Un film alienante che conduce lo spettatore dentro la vita di Marina, 23 anni, alle prese con una malattia che gli sta portando via il padre, unica figura presente dalla sua nascita. L’amore, l’amicizia, la sessualità, e l’alienazione dei corpi. Tutto questo è presente nel film di Athina Rachel Tsangari, Attenberg, presentato al Festival di Venezia 67, lavorando su dettagli e sfumature scrive e dirige un racconto di formazione su una giovane donna disincantata che indaga sul meraviglioso mistero della fauna umana.
Attenberg: la trama
Marina, 23 anni, cresce con il padre architetto in una città industriale in riva al mare. Trovando la specie umana strana e repellente, mantiene le distanze e sceglie invece di osservarlo attraverso le canzoni dei Suicide, i documentari sui mammiferi di Sir David Attenborough e le lezioni di educazione sessuale che riceve dalla sua unica amica, Bella.
Uno sconosciuto arriva in città e la sfida a un duello a biliardino, sul suo stesso tavolo. Tra i due nasce un intesa, lei fin da sempre spaventata dall’uomo, sperimenterà la sua sessualità, in un’immersiva esperienza con lo straniero. Suo padre nel frattempo si prepara alla sua uscita dal XX secolo, che considera “sopravvalutato”. Presa tra queste due figure maschili e la sua fidata Bella, Marina indaga sul meraviglioso mistero della fauna umana.
Attenberg: un film sospeso nel tempo
Il film si apre con una profonda interazione umana, due lingue che si intrecciano tra loro, ripetute volte, un’inquadratura extra diegetica che lavora sul senso artistico e umano. Un quadro sospeso nel tempo, sembra quasi che l’epoca del consumismo non sia contemplata, tutto è fermo e quel poco che si capta, è la persona nell’insieme umano, il suo agire, il suo modo di pensare.
Un viaggio alla scoperta del corpo, e il suo stato animale. Le interazioni tra Marina e Bella, sembrano fuori dal comune, scene in cui le due camminano nello stesso viale, saltellando, alzando una gamba, canticchiando come ad una cerimonia funebre. Il tutto accade in simbiosi, ognuna segue il passo dell’altra, due corpi che si uniscono in una sola azione animale. La normalità non esiste, è stata lasciata dietro alle forme contemporanee innescate dall’uomo, ciò che emerge è la fragilità del pensiero e la potenza selvaggia del movimento. Alla scoperta di una sessualità, non facile da scoprire, per Marina, da sempre alienata dal mondo, e sospesa da quella società che lei non comprende, troppo rigida, meccanica ormai omologata.
La sua unica amica Bella, gli insegna a vedere il mondo, attraverso il corpo e le sue lezioni sessuali. Un gioco che cessa di esistere nel momento in cui, la protagonista incontra uno straniero, lui è diverso dagli altri che ha conosciuto, sembra capirla e rispettarla più di quanto fa Bella. Non è solo sesso, ma amore che Marina non ha mai identificato ma che in realtà è sempre stato svelato nel film, sopratutto nel rapporto con suo padre. Conflittuale a tratti, ma legato da un sentimento di affetto, lui l’ha cresciuta e si è preso cura di lei, ora tocca a Marina alla fine del film accudirlo e proteggerlo dalla malattia che lo sta consumando.
Tutto accade, senza un riferimento temporale, i protagonisti sembrano sospesi nel tempo e nello spazio. Nessuna forma di vita, aldilà dei personaggi protagonisti della storia. Le scenografie sono spoglie, ridotte al minimo, l’estetica delle inquadrature è data dalla cupezza dei colori, l’atmosfera è cupa, il sole non c’è. Gli scenari sono vuoti, risucchiati da una cupola di angoscia e tristezza. Ricorrente è l’utilizzo della carrellata all’indietro, che procede verso una descrizione accurata di scene in movimento, ad esempio la partita di tennis.
