#ceo netflix #tedsarandos #mipiaccionoisoldi
Senti questa, senti questa. Ho letto di un pollo fulminato che esce dall’Odeon di Viale Piave, Manhattan, che parla con un tizio a caso della Corazzata Potëmkin, appena visto in sala, con la promessa arrivati a casa di un panino e una discussione approfondita su Madame Bovary.
E niente, fa già ridere così. Questi i nostri rivali del business, quelli che, San Gennaro, Netflix ha ucciso il cinema. Il botteghino latita, è noto, con le eccezioni di poche pellicole che tengono in piedi l’industria da sole, e l’età dell’oro di Hollywood è ormai giusto il sogno bagnato di quelli che, eh no, il Saragat è troppo di sinistra per essere futuro Presidente della Repubblica.
Anzi, aggiungo, quelli della Mecca del divismo dovrebbero ringraziarci. Se l’insegna Hollywood suscita ancora fantasie di beltà presso il pubblico, accidenti, lo deve esclusivamente a noi dello streaming. Inutile fare a pugni per mantenere la finestra dei 45 giorni, come dice il pio figuro di Cinema United, Michael O’Leary, con lo slogan da marketing zarista del Solo al cinema. La gente vuole altro.

lo, lo dico, non ho paura della parola. Noi di Netflix siamo orientati al consumatore. Gli diamo corda, gli offriamo contenuti nel modo in cui vuole fruirne, non gli facciamo la morale se si sfonda di coca cola e popcorn sul divano di casa anziché dopo aver superato tornelli metallici. Noi siamo i cantori della pigrizia, e quindi facciamo soldi. Semplice. D’altronde, chi ha voglia di farsi mezz’ora di macchina, non trovare parcheggio, sopportare bambini iperattivi che non siedono sulle poltroncine, soltanto per l’ennesimo film sul detective disilluso alla Havoc?
Eh, ma la qualità si abbassa, le opere sono tutte uguali, le produzioni indipendenti addio, e poi sono quelli che tanto, tanto, tanto, fottuto è il mondo. Ma oh, mica si sono venduti al system, loro.

Poi chiaro, anche a me manca l’esperienza della sala cinematografica. È per questo che tengo molto al Bay Theatre di Los Angeles e al Paris di New York, che ho personalmente salvato dalla riconversione in parafarmacia da hinterland, e non certo per business, ma per principio, per amore della settima arte.
Ma la pretesa del regista di lavorare solo per il grande schermo è battaglia di retroguardia, destinata a perdere nei numeri, martirio da cause passatiste, senza coraggio di scrivere la storia, sterilmente celebrata, ormai, quando conta poco o nulla.