Civil War : Genere: drammatico, guerra; Regia: Alex Garland; Sceneggiatura; Alex Garland; Fotografia: Rob Hardy; Montaggio: Jake Roberts; Effetti Speciali: J.D. Schwalm, David Simpson; Geoff Barrow, Ben Salisbury; Scenografia: Caty Maxey; Costumi: Meghan Kasperlik; Cast: Kirsten Dunst, Wagner Moura, Stephen McKinley Henderson, Cailee Spaeny, Jesse Plemons, Nick Offerman, Sonoya Mizuno, Karl Glusman; Produttori: Gregory Goodman, Andrew Macdonald, Allon Reich; Casa di Produzione: A24, DNA Films.
Civil War, la trama
In un futuro prossimo, una guerra civile dilania gli Stati Uniti. California, Florida e Texas si sono sollevati contro il governo federale, seguiti da altri stati che hanno dichiarato la secessione. Il presidente trinceratosi a Washington è accerchiato e la sua sconfitta ormai è imminente. Nel completo caos del paese, il giornalista Joel (Wagner Moura) e la famosa fotografa di guerra Lee (Kirsten Dunst) sanno che la storia più importante di tutte è un’ultima intervista al presidente prima della sua capitolazione.
Accompagnati dal vecchio giornalista Sammy (Stephen McKinley Henderson) e dalla fotografa alle prime armi Jessie (Cailee Spaeny), i quattro fotoreporter intraprendono un viaggio nel bel mezzo del conflitto per arrivare a Washington, attraversando un paese disastrato dalla guerra e in balia della legge del più forte.
Civil War, la recensione
New York, una folla pressa un posto di blocco della polizia. Vogliono dell’acqua. I reporter in mezzo a loro scattano continuamente foto, in pochi minuti la situazione degenera, la gente si fa più insistente, i poliziotti rispondono con la violenza. Un kamikaze si fa esplodere.
I primi cinque minuti di Civil War ti introducono immediatamente nel mood del film. Sale subito l’angoscia, non può essere altrimenti. Si è un futuro, una distopia, ma sembra così reale, così vicino, così possibile, che ti cominci ad agitare, sei quasi infastidito. Non sembra così irrealistico quello che sta succedendo.
D’altronde non sarebbe nemmeno la prima volta che un film di Garland si rivela in qualche modo profetico. Basti pensare al suo esordio, Ex Machina, del 2015, la sua attenzione all’intelligenza artificiale e alla sua pericolosità. Le dinamiche e le riflessioni affrontate nel film sono dinamiche che in questo ultimo anno hanno coinvolto, chi più e chi meno, tutti noi.
Conoscendo i lavori del regista (Ex Machina, Annientamento, Men), basati quasi sempre su una fantascienza tendente all’horror, quando ho cominciato a leggere notizie su questo film, incentrato su una distopica guerra civile americana, mi ero fatto un’idea su quello che sarebbe potuto essere, vedendo il trailer questa mia idea sembrava essere confermata, e invece il film è diverso da tutto ciò che mi sarei potuto aspettare.
Sì, nel film è rappresentata una guerra civile negli Stati Uniti, ma non viene mostrata in modo tradizionale con schieramenti, strategie o grandi battaglie. Invece, siamo immersi nella realtà della situazione attraverso gli occhi “fotografici” dei protagonisti. Le informazioni sul conflitto e su come tutto sia iniziato sono scarne e frammentate.
Il regista, Alex Garland, ha scelto deliberatamente di mantenere il mistero sull’origine di questa guerra civile. Dai discorsi dei giornalisti nel film, si può intuire che il presidente, interpretato da Nick Offerman (The Last of Us, Parks and Recreation), abbia cercato di trasformare il paese in una dittatura.
Tuttavia, Garland non si schiera apertamente né espone la sua visione politica. Gli importa poco sapere come e a causa di chi è iniziato tutto, quello che gli interessa è che adesso si è arrivati a questa situazione, e nessuno ha fatto in modo di evitarla, di fermarsi un attimo prima. Per questo le azioni brutali e violente a cui i nostri fotoreporter assistono sono di entrambe le fazioni, non ci sono buoni o cattivi, non c’è giusto o sbagliato, c’è solo guerra e distruzione.
La cosa più importante, l’unica cosa che veramente conta è che c’è una storia che qualcuno deve raccontare, una memoria per il futuro. Questo è il compito dei protagonisti. Riportare ad ogni costo la testimonianza, obiettiva e imparziale (saranno altri a giudicarla) di quello che sta accadendo.
noi non dobbiamo porci domande ma riportare i fatti perché altri possano porsi domande
Spiega Lee all’inesperta Jessie, quando la giovane fotografa non riesce a scattare nemmeno una fotografia davanti all’agghiacciante scena di due uomini appesi e torturati.
La macchina fotografica è il loro fucile e gli scatti i loro colpi, devono essere i più freddi e temerari possibile di fronte al loro obiettivo.
Per questo Lee definisce bellissimo lo scatto che la giovane fa immortalando una scena atroce. Non è cinica o fredda, apprezza la bellezza dello scatto perché sa che è un monito per tutti quelli che lo vedranno, una testimonianza della brutalità umana, un avvertimento perché ciò non succeda più.
Siamo noi spettatori i destinatari di questi scatti, sono le nostre coscienze che si devono risvegliare dal torpore. L’intero film di Garland è un continuo avvertimento per tutti noi.
La potenza delle immagini mostrate e la maestria con cui sono coordinate è travolgente.
Le interpretazioni dei quattro protagonisti sono tutte di altissimo livello, Kirsten Dunst è perfetta nella parte, la sua Lee è all’apparenza forte e imperturbabile, ma dentro di sé non riesce più a trattenere tutta la sofferenza di cui è stata testimone. Impensabile non lodare anche la breve partecipazione di Jesse Plemmons.
Durante le scene più cruente e violente, la colonna sonora composta principalmente da brani hip-hop, rock e blues sembra quasi fuori luogo, considerando le immagini mostrate. Questa scelta musicale crea un contrasto stridente che accentua ulteriormente lo stato d’angoscia e irrequietezza. A queste musiche “sbagliate” vengono alternati dei momenti di silenzio assoluto. Nelle scene di massimo dolore e sconforto tutto viene mutato. Tutto è affidato solo all’immagine.
Le urla e i bombardamenti sono silenziati. Sappiamo che ci sono, li vediamo, ma non li sentiamo, sentiamo solo un silenzio disperato, molto più pesante di qualsiasi tipo di urlo.
In sostanza, Civil War cattura lo spettatore con la sua capacità di mostrare un futuro distopico tanto reale da risultare disturbante, mentre allo stesso tempo presenta situazioni che sfidano le aspettative e creano un’esperienza cinematografica e visiva unica.
In un anno dove le elezioni americane risultano più infuocate che mai, e dove i conflitti non sembrano avviarsi verso una speranzosa pace, questo film è letteralmente un pugno nello stomaco a chi si ostina a guardare dall’altra parte, ignorando le tragedie delle guerre che non li coinvolgono direttamente.