Ruth Elizabeth ‘Bette’ Davis nasce il 5 aprile 1908 a Lowell, nello stato americano del Massachusets, figlia di uno studente di legge e di una fotografa. Il soprannome ‘Bette’, che verrà poi adottato dalla giovane come nome d’arte, viene da un romanzo di Honorè de Balzac, La cugina Bette. Ha una sorella minore, chiamata Barbara Harriet.
Nel 1915 i genitori si separano e la piccola viene mandata in un convitto, dove resta fino al 1921 quando la madre decide di trasferirsi a New York con le due figlie, per seguire la carriera di fotografa e ritrattista. Bette inizia a studiare danza classica, sotto la direzione della celebre Marta Graham e scopre la recitazione quando una sera del 1926 vede a teatro una rappresentazione di Henrik Ibsen, intitolata L’anitra selvatica.
Gli inizi sono tutt’altro che facili per quella minuta ragazza dagli occhi grandi, che viene rifiutata dalla prestigiosa scuola di recitazione dell’attrice e regista Eva Le Gallienne. Sceglie quindi un’altra accademia e, per pagarsi gli studi, fa la cameriera, oltre a posare nuda per la scultrice Anna Coleman Ladd. Viene notata da George Cukor, che le assegna il suo primo ruolo pagato. Nel 1929 debutta a Broadway, dopo essersi esibita a Washington e Boston.
Il cinema, i difficili esordi e il grande successo
Con l’avvento del cinema sonoro, negli anni ’30 i produttori di Hollywood setacciano i teatri in cerca interpreti capaci di recitare anche con la voce, oltre che con la mimica. Così Bette Davis approda alla Universal, incantata dalle qualità di Mary Pickford, una delle poche dive capaci di passare dal muto al sonoro, ma gli inizi non sono facili. Non è una fulgida bellezza come altre sue colleghe, nonostante i grandi occhi languidi, capaci di esprimere allo stesso tempo dolcezza e adamantina fermezza.
Il suo esordio in Bad Sister (1931). grazie al direttore della fotografia Karl Freud, colpito dal suo sguardo, risulta interlocutorio, anche a causa di contrasti col produttore Carl Laemmle Jr. riguardo il suo aspetto fisico che conferiscono insicurezza alla sua performance. La carriera dell’attrice nel cinema stenta a decollare, tanto che la Davis pensa di abbandonare il cinema e tornare al teatro. Provvidenziale in questo caso l’intuizione del famoso attore inglese George Arliss che la richiede come partner per un film che avrebbe interpretato per la Warner Bros. The man who played God (1932) di John G. Adolfi.
La svolta arriva e il passaggio alla Warner Bros si concretizza in un contratto quinquennale e la parte di protagonista nel film tratto dall’omonimo romanzo di W.S. Maugham, Schiavo d’amore (1934): il suo è un personaggio negativo, la spietata e arrivista Mildred Rogers, che usa il suo fascino per irretire l’ingenuo Leslie Howard. Il ruolo arriva dopo una vera e propria battaglia con Jack Warner, convinto che un personaggio così controverso avrebbe potuto costarle il favore del pubblico. In realtà la volitiva Davis accetta quasi per ripicca dopo che il produttore la vincola, impedendole di ritrarre la capricciosa ereditiera di Accadde una notte (1934) per la Columbia Pictures, che ripiega su Claudette Colbert, premiata poi con l’Oscar.
Dopo il successo del film, il vulcanico padre-padrone dello studio cambia idea e le propone altri personaggi perversi e malvagi, che però la Davis rifiuta, mandando su tutte le furie il suo datore di lavoro: il suo talento è così versatile da consentirle di entrare in personaggi anche molto differenti tra loro, non intende lasciarsi imprigionare in ruoli negativi.
L’anno successivo infatti arriva la consacrazione con un film della RKO, Paura d’amare (1935) per il quale riceve la statuetta da migliore attrice protagonista. A proposito della pellicola la critica è divisa e, con sincerità, Bette Davis ha sempre sostenuto che l’Oscar sia stato un risarcimento per quello sfuggitole l’anno precedente.
Gli anni d’ oro
Il periodo tra il 1935 e il 1950 è il più prolifico sotto il profilo delle grandi interpretazioni per un’attrice ormai divenuta una stella: una primadonna in grado, con la sua sola presenza sul grande schermo, di nobilitare qualunque opera cinematografica. Nel 1936 recita accanto ad Humphrey Bogart e Leslie Howard ne La foresta pietrificata di Archie Mayo. Ciò non le impedisce di intentare causa alla Warner Bros, rea secondo le accuse, di sfavorire la sua carriera, impiegandola in film di basso valore artistico. La sua lotta contro un grande studio ne fa una paladina dei diritti fra le sue colleghe e, violando il suo contratto la porta ad interpretare un paio di pellicole nel Regno Unito, per i quali riceve un compenso altissimo per l’epoca, circa 1.350 sterline a settimana. Dopo aver perso in giudizio, è costretta a rispettare i termini del contratto, cui viene aggiunto il periodo trascorso in Inghilterra. Nel 1939 rivince l’Oscar per La figlia del vento (1939) di William Wyler, nel quale è l’orgogliosa e stravagante Julie Marston, che coi suoi capricci compromette la sua storia d’amore con Preston Dillard (Henry Fonda), salvo seguirlo in quarantena quando questi si ammala di febbre gialla.
https://youtu.be/9DZJJYNIYBQ