Attenberg: lo stato animale
Le protagoniste sono alienate da ciò che hanno intorno, la cornice di un quadro che guarda dentro la società e riflette sull’omologazione dei corpi. L’individuo sembra ritornare al suo stato selvaggio, ormai dominato dall’evoluzione sociale. Un richiamo agli istinti animali, dove la comunicazione a volte è fatta di suoni, di striduli e boccheggi animali. Non a caso, Marina passa le sue giornate a guardare i documentari sui mammiferi di Sir David Attenborough, dove per lo più vengono mostrati gorilla e scimpanzè, antenati secondo la scienza dell’uomo. A tratti la protagonista sembra affrontare un’evoluzione umana, dallo stato animale a quello umano.
Dalla scoperta della sessualità fino a quella dell‘amore, dell’odio e della società, che esiste e Marina non potrà evitare per sempre. Queste sono le ultime richieste del padre prima di morire;
Vorrei che iniziassi a vivere in mezzo agli altri
Un film non facile da interpretare, unico nel suo genere, che nasce forse dal desiderio di raccontare quei fenomeni non alienati dal capitalismo, sospesi in un tratto di vita quotidiano individuale, alla ricerca della loro vera essenza.
Attenberg, Venezia 67 e Yorgos Lanthimos
Attenberg, è stato presentato al Festival di Venezia 67, dove la protagonista Ariane Labed ha vinto la Coppa Volpi attribuita da una giuria presieduta da Quentin Tarantino, il film vede, nel cast, nell’unica interpretazione della sua carriera, anche l’acclamato e premiatissimo regista Yorgos Lanthimos nel ruolo dell’Ingegnere. La cineasta greca Athina Rachel Tsangari, già produttrice del primo film di Lanthimos Kinetta (2005) e produttrice associata di Dogtooth (2009), sembrerebbe aver forgiato lo stile e i caratteri estetici.
Una narrazione e un modo di mettere in scena molto simile allo stile di Yorgos Lanthimos, un vedo non vedo, un finale senza limite e la continua ricerca di un significato che a volte per lo più è nascosto dentro di noi. Ultimo capolavoro Kinds of Kindness, un’esplosione di doppi sensi, dove il corpo diventa un’esperimento sociale per raccontare la società. Uno stampo che il regista ha appreso in parte dalla regista greca.
Attenberg e quella somiglianza con Bertolucci
La critica alla borghesia, l’anticonformismo, la scoperta della sessualità, il rifiuto della società. Tutte queste tematiche ci ricordano qualcosa, o qualcuno. E chi se non uno dei registi più importanti del cinema italiano, Bernardo Bertolucci. L’uomo della censura, odiato dalla critica e acclamato dal pubblico e dalle star hollywoodiane. Il regista con il terzo occhio, l’obiettivo, da cui vedeva una realtà diversa, dove il cinema diventa elemento di indagine. Figlio d’arte, amico di PierPaolo Pasolini, inizia far cinema utilizzando la società come cornice dei quadri nei suoi film. Non a caso, Attenberg pronuncia dei riferimenti casuali o magari no, di uno dei film scandalo della storia del cinema, Ultimo tango a Parigi.
Un film che vive nel presente, attuale, cinico e a tratti geniale. Una giovane donna, alla ricerca del senso della vita, alienata ormai dalla società capitalista, è in cerca di un appartamento a Parigi. Incontra un uomo, Paul, ormai vuoto, il senso della vita lui lo ha perso da tempo o forse non lo ha mai trovato. I due intraprendono una relazione, solo sessuale, niente nomi, età.
Nessuna forma di straniamento sociale. Solo due persone, che si incontrano, sospesi nel tempo e nello spazio, dove il sesso diventa il loro senso di vita, un modo per fuggire dalla realtà. I due insieme, scopriranno i loro istinti animali, le parole diventano suoni, striduli animali. Un gioco di intenti dove la comunicazione diventa letale.
Tutto sembra combaciare con la storia di Marina, gli incontri nella stanza di hotel con lo straniero, la scoperta sessuale con Bella, la continua ricerca della vita che sembra essersi fermata nel tempo, che scorre ormai per lei solo per inerzia.