Successo nelle sale del 2023, finalmente sbarca su Netflix Barbie, la pellicola diretta da Greta Gerwig sulla bambola più famosa della storia, già issata al 1⁰ posto dei film più visti della piattaforma.
8 candidature agli Oscar, con una affermazione per la miglior canzone What Was I Made For? di Billie Eilish e Finneas O’Connell, stesso risultato ai Golden Globe. E il record al botteghino 2024, che non guasta mai.

Certo, all’epoca hanno fatto scalpore le mancate nomination per la regista e la protagonista assoluta, Margot Robbie, snobbate, si è detto, per i motivi più disparati, con il paradosso di un’opera femminista che porta Ryan Gosling, nella rosa per il premio come miglior attore non protagonista, vicino alla statuetta.
A ogni modo, una favola rosa di emancipazione, coloratissima, che proietta tutte noi in un futuro di parità di genere e uguali diritti, non soltanto dal punto di vista formale – per cui già altre hanno lottato in passato – ma nella quotidiana trasformazione della società, auspicata da Ruth Handler, ideatrice della fashion doll e madrina della Mattel, il cui spirito consiglia Barbie nel percorso per diventare una donna vera.
Barbie, la trama
A Barbieland procede al solito, le Barbie sono sicure di sé, di successo, sono tutto ciò che desiderano, da Presidente a giudice della Corte Suprema, da manager a medica, da giornalista a letterata, con tanto di Premi Nobel annessi.
Margot è Barbie Stereotipo, che inizia a vivere situazioni fuori dalla sua realtà patinata, come l’alito cattivo, la cellulite o i pensieri di morte, fino all’appiattimento dei piedi – ha i piedi della forma delle calzature col tacco indossate.
Un malfunzionamento, dicono alcune, che la spinge ad andare nel mondo reale alla ricerca di colei che le trasmette queste emozioni. Viaggio a cui si unisce Ken Stereotipo, che al pari degli altri vive in funzione delle controparti femminili, anch’esso non ancora consapevole della sua individualità.
Una società, la nostra, con i ruoli ribaltati, dove nelle stanze dei bottoni non ci sono le donne, ma gli uomini, a partire dalla Mattel, l’azienda produttrice della bambola, con il Consiglio di Amministrazione interamente al maschile, che farà sentire Ken importante per la prima volta, desideroso di portare il patriarcato anche a Barbieland.
Riuscirà la nascente Barbara a salvare il suo mondo e, di riflesso, il nostro?
I personaggi
Robbie, perfetta nel ruolo, è simbolo di quello che rappresenta per le donne Barbie, un modello estetico irraggiungibile per le ‘comuni mortali’, questione della quale lo stesso film è conscio, che l’autoironia della voce fuoricampo sottolinea senza pudore.
Una Barbieland, tuttavia, dove vige un’armonica sorellanza, in un contesto asessualizzato – sono pur sempre delle bambole – in cui il predominio delle donne sugli uomini è totalizzante, pur in assenza della violenza tipica del modello patriarcale.
Universi allo specchio, laddove qui la donna è ancora, più spesso di quanto si ammetta, mero oggetto sessuale, di fatto (senza esserlo di diritto) subordinata alla volontà dell’uomo, nel campo privato come in quello professionale.
Ryan, aitante Ken con la tartaruga, è emblema di un uomo spogliato del suo valore dalla dolce ginarchia in cui è posto, voglioso di riscatto e considerazione, che, per paradosso, trova nel patriarcato un altrove dove conta, aprendo così la strada delle riforme a Barbieland, le stesse che a parti invertite sarebbe opportuno rendere effettive fino in fondo nella nostra realtà di tutti i giorni.
La recensione
In un’accezione neutra del termine, Barbie può tranquillamente essere definito un’opera di propaganda femminista – d’altronde la pubblicità è l’anima del commercio anche delle idee, e il concetto di marketing non è certo estraneo a Mattel.
Un film, comunque recepito, migliore di quanto le premesse possano far intendere, che sa far ridere, emozionare. Un’atmosfera glitterata e trash, che gioca con le sue contraddizioni e ipocrisie, che semplifica messaggi per non cadere in fallo, in un’ora e 54 minuti godibili.
Rivisitazioni ben riuscite di classici della settima arte, dalla scena del monolite di 2001 a quella della scelta di Matrix, che financo quando stucca non costringe a spegnere, un risultato, mi si consenta, da non sottostimare oggigiorno.