Nato il 16 marzo 1941 a Parma, ci ha lasciato ormai da tre anni una colonna portante del cinema. Un regista, uno sceneggiatore, un produttore ed un uomo che ci ha invidiato il mondo intero.
Bernardo Bertolucci si è spento in seguito ad una crisi respiratoria, nella sua casa di Trastevere, a Roma; lottava da tempo contro una malattia debilitante che lo aveva costretto su una sedia a rotelle. Ferito nel corpo, ma mai nello spirito, il regista sarà sempre ricordato come un innovatore, un provocatore, un sofisticato visionario con la capacità di creare un legame indissolubile con il pubblico delle sue pellicole.
La vita di Bertolucci può definirsi una meravigliosa avventura, ha attraversato le trasformazioni più memorabili del cinema: dal cinema d’avanguardia al cinema d’autore, dalle produzioni a basso costo ai colossal, dall’arretratezza del provincialismo al cosmopolitismo internazionale.
A soli vent’anni, vince il Premio Viareggio per la poesia In cerca del mistero e matura quella sensibilità letteraria e narrativa che inizierà a trasferire nelle sue opere cinematografiche. Assistente di Pierpaolo Pasolini e da questi consigliato ed istruito, gira il suo primo film La commare secca che riproduce atmosfere e tematiche tipicamente pasoliniane. Ma col tempo il registra trova un proprio stile e una propria voce e prende ad elaborare lavori più complessi, maturi, personali, ma sempre rivoluzionari tra i quali il sessantottino Partner, Strategia del Ragno e il discusso Il Conformista.
Il fenomeno Bertolucci esplode con Ultimo tango a Parigi che, valendogli una nomination agli Oscar, un David di Donatello ed un Nastro d’Argento, lo rende noto ed amato anche oltreoceano. Il film racconta la storia di un americano trapiantato a Parigi in seguito al tragico suicidio della moglie, che incontra una giovane da cui è istantaneamente attratto. I due decidono di prendere in affitto un pied-à-terre in cui incontrarsi clandestinamente per intrattenere una relazione esclusivamente carnale, promettendosi di mantenere segrete anche le rispettive identità. Col tempo, la pellicola è tristemente resa noto dalle critiche e dalle vicende giudiziarie che l’hanno seguita, relativamente ad una supposta (e più volte smentita) crudeltà gratuita del regista nell’imporre all’attrice protagonista del film (Maria Schneider) una scena di stupro ritenuta troppo cruda e sconvolgente. Dopo le numerose polemiche, Bertolucci è intervenuto a chiarire l’accaduto una volta per tutte dichiarando: ‘Ho deciso, insieme a Marlon Brando, di non informare Maria che avremmo usato del burro. Volevamo la sua reazione spontanea a quell’uso improprio. L’equivoco nasce qui. Qualcuno ha pensato, e pensa, che Maria non fosse stata informata della violenza su di lei. Falso! Maria sapeva tutto perché aveva letto la sceneggiatura, dove era tutto descritto. L’unica novità era l’idea del burro. È quello che, come ho saputo molti anni dopo, offese Maria, non la violenza che subisce nella scena e che era prevista nella sceneggiatura del film. È consolante e desolante che qualcuno sia ancora così naïf da credere che al cinema accada per davvero quello che si vede sullo schermo. Quelli che non sanno che al cinema il sesso viene (quasi) sempre simulato, probabilmente, ogni volta che John Wayne spara a un suo nemico, credono che quello muoia per davvero‘
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Nel 1976 elabora un lavoro ambizioso, commovente e drammatico: Novecento. Bertolucci, accompagnato dalle sublimi note di Ennio Morricone, affida ad un cast hollywoodiano straordinario, il compito di rappresentare i conflitti sociali e politici della prima metà del novecento italiano, attraverso la storia dell’amicizia tra un possidente terriero e un contadino. In Italia fu proiettato in due fasi: Novecento Atto I e Novecento Atto II, mentre negli Stati Uniti, fu diffusa una pellicola unica, della durata di quattro ore circa, ma non riscosse il successo che avrebbe meritato a causa della matrice ideologica del film e per la presenza di emblemi comunisti. Un’interessante particolarità è che a Salerno, il film fu censurato dal Pretore locale per blasfemia ed oscenità (verosimilmente per la presenza di una bestemmia) e sequestrato, salvo poi la pronuncia di un tribunale che lo “scagionò” dalle accuse.
Con L’ultimo Imperatore, il regista racconta la storia vera di Pu-Yi diventato imperatore a soli 3 anni e morto come uomo semplice, un giardiniere della Repubblica Popolare Cinese. Il film riscuote un successo strabiliante e l’Academy lo premia con ben nove Oscar, facendolo diventare così il primo film a vincere in tutte le categorie in cui era stato candidato e la prima opera cinematografica italiana ad aggiudicarsi un tale numero di premi. Inoltre si aggiudica ben nove David di Donatello, trionfa ai BAFTA, ai Golden Globe ed ai Nastri d’Argento.
In seguito (1990) gira con John Malkovich Il tè nel deserto raccontando la storia di una coppia di turisti che, in viaggio con un amico comune, si perde nel deserto del Sahara e affronta pericoli e morte, in un percorso attraverso i territori e le popolazioni del Nord Africa.
Nel 1993 dirige Keanu Reeves ne Il Piccolo Buddha, un’opera delicata, garbata e spirituale che viene presentata in anteprima a Parigi alla presenza del Dalai Lama che, in quell’occasione, entrò per la prima volta in un cinema. La pellicola, difatti, fu proiettata nelle ore pomeridiane per consentire al premio Nobel per la Pace di andare a dormire, come d’abitudine, alle 21.
Con Io ballo da sola e The Dreamers, Bertolucci esplora la sessualità acerba e l’educazione sentimentale. Nel primo narrando i turbamenti di una giovane americana (Liv Tyler) nella fase del passaggio dall’adolescenza all’età adulta e nel secondo con una straordinaria dichiarazione d’amore eterno al cinema d’autore, all’arte e allo spirito creativo ripercorsa attraverso il mènage à trois di due fratelli francesi (Eva Green e Louis Garrel) ed uno studente americano (Michael Pitt), nel pieno dei moti del ’68.
Memorabile la scena della corsa tra le sale del Louvre, in cui i protagonisti del film riproducono una scena del lungometraggio Bande à parte, di Jean-Luc Godard.
Nel 2008, sulla Walk of Fame è stata aggiunta la stella in suo omaggio, ma il regista ha potuto vederla dal vivo soltanto nel 2013.
La sua ultima fatica risale al 2012, con il film Io e te, tratto dal romanzo di Niccolò Ammaniti, ma Bertolucci aveva più volte confessato di desiderare di poter tornare dietro la macchina da presa un’ultima volta.
L’università di Parma gli ha conferito, nel 2013 l’onorificenza più alta: la laurea honoris causa in ‘Storia e critica delle arti e dello spettacolo’
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Addio maestro.