E così è arrivata la notizia: American Gods è stata cancellata dopo tre stagioni. A causa della perdita di spettatori e tante polemiche, la serie disponibile su Amazon Prime Video tratta dal romanzo di Neil Gaiman non ne avrà una quarta. Anche se è prodotta da Fremantle, American Gods è distribuita da Starz che ha deciso per la chiusura, dichiarando:
In casa Starz siamo tutti grati al cast, allo staff, ai nostri partner per aver raccontato al meglio la storia del produttore Neil Gaiman ancor più rilevante nel clima culturale e politico degli USA di oggi
Dopo questa notizia le dichiarazioni si sono succedute velocemente. Il primo è stato Deadline, il quale ha ipotizzato che venga comunque prodotto un film o una mini-serie il quale offra un degno finale ad una serie che aveva tutti i presupposti per diventare un grande successo, ma anche Fremantle ha voluto dire la sua, rincuorando con queste parole i fan:
Fremantle si impegna a completare l’epico viaggio di American Gods, una delle serie più inclusive e con i fan più incredibili del mondo. Con Neil Gaiman e questi fantastici cast e troupe, stiamo esplorando tutte le opzioni per continuare a raccontare questa magnifica storia
Neil Gaiman invece affida a Twitter la sua reazione alla notizia della chiusura:
Non è morta definitivamente. Sono grato al team di Starz per il viaggio di American Gods fino ad ora. Fremantle si è impegnata a finire la storia iniziata nell’episodio 1, e in questo momento stiamo solo aspettando di vedere quale sia la strada migliore e chi la realizzerà.
Forse Amazon che la manda in onda? O Netflix con cui il brillante artista collabora per Sandman? Vedremo.
American Gods, analisi di un in-successo
American Gods aveva avuto un inizio esplosivo. Stravagante e originale, la serie era riuscita a trasformare le parole di Gaiman in un prodotto accattivante con un cast azzeccato, seppur non perfetto, che con la prima stagione si era rivelata affascinante e aveva fornito abbastanza materiale da desiderare di vederne presto una seconda. Scene al limite dell’erotico, in cui per la prima volta in una serie Tv sono predominanti i membri maschili, splatter gestito alla perfezione con toni quasi fumettistici, momenti onirici visivamente affascinanti, il personaggio di Media interpretato da Gillian Anderson ci offriva divertenti travestimenti che richiamavano alla cultura pop, la prima stagione si era rivelata sorprendente.
Purtroppo però, dietro alle quinte, le cose non andavano al meglio. Per adattare il romanzo di Gaiman per la tv furono assunti Bryan Fuller e Michael Green ma, a causa di forti contrasti con la casa produttrice sia per il budget che per la sceneggiatura, i due abbandonarono il progetto durante i lavori per la seconda stagione, che fu affidata a Jesse Alexander.
Le cose sicuramente non migliorarono. La seconda stagione di American Gods fu deludente, il ritmo delle puntate era rallentato enormemente e non accadevano fatti rilevanti, la trama sembrava girare su se stessa senza arrivare ad un dunque (che almeno ci aspettavamo nella terza) e ci fu l’addio da parte di due attori: Pablo Schreiber, che dava il volto al gigantesco leprecauno Mad Sweeney ed era riuscito a conquistare i cuori di molti fan, e Orlando Jones o Mr. Nancy, il quale se ne va accusando la serie di dare una brutta visione dell’America nera. Alexander fu licenziato prima della fine delle riprese, gli attori molto spesso si riscrivevano le battute, la situazione era intricata ma si riuscì nonostante tutto a completare gli otto episodi.
Con American Gods 3 si sperava che la mano di Gaiman, il quale era stato richiamato per collaborare alla sceneggiatura insieme a Charles H. Eglee (The walking dead), portasse una ventata di freschezza ad una serie che si stava lentamente spengendo, ma come abbiamo tristemente visto non è stato così. Anche se alcuni momenti della terza stagione sono commoventi o vengono fatte importanti rivelazioni, si è spinta fiaccamente per tutti i dieci episodi che noi fan abbiamo seguito nella speranza di un finale grandioso che non è arrivato, portando ad una perdita per American Gods del 65% degli spettatori e alla cancellazione di una quarta.
La trama ricca di simbolismo non ha aiutato, o meglio non ha aiutato la comprensione completa della storia. Alternando momenti puramente simbolici a scene lente e prive di eventi accattivanti, è facile che lo spettatore si annoi e perda il filo, anche perchè forse è necessario avere un minimo di conoscenza della mitologia norrena per poter comprendere a fondo ciò che gli autori vogliano dirci.
