C’era una volta in Bhutan : Regia: Pawo Choyning Dorji; Cast: Harry Einhorn, Tandin Wangchuk, Tandin Phubz, Pema Zangmo Sherpa, Tandin Sonam; Titolo originale: The Monk and the Gun; Genere: Drammatico, Commedia; Locations: Taiwan, Francia, USA, Hong Kong, Bhutan; Anno: 2023; Durata: 107 minuti; Uscita al cinema: martedì 30 aprile 2024; Distribuzione: Officine Ubu.
C’era una volta in Bhutan: La caotica e controversa nascita di una democrazia: tre punti di vista
C’era una volta in Bhutan nasce con un’idea fondamentale al suo capo: la democrazia può cambiare la natura di un paese? Farà diventare migliore o peggiore un paese così pacifico come il Bhutan?
Il film non vuole dare una risposta univoca a questa domanda, ma il regista in qualche modo attraverso la storia che vuole raccontare, desidera mostrarci gli albori di una nuova era per il suo Bhutan, attraverso tre filoni che si uniranno in un unico sorprendente finale, accompagnato da una magnifica fotografia e una trama ben in grado di unire seria coscienza civile e commedia.
C’era una volta in Bhutan : Una sola trama, tanti protagonisti
Innanzitutto non è un’unica storia con un solo protagonista, ma sono diversi pezzi di storia che si diramano in pochi chilometri in un unico filone narrativo. Siamo in un paesaggio rurale del Bhutan, Ura, il quale si sta preparando freneticamente alla modernità e alla novità, ed ognuno alla sua maniera e in base alle proprie esigenze lo affronta nel migliore dei modi possibile.
Uno scontro generazionale
Abbiamo dapprima una semplice famiglia composta da un marito, una moglie, una piccola e adorabile bambina ed una suocera, la madre della moglie. La democrazia, o meglio la preparazione ad essa, influisce drasticamente sugli equilibri di essa, anche perché sia il capofamiglia che la moglie fanno parte attiva del primo comitato elettorale che ad Ura sta insegnando alla gente a votare.
Come vediamo fin da subito l’elezione è tra due candidati: uno che promette di essere un po’ più riformista, l’altro decisamente attaccato ai valori tradizionali del Bhutan, e qui nasce lo scontro tra il capofamiglia e l’invadente suocera, ognuno fiero sostenitore della propria posizione.
Infatti il giovane capofamiglia vuole qualcosa di meglio per la propria figlia; non accetta che cresca in quel mondo, ma che anzi possa andare da grande a studiare in città ed evolversi insieme alla popolazione che giudica più civilizzata e alla moda, la suocera è invece fortemente attaccata alla tradizione, non le importa nulla del progresso e quindi andrà a votare il candidato più conservatore.
In mezzo a tutto questo, si ritrovano la silenziosa moglie e la piccola bambina; entrambe infatti non vorrebbero esporsi per diversi motivi in questa annosa controversia familiare, soprattutto perché loro erano già felici prima dell’avvento di questa nuova forma di governo, ma entrambe ritrovandosi in mezzo tra due fuochi, ad un certo punto dovranno esporre, con grazia e pacatezza, la loro opinione.
La giovane donna infatti è esasperata dalla lotta intestina tra il marito e la madre, e cerca coraggiosamente di mediare tra le due parti,mentre la piccola perché si ritrova tristemente isolata e bullizzata a scuola sia dai propri cugini, che più in generale dai propri compagni di classe, proprio per il ruolo che il padre ha in quelle elezioni, e che a loro dire, vorrebbe minare qualcosa di già perfetto.
Passata la tempesta delle finte elezioni, tornerà tutto alla normalità nella semplice famiglia bhutanese o ci saranno strascichi negativi nella loro vita?
Quattro uomini e un fucile
Sicuramente meno ordinario, e forse il punto più originale del film, è l’enigmatica figura di questo vecchio Lama il quale, dalle alture del suo monastero, dopo aver ascoltato alla radio l’annuncio dell’abdicazione del re, richiede al suo giovane monaco due fucili per “sistemare le cose”, queste armi gli serviranno tra quattro giorni quando la luna diventerà piena, e ci sarà una cerimonia per celebrarla.
Il giovane monaco si incammina subito e va a caccia di questi fucili, e viene a sapere che un vecchio del posto, Ap Penjor, ne ha uno in un magazzino proveniente da una guerra passata in cui tanti tibetani erano stati uccisi, e quindi il giovane monaco intraprenderà un lungo percorso a piedi per recuperare il fucile richiestogli dal suo lama con tanta sollecitudine, per poi riportaglielo in tempo.
Il problema è che il fucile ad Ap Penjor gli era già stato richiesto il giorno prima da Ronald Coleman, trafficante d’armi americano e dal suo mediatore, Benji, perché quel fucile è un pezzo da collezione rarissimo, e da ben mezzo secolo Coleman e i suoi soci lo cercavano, e visto che il vecchio Ap Penjor sembra trovarsi in ristrettezze economiche, tutto sembra andare per il meglio per il losco compratore.
