Rafiki, il film della regista keniana Wanuri Kahiu, è stato censurato in Kenya e messo al bando da tutte le sale perché parla di un amore lesbico.
La censura, che ne impedisce la proiezione, gli preclude anche la possibilità di candidarsi agli Oscar come miglior film straniero.
Nemo propheta in patria, diceva Gesù, che di profeti se ne intendeva. La regista keniana Wanuri Kahiu, che ha presentato, con successo, il suo Rafiki a Cannes e che avrebbe potuto concorrere all’Oscar come miglior film straniero, è stata bandita proprio nel suo paese perché il film parla di amore omosessuale, che in Kenya è punito con la reclusione fino a 14 anni. Questa legge non è stata approvata dal governo Keniano dopo l’indipendenza politica, bensì è rimasta dalla gestione colonialista inglese.
A quanto pare il Kenya è un paese fortemente omofobo.
Certo che è in buona e numerosissima compagnia. Tanto numerosa che viene da chiedersi se l’omofobia non sia un atteggiamento naturale. Però gli antichi greci non lo erano di sicuro, i romani nemmeno e, a dar retta agli etnologi, neppure le popolazioni cosiddette “primitive”; è, dunque, un fatto culturale e non naturale.
Il primo testo che condanna l’omosessualità è La Bibbia, la distruzione di Sodoma è proverbiale. Potremmo continuare a blaterare per ore per suffragare la nostra tesi ma, per farla breve, diciamo che l’omosessualità è unanimemente condannata dalle tre grandi religioni monoteiste; infatti in Kenya hanno solide radici cristiane. E dire che spesso i meno fanatici sono proprio i cristiani, soprattutto i preti cattolici che hanno preso troppo alla lettera il precetto evangelico “lasciate che i pargoli vengano a me“.
Questo spiegherebbe anche perché i partiti politici omofobi siano quelli di destra con “Dio, patria e famiglia” nel programma.
Gli atei, quando vogliono essere politicamente corretti, dicono, più o meno: “Io non sono credente, ma invidio chi crede: hanno qualcosa che io non ho”. Beh, andranno all’inferno due volte; una perché non credono in Gesù e una perché sono bugiardi. Un ateo non invidia, né detesta i credenti; semplicemente non li capisce. Come chi non ama il ciclismo non capisce che divertimento ci sia ad alzarsi all’alba per piazzarsi su una strada assolata e aspettare per ore un gruppo di ragazzi che pedalano in mutande e che sfrecciano per pochi secondi a 40 all’ora.
Non vorrei dare, quindi, l’impressione di stigmatizzare le persone religiose, che ritengo ottime, sto solo verificando un dato di fatto, senza cercare di capirne il perché. Il punto è che un film artisticamente valido e socialmente utile non potrà ricevere i dovuti riconoscimenti, né, ancora peggio, potrà essere visto da nessuno, per motivi di censura.