Questo adattamento di Amabili resti è stato affidato alle mani di Peter Jackson e forse è proprio grazie a lui che il film riesce a mantenere dei momenti leggeri nonostante la pesantezza del tema trattato.
Il racconto da mettere in scena non è di sicuro tra i più semplici, avendo dentro di sé più storie da seguire e molteplici sentimenti. Ma Peter Jackson, come ben sappiamo, non si lascia abbattere da questo tipo di sfide, e ne siamo grati; il rischio era quello di non poter mai godere dei film derivati dal lavoro di J.R.R. Tolkien.
Ebbene sì, sto proprio parlando del Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit. Il romanzo Amabili resti di Alice Sebold è stato pubblicato nel 2002.
Sia libro che il film di Amabili resti hanno un inizio che segnerà simbolicamente la situazione in cui si troveranno i personaggi per il resto del film: il tutto si apre con un pinguino rinchiuso in una palla di natale.
Così come il pinguino è intrappolato nella sua gabbia di vetro così Susie lo è nel mondo e la madre Abigail che mantiene il ricordo della figlia nell’unico luogo che riesce a non far mutare nel tempo, quello della sua camera ma anche l’assassino George Harvey con l’ossessione della costruzione e mantenimento della sua casa delle bambole in miniatura.
Tutte queste persone cercano di creare un loro fortino dove essere al sicuro, ma dove alla fine rimangono inevitabilmente intrappolati.
“Mi chiamo Salmon, come il pesce; nome Susie. Avevo 14 anni quando sono stata assassinata il 6 dicembre 1973. Sono stata qui per un momento e poi me ne sono andata. Auguro a tutti voi una vita lunga e felice. “
Amabili resti: facciamo un riassunto della trama
Nel 1973, ben prima di quando i bambini scomparsi compaiono nei cartoni del latte, vive Susie Salmon, una quattordicenne spensierata con il sogno nel cassetto di fare la fotografa, un sogno che la stessa Susie conferma che non raggiungerà mai perché la sua vita terminerà prima.
Dopo aver ricevuto un invito per un appuntamento da parte del ragazzo per cui ha una cotta, la sua vita prenderà una via oscura che porterà immancabilmente alla sua fine. Susie, di ritorno da casa, si imbatte nel suo vicino, George Harvey, che la convince a entrare in un fortino da lui creato sotto terra, una trappola.
Susie capisce subito che non è una situazione dove può stare al sicuro, ma dal momento che è entrata, anche se cerca di uscire, è troppo tardi; Harvey ha il pieno controllo della situazione. Sentiamo le urla ma la scena svanisce volutamente e la vediamo correre via dalla tana di Harvey.
Ma ben presto scopriamo che quello non è il corpo di Susie, ma solo la sua anima. Iniziano le investigazioni ma per molto tempo saranno solo buchi nell’acqua.
Jack conosce bene la figlia e sa bene che non si sarebbe mai fidata di un estraneo, per lui il colpevole è quindi uno dei loro conoscenti. Cerca quindi nel vicinato e Harvey diventa quello più sospettato di essere l’assassino. Non si trovano le prove perché Harvey è una persona meticolosa e questo, come scoprirà anche Susie, non è il suo primo omicidio.
Susie, infatti, scoprirà ben presto che negli interessi di Harvey ora c’è sua sorella e che oltre a lei lui ha ucciso altre sei ragazze, inclusa Holly, la ragazza che la sta guidando nel mondo di mezzo.
Per poter andare in paradiso e lasciare la terra tra il mondo dei vivi e quella dei morti Susie deve poter abbandonare quello che è il suo passato, ma per poterlo fare deve risolvere delle cose insolute, tra le quali il suo omicidio.
Ma cosa ne pensiamo?
Non è un cinema di indagine, scopriamo ben presto che al centro del racconto non c’è di sicuro l’arresto dell’omicida. Quello che invece sembra interessare alla scrittrice prima e a Peter Jackson poi è il passaggio tra la vita e la morte quando questo avviene per qualcosa di violento e inatteso.
Una cosa segnata anche dalle immagini stesse del film con un passaggio tra i toni caldi della prima parte a quelli più freddi e sbiaditi della seconda.
Un altro punto a favore di Jackson è che preferisce non farci vedere in maniera diretta l’omicidio, preferendo mettere in luce più che la violenza fisica quella emotiva, sia attraverso la tacita e agghiacciante insistenza di Harvey dal non volerla fare andare via sia l’uso di giocattoli antichi e raccapriccianti all’interno di quell’ambiente.
Amabili resti, più che un racconto giallo, vuole essere una storia sulla memoria, sulla famiglia, sulle ferite da rimarginare ma anche sulle ossessioni.
Tutte le interpretazioni sono state encomiabili ma quella che probabilmente lo è più di tutti è quella dell’attore Stanley Tucci (quasi irriconoscibile), nei panni del serial killer. Un’immagine così cruda e violenta che lo stesso attore non ha voluto riconoscersi in essa mettendosi una maschera che lo rendesse qualcos’altro sullo schermo.
Ma sono proprio le scene del non-paradiso che permettono a Jackson di dare il meglio di sé alla regia, regalandoci un’ampia finestra sulla sua capacità di immaginare visivamente. Il mondo che vediamo è a dir poco surreale con stagioni ed ambienti che si intervallano senza linea di continuità seguendo i pensieri e i ricordi di Susie.
Amabili resti è un continuo braccio di ferro tra i sentimenti e le emozioni di Susie e quelle del suo carnefice. L’emotività domina completamente la scena.
Non è sicuramente una storia facile da filmare né da vedere, Questa non sarebbe mai stata una storia facile da filmare. Ci butta in faccia una realtà che preferiamo non sapere che esiste e che circonda le nostre vite.