La transizione economica avanza senza apparenti grossi intoppi, anzi Ronald ne ricava, con sua grossa sorpresa, un ottimo prezzo, anche perché il vecchio Ap Penjor non punta al rialzo durante la contrattazione, ma anzi al ribasso, e quindi tutto sembra girare a favore di Coleman e del suo mediatore Benji, il quale anche lui spera da questa dubbia contrattazione, di ottenerne un profitto.
Tutto però si complica quando il giovane monaco giunge alla casa del vecchio Ap Penjor il quale, nonostante l’accordo preso in precedenza con l’americano, si rimangia la parola data e senza tante spiegazioni consegna immediatamente l’ambito fucile e i proiettili al ragazzo, perché se il Lama ne ha bisogno per qualche motivo, è suo dovere consegnarglielo senza tante cerimonie.
In cambio Ap Penjor non vorrà nemmeno essere pagato, giusto qualcosa di semplice con cui nutrirsi, segno di come abbia consegnato quel fucile al Lama non per soldi o per avidità, ma per semplice devozione spirituale verso colui che con tanto impegno veglia con le sue preghiere su tutto il paese.
L’americano e Benji torneranno il giorno dopo e, arrabbiati e stupiti per il tradimento di Ap Penjor, partono in una rocambolesca ricerca del monaco per convincerlo a trattare e a dare a loro il fucile, mentre d’altra parte si scoprirà che lo stesso Coleman è ricercato dalla polizia internazionale, e da qui partirà una comica partita a scacchi tra guardie e ladri per contendersi un fucile e il suo oscuro scopo.
Riusciranno a recuperare il fucile in una qualche maniera Ronald e Benji? A che prezzo lo otterrano? Qual è l’oscuro scopo che il Lama si è prefisso con quel fucile?
Una donna di città e una falsa elezione da organizzare
Abbiamo poi un’altra protagonista, una donna colta e di città che andrà a mischiarsi con la gente del posto, perché le elezioni devono essere organizzate per il meglio, tutti le guarderanno, le televisioni di tutto il mondo infatti hanno l’occhio puntato su quel piccolo paese, l’ultimo paese nel 2007 ad intraprendere il necessario percorso che li porterà al passaggio alla democrazia e alla modernità.
Dapprima sembrerà lei ad avere un atteggiamento di superiorità e di disprezzo, tipico atteggiamento da persona di città quando soggiorna in paesi poco civilizzati, trattando con malcelato disprezzo sia i cittadini, totalmente impreparati si, ma solerti nel cercare di andare incontro alle nuove esigenze politiche che la situazione richiede, sia verso gli scrutatori del posto in difficoltà nel gestire il tutto.
Le finte elezioni non decollano infatti: solo il 10% della popolazione si stava approcciando al voto, e l’astuta giovane donna cercherà quindi di trovare un modo per aumentare questa imbarazzante percentuale: quando infatti verrà a sapere che il Lama organizzerà una cerimonia per la luna piena il giorno stesso delle elezioni, cercherà di sfruttare quella strana coincidenza a suo vantaggio.
Sfruttare la religione a scopi politici, ed usare lo stesso spiazzo di terreno per la cerimonia per la luna piena, sembrano due ottimi modi per attrarre gente a votare, anche se con incredibili colpi di scena e confronti piuttosto accesi con la gente del posto, porteranno anche in lei riflessioni profonde sulla democrazia, e su quanto essa possa essere necessaria ad Ura e a luoghi simili.
Come finiranno le finte elezioni? Chi le vincerà? Che lezione ne uscirà fuori da questa esperienza per la giovane donna di città?
Tutte queste domande sono quelle che dovremmo porci tutti noi, perché da qualunque punto di vista si parta, la democrazia oggi più che mai, merita una seria riflessione per comprenderla e forse apprezzarla un po’ di più, senza dimenticarne le criticità che ogni sistema politico porti con essa.
C’era una volta in Bhutan è uno di quei film che ti permette di riconciliarti con il mondo: sereno, pacato e mai sopra le righe, anche quando la tensione sembra poter prevalere su tutto, perché intrinseca al popolo bhutanese è la tranquillità che alla fine tutto andrà per il meglio. La novità della democrazia può portare un po’ di scompiglio all’inizio anche in un paese così pacifico come quello del Bhutan, ma la natura di un popolo, a prescindere dal sistema politico che vorrà utilizzare, una volta passata la tempesta, tornerà quella di sempre.
Perché non è la democrazia che farà o non farà diventare un popolo migliore, ma i valori morali che esso porta dentro di se, e il popolo bhutanese da questo punto di vista ha molto da insegnare anche a tutti noi occidentali, i padroni indiscussi di un sistema che abbiamo fondato e sviluppato, ma di cui abbiamo forse perso il suo valore originale. Forse il Bhutan dopotutto, può insegnarci qualcosa su come eravamo e magari recuperare quella primitiva ingenuità persa nel corso dei secoli.