alla proiezione cinematografica di Camila (1984), un film scritto e diretto da María Luisa Bemberg e prodotto da Lita Stantic (Camila narra la storia d’amore vera e tragica tra un prete e una giovane donna dell’alta società di Buenos Aires). Lucrecia rimane affascinata dalle donne creatrici del film e dal grande successo che il film ebbe. Da questo primo approccio la Martel “pensava che il cinema fosse un lavoro da donne […] confusione è rimasta con lei per anni”. Fresca di diploma la Martel pensava inizialmente di studiare fisica presso l’Istituto Balseiro, ma alla fine decise di iscriversi al corso di storia dell’arte all’Università Nazionale di Salta, nonché a corsi di ingegneria chimica e zoologia a Tucumán. Alla fine di quell’anno, Martel decide di abbandonare la sua città per andare a Buenos Aires e studiare pubblicità presso l’Università cattolica. Anche se la Martel afferma di aver perso la fede cattolica a 15 anni, all’università si è offerta volontaria per l’azione cattolica e ha sostenuto anche campagne contro l’aborto. Sentendosi a disagio, decise di prendere le distanze dalla fede e di lasciare la scuola per seguire il nuovo corso di laurea in scienze della comunicazione all’Università di Buenos Aires.
Questa è l’opinione della Martel a riguardo anche se alla fine “non ha fatto nessuna delle scartoffie per ottenere il diploma [effettivo]” ha sempre ritenuto la formazione ricevuta lì molto utile. Mentre frequentava l’Università di Buenos Aires Lucrecia Martel si iscrisse a un corso serale di animazione presso la Film Art Institute of Avellaneda (IDAC) situato a circa 8,5 km di distanza rispetto a dove viveva lei, un pendolarismo significativo al tempo. “Qualcosa dello spirito scientifico in me è rimasto e mi è piaciuto come l’animazione fosse molto tecnica, precisa e controllata.” Frequentando la scuola, iniziò a incontrare persone che stavano studiando cinema e iniziò così a produrre cortometraggi. Durante l’IDAC, decise di sostenere l’esame di ammissione per l’unica scuola di cinema finanziata dallo stato in quel momento: la National School of Film Experimentation and Production (ENERC). Per soli 30 posti si erano iscritte al test di ingresso ben 1.000 persone, i candidati dovevano frequentare un corso di qualificazione, per il quale Martel ha impiegato mesi di preparazione. Lucrecia Martel riuscì ad entrare ma la scuola chiuse per mancanza di fondi.
“Quando la scuola avrebbe dovuto iniziare la crisi economica era già così grave che non c’erano professori o materiali. Non avevamo lezioni. L’unica vera possibilità era studiare autodidatticamente, guardare film e analizzarli. Ho visto Pink Floyd: The Wall 23 volte, analizzando il montaggio. Guardavamo un film molte volte per sapere come è stato montato. Stavo imparando in molti modi diversi: partecipavo a cortometraggi che gli amici stavano facendo, aiutando con la produzione o la fotografia, qualsiasi cosa solo per continuare ad imparare.”
Negli anni all’IDAC, Lucrecia Martel ha diretto alcuni cortometraggi animati: El 56 (Il 56) del 1988 e Piso 24 (24esimo piano) del 1989. Come studente di cinema all’ENERC, la Martel ha invece diretto No te la llevarás, maldito (You Won’t Get Her, Bastard, 1989), un cortometraggio su un ragazzo geloso che sogna di uccidere il fidanzato di sua madre. Sempre da studentessa Lucrecia ha diretto un altro documentario: La otra (L’altro, 1990), al centro del racconto un uomo che parla delle gioie e dei dolori della sua vita come travestito, lo fa nel mentre che si sta veste da donna per cantare tangos in una discoteca. Nel 1991 Lucrecia Martel dirige Besos rojos (Red Kisses), basato su un caso di reale di tre amanti catturati in un triangolo amoroso.
“Proprio quando stavo iniziando a pensare che una carriera nel film era impossibile, era tempo per me di ottenere un (vero) lavoro”, Lucrecia Martel proprio in questo momento partecipa a un concorso di sceneggiatura pubblica organizzato dall’argentina National Film Board (INCAA), il primo premio consisteva nel budget per la produzione di un cortometraggio. Lucrecia vince il concorso e, grazie al montepremi, riesce a produrre il suo film di successo Rey muerto (Dead King, 1995), un violento western su una donna che sfugge al marito alcolizzato e violento con i suoi tre figli in una piccola città chiamata Rey Muerto (sempre nella provincia di Salta, Argentina). Grazie a questo cortometraggio si aggiudica il premio come miglior cortometraggio all’Havana Film Festival del 1995.
Rey Muerto è entrato a far parte, in Argentina, di un film ancora più grande: Historias breves (Short Stories, 1995). Quest’operazione è senza precedenti nel paese ed è stato possibile realizzarla quando tutti i registi degli altri cortometraggi vincitori nel concorso di sceneggiatura si sono riuniti e hanno visitato ripetutamente la sede dell’INCAA a Buenos Aires per chiedere agli organizzatori del concorso di presentare in anteprima tutti i cortometraggi insieme nelle sale cinematografiche. La premiere di Brevi Historias è stata un grande successo e ha attirato 10.000 spettatori.
