Come abbiamo accennato nell‘articolo di presentazione di Mank, suo ultimo film in uscita su Netflix il 4 dicembre prossimo, David Fincher ha deciso di legarsi alla piattaforma streaming statunitense con un contratto della durata di quattro anni. In un’intervista rilasciata al Daily Telegraph ha spiegato le motivazioni della sua scelta, che risiedono soprattutto nelle difficoltà produttive incontrate a Hollywood da un regista di successo di film come Seven, Fight Club, The Social Network per realizzare un progetto che aveva in cantiere da anni.
Riferendosi a uno dei suoi lavori più iconici, lo splendido Fight Club, David Fincher ha infatti ricordato come alla 20th Century Fox sentisse la sfiducia montare intorno al set, al punto che molti, prima dell’uscita nelle sale,erano sicuri che sarebbe stato un fiasco. Nel film erano affrontati argomenti controversi, come la paranoia e la malattia mentale, che oggi i produttori sottovalutano e banalizzano in nome del profitto. Il riferimento del discorso è a Joker di Todd Phillips. Di seguito riportiamo le sue parole, tradotte per te:
“Nessuno avrebbe mai pensato di avere la possibilità di fare un colpo gigantesco al botteghino con Joker se Il Cavaliere Oscuro non avesse avuto quel clamoroso successo. Non credo che nessuno avrebbe guardato quel materiale e pensato: ‘Sì, prendiamo il Travis Bickle [di Taxi Driver ndr.] e il Rupert Pupkin [di Re per una notte ndr.] e combiniamoli insieme, poi intrappoliamo il protagonista nella falsa descrizione di un malato di mente, e mandiamolo nei cinema per rastrellare un miliardo di dollari.”
L’autore ha spiegato di essersi rivolto a Netflix, con cui aveva già collaborato per le due stagioni di Mindhunter, dopo il disinteresse riscontrato nelle grandi case produttrici della West Coast, ormai attente solo a produrre blockbuster dal budget altissimo capaci di incassare cifre stratosferiche, intercettando un pubblico di massa. Per quanto la critica a Joker sia ingenerosa, comprendo il suo punto di vista e del vero in queste sue affermazioni ci deve essere se perfino Martin Scorsese (cui Phillips deve molto) è stato costretto a rivolgersi a Netflix per girare The Irishman come voleva lui.
David Fincher non è il primo grande regista a lanciare un grido di allarme contro le logiche produttive degli studios, da lui paragonati alle cinque famiglie mafiose che dettano legge a New York ne Il Padrino: “La realtà della situazione attuale è che le cinque famiglie non vogliono realizzare nulla che non possa garantire loro di incassare un miliardo di dollari. Nessuna di loro è disposta a finanziare un progetto di medio budget, per quanto stimolante possa essere. Ciò taglia fuori proprio il tipo di film che giro io. Quello che le piattaforme streaming stanno facendo è dare spazio a quel tipo di cinema che rispecchia per davvero la nostra cultura e si confronta con grandi temi: come stanno le cose? Cosa affligge le persone, rendendole insicure e ansiose oggi? Questi sono tipi di film che fino a cinque anni fa non avrebbero mai visto la luce”.
La verità è che negli anni il dibattito che contrappone il puro intrattenimento alla qualità delle pellicole si è molte volte riproposto. Pensiamo ai kolossal faraonici degli anni’50, cui sono seguiti film rivoluzionari negli anni ’60 e ’70 che hanno contribuito alla nascita di una ‘New Hollywood‘ foriera di rinnovamento: una nuova generazione di autori ha risollevato l’industria cinematografica dal calo degli spettatori, seguito al cambiamento epocale dovuto all’invenzione del televisore. Io credo che ci troviamo oggi in una situazione simile. Le piattaforme streaming hanno rivoluzionato il mercato dell’intrattenimento cui l’emergenza-Covid ha sferrato un colpo terribile,tuttavia la loro crescita contribuisce a dare spazio a giovani autori, che non lo troverebbero all’interno dello studio-system tradizionale. La decisione di Fincher di firmare un’esclusiva con Netflix è legata al momento attuale ma sono convinto che, quando avremo la possibilità di tornare in sala, forse proprio la concorrenza dello streaming potrà essere d’esempio, restituendo agli studios il coraggio di osare.