Il passare degli anni tra l’uscita delle stagioni non favoriscono una trama in cui alcuni eventi sono collegati ma in cui questo legame simbolico arriva parecchio tempo dopo e di cui si è persa traccia nella memoria. Ad esempio, tu ricordavi che l’albero del mondo dove muore Shadow è nato da un ramo innaffiato dall’urina di Odino? (st.2 episodio 5)
I personaggi
Fin dalle prime battute American Gods ci aveva regalato personaggi memorabili, ben caratterizzati, anche se non tutti hanno accontentato le aspettative e qualcuno è stato anche a dir poco deludente, con una storia personale priva di un’evoluzione o di importanza per l’andamento della trama. Fatto sta che anche nel libro di Gaiman ci sono quattro sottotrame legate alla trama principale, ma nella serie non si è riusciti forse a collegarle rendendo il tutto più fluido e scorrevole.
Mr. Wednesday-Odino/ Ian McShane. Il personaggio migliore di tutto American Gods caratterizzato perfettamente da un attore ricco di talento il quale ha saputo trasferire al personaggio, grazie alla sua lunga esperienza nella recitazione, orgoglio, un’aura di potere e una buona dose di cinismo, ma anche brevi momenti intensi ed emotivi come nel suo rapporto con Demetra.
Dalla prima alla terza stagione il suo personaggio è rimasto sempre fedele a se stesso e alle sue idee, si è trascinato alla ricerca di alleati per la guerra imminente, ha saputo tener nascosto il suo lato più truffaldino fino alla fine, ha manipolato il figlio per il suo interesse, anche se, sempre che non hai letto il libro di Gaiman, non ci aspettassero delle sorprese inaspettate su tutta questa storia, rivelazioni che ci attendevamo per il gran finale.
Shadow Moon/ Ricky Whittle. Il co-protagonista di American Gods è lui, il figlio di Odino, una figura che però non ha spiccato quanto in realtà avrebbe dovuto. Da quando ha avuto la rivelazione di chi è veramente, Shadow ha avuto un comprensibile iniziale momento di smarrimento che non se ne è mai andato. Shadow si lascia trascinare dalla corrente, dagli eventi organizzati dal padre per lui, senza che per una volta dimostri di avere gli attributi per innalzarsi a quel ruolo divino e, l’unica volta che lo fa, sacrifica volutamente se stesso quasi con un senso di fatalismo, di non poter cambiare il suo fato.
E’ anche vero che per contrastare un carattere come quello del padre l’uomo, di natura profondamente buono, molto spesso deve scendere a compromessi con se stesso, alla fine manca un’identità ben definita ad un personaggio che poteva offrire sicuramente di più ma che alla fine è risultato piuttosto melenso.
Laura Moon/ Emily Browning. Come ho già avuto modo di affermare, è l’attrice che mi ha stupito di più. Sarà stato il suo volto particolare unito al suo carattere piuttosto spinoso, fatto sta che Emily Browning ha saputo caratterizzate alla perfezione un personaggio sgradevole. Volutamente cinica e antipatica, priva di empatia e parecchio sboccata, Laura dimostra fin da subito di essere una donna forte e determinata, capace di qualsiasi azione pur di arrivare al suo scopo, ma poi la vediamo in purgatorio e iniziamo a comprendere cosa l’ha resa quello che è diventata, gli episodi del suo passato, e così proviamo meno antipatia per lei e per le sue azioni.
Il legame che la unisce a Mad è struggente, un rapporto che inizia con la diffidenza ma poi si trasforma fino a diventare qualcosa di più, un forte sentimento che lascerà in Laura tanta amara nostalgia, un lutto che l’accompagnerà per tutta la terza stagione, ma che sarà anche la causa del suo forte desiderio di vendetta, una storia d’amore sicuramente non classica ma comunque romantica e a suo modo emozionante.
Mad Sweeney/ Pablo Schreiber. Il gigantesco leprecauno alcolizzato, servitore di Odino, ha un carattere irascibile, anch’esso come Laura ama usare un linguaggio colorito, dio del Sole e della Fortuna, ha perso la sua buona stella con la sua moneta che ora è nelle mani della donna diventata uno zombie. All’inizio spinto dal desiderio di riavere il suo oggetto fortunato, Mad segue Laura nel suo viaggio e alla fine se ne innamora, un sentimento che lo logora, ma a cui non può più sottrarsi ritrovandosi in balia della donna.
Tentando di sottrarsi al giogo di Odino, Mad prova ad eliminarlo trafiggendolo con la lancia Gnangir appena forgiata, ma viene fermato da Shadow che, non volendo, lo uccide; prima di andarsene però, il leprecauno farà sparire l’arma nella sua orda, luogo magico dove nasconde tutti i suoi tesori, ultimo tentativo di intralciare la divinità.
La morte di Sweeney alla fine della seconda stagione ha lasciato davvero l’amaro in bocca, un triste abbandono per un personaggio accattivante, estremo, un “gigante buono” capace di grandi cambiamenti emotivi nonostante la sua origine mitologica di cui in tanti si sentivano rapiti.