Cosa confermata non solo dalla Marel ma anche dallo studioso Haden Guest, che sostiene che Brevi Historias ha contribuito a inaugurare il Nuovo cinema argentino ed “è davvero il luogo in cui il movimento è iniziato.” Lucrecia Martel pensa anche che proprio “grazie a Rey Muerto, ha iniziato a trovare lavoro in televisione”. Tra il 1995 e il 1999 la Martel ha infatti diretto il programma per bambini (non convenzionale) Magazine For Fai, in cui attori bambini si sono esibiti in diverse commedie di sketch. “È diventato un culto per i bambini …. Non era conosciuto commercialmente, ma ci sono molti giovani che lo hanno visto. Molti dei suoi attori sono ora stelle del cinema argentino.” un commento di Lucrecia Martel rilasciato durante un’intervista del 2013 con ABC Color.
Verso la fine degli anni 90 ha realizzato, sempre per la televisione, due documentari: Encarnación Ezcurra del 1998, incentrato sulla moglie del politico e ufficiale dell’esercito argentino Juan Manuel de Rosas, e Las dependencias del 1999, sulla vita della celebre scrittrice argentina Silvina Ocampo, l’intera opera è fondata sulle testimonianze dei servitori e degli amici della Ocampo.
Nel 1999 arriva la sceneggiatura del suo lungometraggio d’esordio La Ciénaga (La palude, 2001) vincitore del Sundance Institute / NHK Award, premio che onora e sostiene i registi emergenti ed indipendenti, quelli che “contribuiscono alla cultura visiva del mondo e promuovono gli scambi culturali”. Nonostante il riconoscimento a Lucrecia gli era stato suggerito da parte della giuria di riscrivere la sceneggiatura per seguendo una struttura più tradizionale (mantenendo centrali uno o due protagonisti al massimo), la regista però ha preferito conservare la natura collettiva della sceneggiatura originale. La Ciénaga è nelle sale cinematografiche nel 2001: ambientato nel suo paese di origine il film parla di un’indulgente famiglia allargata borghese che trascorre l’estate in una decrepita casa di vacanza. Per David Oubiña era “uno dei più alti traguardi” del Nuovo cinema argentino, un’ondata di cinema contemporaneo iniziata a metà degli anni ’90 in reazione a decenni di politica e crisi economiche nel paese. Secondo Oubiña il film è “una rara espressione di un momento estremamente travagliato nella storia recente della nazione. È un capolavoro di singolare maturità”.
Nel 2001, Lucrecia Martel è stata selezionata per partecipare alla terza edizione del programma per artisti in residenza del Cinéfondation del Festival di Cannes, ideato per ispirare e supportare i giovani registi internazionali che lavorano al loro primo o secondo lungometraggio (una cosa molto simile viene fatta anche a Venezia, il Biennale College). Come parte del programma, Martel ha vissuto a Parigi per quattro mesi e mezzo, partecipando a forum e lavorando con professionisti del settore per sviluppare il suo secondo film, The Holy Girl, uscito nel 2004.
Il consenso internazionale arriva appunto con questi successivi due lavori: il già citato dramma adolescenziale The Holy Girl (2004), il thriller psicologico The Headless Woman (2008).
Questi primi tre film di Lucrecia Martel costituiscono ciò che viene identificata come un’effettiva trilogia sulle donne e Salta, oltre alla comune location le tre opere condividono anche una visione della famiglia alterata: i protagonisti vedono dei cattivi presagi scatenarsi su di loro ma nonostante questo non riescono a reagire. In La Ciénaga, c’è un incidente domestico, ne The Holy Girl, è un medico che arriva in una città e alloggia in un hotel dove la proprietaria vive con la figlia adolescente, studentessa di una scuola religiosa. Ed infine The Headless Woman , è un incidente su una strada deserta e un insabbiamento per nascondere sensi di colpa e la tragedia.
“La trilogia cinematografica di Martel sulla vita nella provincia di Salta, in Argentina esplora la transizione incompleta del paese alla democrazia dal punto di vista delle protagoniste femminili forti, intelligenti e socialmente privilegiate che non si conformano a valori patriarcali dominanti: prima durante l’infanzia a La Ciénaga [The Swamp, 2001], poi durante il risveglio sessuale a La niña santa [The Holy Girl, 200]; e infine in età adulta, a La mujer sin cabeza [The Headless Woman, 2008] […] Il lavoro di Martel è finemente sintonizzato con i ritmi e i valori particolari dell’Argentina borghese provinciale, un mondo di cui seziona la stagnazione economica e il fallimento morale attraverso narrazioni che giocano sulle simpatie degli spettatori spostandosi costantemente tra prospettive favorevoli e sfavorevoli sui suoi personaggi. “ Paul A. Schroeder Rodríguez
Lucrecia Martel era stata segnalata nel maggio 2008 come possibile regista per l’adattamento cinematografico di The Eternaut, un famosissimo fumetto argentino di fantascienza creato da Héctor Germán Oesterheld e Francisco Solano López nel 1957. Nell’ottobre dello stesso anno questo viene confermato dalla regista stessa che ne parla alla rivista BOMB: “Ho inviato la mia idea di come adattarlo al produttore ed era interessato. So anche che piaceva ai membri della famiglia Oesterheld”. Doveva essere, secondo la studiosa di cinema Deborah Martin, una rielaborazione con una forte “meditazione sul potere e sulla classe sociale a Buenos Aires”. Nel 2009, purtroppo, si vede costretta ad abbandonare il progetto, viste le differenze concettuali che aveva con il produttore.
