Ieri a Torino, il museo del cinema della Mole Antonelliana ha accolto a braccia aperte il regista iraniano due volte premio Oscar, Asghar Farhadi che ha dialogato con il pubblico approfondendo il suo cinema attraverso le sequenze dei film che l’hanno reso celebre come; About Elly (2009), Una Separazione (2011), Il Passato (2013) ed il suo ultimo lavoro, Un Eroe (2021).
Persona pacata, umile e saggia; Asghar Farhadi si è aperto al pubblico della sala del Tempio in modo spontaneo e generoso, dando una chiara chiave di lettura a quello che è il suo modo di dirigere ed alle sensazioni che desidera far provare ai suoi spettatori, ribadendo che il cinema è un linguaggio universale che tutti noi possiamo comprendere.
Ad accoglierlo sono stati come sempre il presidente del Museo nazionale del cinema, Enzo Ghigo, ed il direttore del museo, Domenico De Gaetano. Insieme a loro si sono poi aggiunti l’ex assessore Giampiero Leo e la critica cinematografica Grazia Paganelli. Dopo aver consegnato al regista Farhadi il premio Stella della Mole, Grazia Paganelli e Domenico De Gaetano hanno dato inizio alla Masterclass rivolgendo delle domande all’ospite.
Conversazione con Asghar Farhadi
- Nei suoi film lei da molta importanza alla voce delle donne. Perché nel suo cinema i personaggi femminili sono così importanti?
Le donne, rispetto agli uomini, sono quelle che più richiedono un cambiamento e sono disposte a fare di tutto pur di raggiungerlo. Le donne che mi circondano accettano il rischio e posseggono una forza maggiore per scatenare questi cambiamenti.
- Anche i bambini fanno parte delle sue storie, ci spiega il perché?
I bambini nel cinema aiutano ad umanizzare determinate situazioni. Loro guardano il gioco dei grandi senza avere nessun potere di influire su di essi. I bambini sono quelli per i quali lo spettatore si preoccupa di più, e spera che la situazione migliori soprattutto per loro.
- Nella maggior parte dei suoi film appaiono sempre gli stessi attori, come se voi foste una vera famiglia. Anche lei pensa lo stesso?
Provenendo dal teatro per me è normale avere come una sorta di compagnia quando giro i miei film e questo me l’hanno fatto notare in molti, tant’è che nel mio ultimo film ho dovuto lavorare con attori diversi, ma voglio rimanere fedele finché possibile a quella formula.
- Nel film Una Separazione lei tratta una tematica prettamente locale dell’Iran. Come ha fatto a trattare quel tema rendendolo universale?
Fare una storia locale sembrava una pazzia, perché il timore era quello che la gente da fuori non arrivasse a comprendere il messaggio del film, invece con mia grande sorpresa sono state colte tutte le sue finezze. Da lì ho capito che i film internazionale e nazionali possono andare di pari passo, per il semplice fatto che il cinema crea un linguaggio comune.
- Nei suoi film gli interni sono molto importanti. Spesso le case sono in fase di costruzione o hanno uno stile particolare, perché i suoi interni mostrano un cambiamento continuo?
In molti casi i luoghi ed i muri possono raccontare dei personaggi. Nella nostra vita possiamo capire una persona dalla sua casa e ho seguito questo processo anche nei miei film, cioè costruire un personaggio attraverso il luogo in cui abita.
- Come si svolge il suo processo creativo? Qual è la prima cosa che fa per raccontare una storia?
La qualità della scrittura è proporzionale al tempo che ci mettiamo. A volte possono venire in mente delle idee a cui serve tempo per fermentare e crescere. La prima cosa che io inizio a scrivere in una storia è la situazione di crisi, da quella poi sviluppo i personaggi. Perché nelle situazioni normali i personaggi si somigliano tutti, ma è quando avvengono le situazioni di crisi che i personaggi acquisiscono forme e modi diversi.
Alla fine della Masterclass, Asghar Farhadi ha parlato del suo amore verso il cinema italiano, in particolare con i film di Vittorio De Sica e Mario Monicelli, e si è anche soffermato sul museo del cinema.
Vedere il museo del cinema mi ha riportato alla mia infanzia. Nel mentre che lo visitavo mi tornavano in mente i ricordi che avevo da piccolo quando lavoravo presso un fotografo e mi affascinava vedere tutte quelle macchine da presa d’epoca che in questi giorni ho potuto rivedere. Venire a Torino e ricevere il premio Stella della Mole per me è stato un onore.