Titolo: Babysitter; Genere: commedia Regista: Monia Chokri; Cast: Patrick Hivon, Nadia Tereszkiewicz, Steve Laplante, Monia Chokri; Distribuzione: Mubi; Anno: 2022
Sinossi:
Dopo che una battuta sessista diventa virale, Cédric perde il lavoro e intraprende un percorso terapeutico per liberarsi dal sessismo e dalla misoginia. Nadine, la sua ragazza, è esasperata dalla sua introspezione narcisistica. La situazione avrà un inatteso punto di svolta quando decidono di assumere una misteriosa babysitter per scuotere le cose.
Recensione:
Fare ridere per la vera e cruda realtà, seppur esasperata ed enfatizzata, non è una cosa che riescono a fare tutti i registi e purtroppo Babysitter di Monia Chokri non riesce a soddisfare completamente lo spettatore raccontandogli la commedia amara sulla misoginia e sugli effetti che questa ha sia sugli uomini tanto sulle donne.
La storia vede come protagonista Cèdric (Patrick Hivon), un uomo che perde il lavoro dopo aver fatto una battuta sessista ad una giornalista. L’evento, che è stato ripreso, è andato subito virale, rovinando la vita di Cèdric, che per redimersi decide di scrivere un libro di scuse, parlando di come la misoginia faccia parte della sua vita da sempre anche se in maniera inconsapevole. Nel frattempo Cèdric deve occuparsi della figlia neonata e assume una babysitter, Amy (Nadia Tereszkiewicz), che mette in subbuglio la sua sessualità, insieme a quella del fratello femminista Jean-Michel (Steve Laplante) e della moglie Nadine, interpretata dalla stessa regista Monia Chokri, che soffre di depressione post-partum.
Babysitter: una commedia a tinte horror
Ispirandosi all’opera teatrale omonima di Catherine Léger, il film si apre sull’orlo di un’overdose di testosterone e adrenalina, con Cédric e i suoi amici che osservano delle fotografie femminili. Una serie di primi piani di seni, mozziconi e degli occhi diffidenti dei tre uomini che trascinano il pubblico in un vortice di disagio e degrado, alludendo subito al tema portante del film: la misoginia. Le riprese di Babysitter sono selvagge e frenetiche, lontane dalla tranquilla condizione che vive la famiglia di Cèdric, anche se solo all’apparenza, riprendendo le tecniche di alcuni dei migliori film horror, senza mancare di ilarità neanche nei dialoghi apparentemente disconnessi e ridicoli e nei costumi dei personaggi: lo stesso protagonista con i suoi occhi spalancati, i capelli lisci, i baffi a matita e il comportamento generalmente stupido assomiglia ad un personaggio dei cartoni animati. Anche alcune riprese della Chokri riprendono lo stile bambinesco, mostrando seni che invadono i primi piani della scena come mezzo per tracciare l’evoluzione dello sguardo: il modo in cui cambia da uno di impetuosa libido, buffonesco sguardo a bocca aperta a uno sguardo di vergognosa esitazione, sempre ridicolo .
La moglie Nadine, invece vive le scene come la protagonista di un film dell’orrore con tecniche di regia prese direttamente dai film di Hitchcock. Nadine, soffre di depressione post-partum e nell’odio fisico per se stessa, è a disagio con il suo ruolo di madre, si sente oppressa dalla sua condizione sociale. Inizia, quindi, a dormire di nascosto in un motel vicino per sfuggire dalla figlia e alla sua noia da classe medio-alta, fino a quando non le viene offerta l’opportunità di riprendersi il suo ruolo di donna forte attraverso il gioco di ruolo. Torna quindi partecipe della commedia, regalando alcuni dei momenti più assurdi allo spettatore, con un pizzico di malizia intima ed erotica.
La critica alla misoginia in Babysitter è reale e viva, ma non abbastanza da essere un film femminista e rivoluzionario, anzi la sua vena progressista si avvicina a uno stile di vita puritano, riconoscendo quanto possa essere terrificante tuffarsi nei propri problemi quando sono così profondamente radicati, tanto che il loro tentativo di miglioramento e scuse nei confronti delle donne provoca danni collaterali a molte altre donne, inclusa Nadine e la particolare babysitter, Amy, che rientra nel ruolo della femme fatale, vittima del patriarcato che la vuole dominare tanto da adattarsi benevolmente a questa triste condizione, rendendo quindi il film di Monia Chokri una conseguenza del movimento #MeToo del cinema mainstream, una visione stilizzata e poco didattica sulla rimozione del pensiero patriarcale.