Nel 2010 realizza un cortometraggio metafora della resistenza degli indigeni alla cattura da parte dello stato argentino intitolato Nueva Agirópolis. Il nome deriva dal libro dell’ex presidente ed attivista politico Domingo Faustino Sarmiento: Argirópolis del 1850. Argirópolis, nello scritto, è il nome della capitale di una confederazione democratica utopica tra Argentina, Uruguay e Paraguay. Anche questo corto è confluito in un lavoro più ampio: un film antologico intitolato 25 miradas, 200 minutos, un viaggio nella storia dell’Argentina dal punto di vista di 25 registi.
Nel luglio 2011 realizza Muta e lo presenta in anteprima a un evento su invito a Beverly Hills (tra i partecipanti: Emma Roberts, Hailee Steinfeld, Ashley Tisdale, Cat Deeley, Diane Kruger, Jeremy Renner e Marilyn Manson) Il lavoro è stato commissionato da Miu Miu, la società di proprietà di Prada, ed è la seconda puntata della serie di film della Women’s Tales (cortometraggi prodotti in collaborazione con registe internazionali di alto profilo e si possono vedere durante la Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia come eventi speciali). In Muta creature femminili senza volto e paragonabili a degli insetti assediano una nave di extra lusso con lo scopo di liberarsi dell’unico uomo che prova a salire a bordo.
Torna a tematiche sociale con un corto del 2015, Leguas, dove esplora il tema dell’esclusione accademica nelle comunità indigene argentine: l’educazione, nonostante possa essere uno strumento sociale, può comunque diventare anche un elemento di divisione e discriminazione. Distribuito all’interno del documentario antologico El aula vacía, è parte integrante dello studio portato avanti anche dagli altri undici registi: capire le ragioni per cui quasi uno studente latinoamericano su due non si diploma al liceo.
L’ultimo lungometraggio della Martel è Zama. La pellicola è stata presentata (in anteprima) a Venezia nell’agosto 2017. Zama è un adattamento dell’omonimo romanzo di Antonio di Benedetto ( risalente al 1956) e racconta la storia di Don Diego de Zama, funzionario coloniale spagnolo ad Asunción , che attende invano che i suoi superiori autorizzino il suo ritorno a casa, vuole ritornare dalla moglie e dalla famiglia. Dopo l’anteprima veneziana è stato proiettato al Toronto International Film Festival e al New York Film Festival e ricevendo ampi consensi dalla critica.
Nel maggio 2018 Lucrecia Martel ha tenuto una serie di seminari sulla regia presso l’Università di Cambridge non solo per gli studenti ma anche per il personale e la comunità universitaria.
Nel maggio 2019, la Martel ha diretto la cantante islandese Björk in Cornucopia
Prima della 76 Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia Lucrecia Martel era già stata in una giuria di un festival precisamente nel 2006 al Festival del cinema di Cannes, insieme a Wong Kar-wai, Helena Bonham Carter e Samuel L. Jackson.
Oltra al cinema
Lucrecia Martel è dichiaratamente omosessuale ed ha una relazione dal 2016 con Julieta Laso, voce principale dell’orchestra Fernández Fierro. La Martel ha fatto outing con la sua famiglia pochi giorni prima della premiere de La Ciénaga, appunto perché preoccupata per l’omosessualità implicita rappresentata nel film. Sua madre ha reagito amorevolmente alla notizia dicendo di averlo capito già da quando Lucrecia aveva 7 anni.
Durante la post-produzione di Zama, nel febbraio 2016, gli è stato diagnosticato un cancro uterino (causa del ritardo nella post-produzione del film).
Nel novembre 2017, attraverso la rivista americana IndieWire, la regista ha reso noto di essere in remissione dalla fine del 2016.
Se sei arrivato fino a qui e ti sei interessato alla vita di questa regista probabilmente è perché hai seguito le polemiche che hanno seguito la conferenza stampa d’apertura della 76 Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Alla sua affermazione di non voler applaudire il nuovo film di Roman Polanski sono susseguite invettive al vetriolo nei suoi confronti di persone (e giornalisti) che con grandissima probabilità non sapevano neanche chi fosse e non si sono nemmeno lontanamente interessati a farlo. Possiamo concordare o meno sulla sua opinione a riguardo ed essere d’accordo o meno sul separare il Polanski regista e il Polanski uomo, ma la visione e la premiazione di un film non dovrebbe mai diventare terra di cori da stadio e schieramenti ciechi, cosa che purtroppo a Venezia è accaduta.