Bilquis/ Yetide Badaki. La dea africana dell’amore, l’antica regina di Saba è bellissima, elegante, raffinata, si muove all’interno di ambientazioni pompose e dalle tonalità quasi oniriche, è alla continua ricerca di se stessa, della sua natura e di chi veramente è, consapevolezza che arriva con lo scorrere delle puntate. Lei ci affascina fin da subito non solo con la sua bellezza, ma con il suo essere profondamente buona e compassionevole, nonostante il suo “potere” sia abbastanza inquietante all’inizio, con la sua ricerca assennata della verità, una donna forte e carismatica in grado di poter manipolare il mondo se solo lo volesse.
Dopo una lunga epoca di fasti a Saba, per Bilquis la vita cambia radicalmente quando è costretta a fuggire in America dopo che, con il passare degli anni, ha perso ogni seguace: negli USA, farà una vita miserabile fino a quando Tecnical Boy non l’aiuta a risollevarsi; da quel momento, dopo un’iniziale senso di vendetta nei confronti degli umani che l’avevano abbandonata e di cui sfrutta le debolezze per aumentare il suo potere, la dea compirà un profondo e intenso viaggio personale che le darà l’agognata comprensione.
Technical Boy/ Bruce Langley. Quello che era stato presentato come un personaggio arrogante, dalla presunzione giovanile, dal carattere irascibile e facilmente violento, nella terza stagione di American Gods subisce un profondo cambiamento scatenato dalla dea Bilquis, un glitch in cui lui inizia a provare sentimenti umani che lo urtano e che non riesce ne a comprendere ne ad accettare, o meglio, non vuole farlo perchè qualcosa nel suo passato lo spinge ad avere un forte senso di autoprotezione.
Seppur sia uno tra i personaggi principali, la sua importanza ci viene svelata solo alla fine, uno dei colpi di scena della terza stagione che ha aperto però a nuove domande. L’attore che lo interpreta riesce bene a trasferire dallo schermo la sua antipatia, come è ben riuscito anche nel farci provare quel senso di pena nel vederlo soffrire e nella sua ricerca di una soluzione al suo malessere, trasformandolo con il passare degli episodi in un semplice adolescente problematico che tutti vorremmo aiutare.
Mr. World/ Crispin Glover/ Danny Trejo/ Dominique Jackson. L’essere dai molti volti, l’ingannatore, il dio della globalizzazione che unisce sotto di sè le divinità moderne, in American Gods è rappresentato per la maggiore da Crispin Glover. Già di per se l’attore ha un volto particolare dai tratti spigolosi e sfruttando questa sua caratteristica fisica ci ha regalato un personaggio inquietante, in possesso di quella fiamma di follia negli occhi mista a piacere sadico nel portare a compimento il suo piano, freddo e pragmatico, gestisce con pugno duro e spietato la sua “organizzazione” ed è determinato a rendere gli dèi tecnologici gli unici che gli umani possano adorare.
Durante la terza stagione Mr. World cambia il suo aspetto esteriore, ma quando lo/ la vediamo diventare una splendida donna di colore lo fa solo per esigenze di trama poichè utile per attirare più utenti, ancora però non riesco a spiegarmi la presenza di Danny Trejo che non fosse solo quello di portare un altro nome di prestigio alla serie oltre Marilyn Manson, in quanto la sua presenza in American Gods passa piuttosto in secondo piano e di certo non è servita per risollevare l’audience.
Se Cordelia/ Ashley Reyes è forse l’unico personaggio oltre a Demetra ad avere il privilegio di vedere il lato emotivo di Odino, ed è l’unica alla quale il dio concede paternalisticamente una scelta, Salim/ Omid Abtahi è un giovane travagliato, lacerato tra l’accettazione della sua omosessualità e la sua fede religiosa, un forte contrasto che alla fine lo spinge tra le braccia dell’antico dio arabo del fuoco, il Jinn/ Mousa Kraish, rapporto da cui resterà segnato ma che lo spingerà ad intraprendere un viaggio che lo porterà a fare chiarezza in se stesso. Alla fine Salim non è un personaggio importante nella serie, ma che è servito soprattutto a far perdere molto tempo negli episodi in una storia che forse ne meritava assai meno.
Mi fa piacere ricordare l’immenso Peter Stormare e il suo minaccioso dio slavo della guerra Czernobog in cui
In attesa di altre notizie che ci rivelino il destino di American Gods, ti ricordo che le tre stagioni sono disponibili su Amazon Prime Video (clicca qui per attivare la tua prova gratuita di un mese), e ti consiglio di leggere la recensione della prima e seconda semplicemente cliccando qui, invece per la nostra opinione sugli ultimi 10 episodi disponibili da gennaio, ti basta leggere qui.