Titolo: Offline Anno: 2020 Genere: Commedia Regia: César Rodrigues Cast: Larissa Manoela, André Luiz Frambach, Erasmo Carlos, Mariana Amâncio, Amanda Orestes, Eike Duarte, Nayobe Nzainab, Katiuscia Canoro, Phellyx Moura, Dani Ornellas, Michel Bercovitch, Sílvia Lourenço Durata: 1h e 36 min Piattaforma: Netflix
Ah, l’internet. Che fauna meravigliosa lo popola. Che luogo di perdizione, di equivoci, di immaginarie attribuzioni di identità e significati. Insomma, un luogo maggiormente pericoloso del quartiere più malfamato di Gotham City, dove anche i simpatici e i brillanti alla fine producono tanto a lungo da diventare i cattivi (ma perché queste persone, che, sia chiaro, restano simpatiche e brillanti, non monetizzano creando qualcosa di bello, financo un discutibile corso per fare il ragù migliore al mondo? Ma soprattutto, perché non lo creo io il discutibile corso per fare il ragù migliore al mondo, pur non essendo né simpatico né brillante?).
(Forse).
Offline, personaggi e tematiche
In ogni caso, fatti i debiti cambiamenti, questi potrebbero essere stati gli interrogativi che si è posta anche la nostra Ana, giovane influencer protagonista di Offline, la commedia brasiliana più o meno romantica e più o meno da teenager che l’algoritmo di Netflix (l’unica divinità a cui sono devoto) mi ha suggerito di vedere, che quindi è come dire che mi ha imposto (caro scettico del dio netflixiano, ti prego, ti supplico, non mi fare il predicozzo per dirmi che l’algoritmo di Netflix non è una divinità, la metaforizzazione è il mio guilty pleasure preferito, capiscimi, su).
E infatti (piccolo spoiler) Ana alla fine creerà la sua linea di moda, alla faccia di quella cattivona stile Team Rocket di Carola (che però è anche l’unico personaggio minimamente ben caratterizzato, carina la frase dall’afflato quasi nietzschiano “più ci si conosce meglio più si è prossimi a odiarsi” o qualcosa del genere, vado a memoria anche se metto le virgolette perché zitto zitto sono un cattivone anch’io), la “cervellona” del brand per cui Ana all’inizio lavorava.
Carola studia a tavolino le mosse che i suoi influencer devono porre in essere (tipo far mettere la nostra “eroina” insieme a un altro improbabile influencer che pare vagamente un attuale calciatore del Milan, non dirò chi per rispetto nei confronti di questo calciatore, per poi farli lasciare e sostituire lei con un altrettanto improbabile bionda, ex migliore amica di Ana, giusto per creare una botta di hype nel pubblico).
In tutto questo circo mediatico la signorina, viziatissima, ma che nella sua versione “evil” tutto sommato funziona a livello narrativo, stando sempre attaccata allo smartphone mentre guida, tra videochiamate e reel su Photogram (mmm, mi ricorda qualcosa), fa tanti piccoli incidenti, fino a uno un po’ più serio dove finisce in ospedale.
Da qui Ana viene spedita nella casa di campagna di nonno Germano, senza l’adorato smartphone da cui è dipendente (e infatti cercherà di rubarne più volte uno, una volta perfino a una bambina) (quasi “ganza” la nostra Ana nella circostanza) (molto quasi) per un periodo di digital detox.
Siamo (al di là del piccolo spoiler) arrivati alla mezz’ora: fino a questo momento il film, per quello che vuole essere e per il target a cui è rivolto, l’avrei giudicato in modo sufficiente, nonostante i genitori di Ana siano stati scritti per essere piatti, moralisti in modo irritante pur avendo ragione (lo spot perfetto per rendere attraente Photogram persino a coloro che hanno sempre scansato come la lebbra i social network fin dai tempi delle allora chat su msn).
Ecco però che il piattume dei genitori di Ana (caro dottor Freud, questa volta parlo a lei, io ho letto tutti i suoi libri e leggerò con piacere eventuali suoi inediti, la stimo, l’apprezzo nonostante alcune sue teorie abbiano più di un secolo e siano superate, ma non sto proiettando nulla su quei malcapitati dei genitori di Ana; guardi il film con il suo sigaro, che a volte è solo un sigaro, e poi mi dica se quei due hanno qualche spessore narrativo) si espande a macchia d’olio su qualsiasi altro personaggio presente in campagna.
In primis nonno Germano e le sue riparazioni di auto da periodo guerra fredda, passando per Joao, il bravo ragazzetto di campagna che non ha mai avuto lo smartphone, sempre volenteroso a dare una mano e dai sani valori, che si prende una sbandata per Ana appena la vede (ancora viziatissima) per il solo fatto che l’occhio vuole la sua parte (sporcaccione).
Su Ana in versione “good”, la tardo teenager bella e un po’ istrionica, ma “redenta” a corrente alternata dalla superficialità di Photogram in maniera ingiustificata, non voglio spendere ulteriori parole, francamente (stavo per citare Via col vento, ma mi sono trattenuto).
Così come la critica all’utilizzo eccessivo di Photogram si limita al non fare reel mentre si guida, ammonimento auspicabilissimo, per carità, o al fatto che Photogram non sia la verità (ma che cos’è la verità? direbbe in latino il primo photogrammer della storia, Ponzio Kardashian da Isernia); un po’ pochino, ahimè, per non passare immediatamente alle note conclusive.
Note conclusive
a) Cari brasiliani che avete realizzato questo film, l’italiano medio (tipo il sottoscritto) non parla una parola di portoghese. Sappiate, dunque, che la piacevole musica di accompagnamento a circa 18 minuti e 30 secondi dalla conclusione verrà interpretata in modo diverso, con inevitabili risolini da Asilo Mariuccia.
b) Il giorno che uscirà davvero Photogram al posto del suo surrogato attuale mi iscriverò all’istante: cara Kim, regina del trash, ricordati di mettere a tempo debito tanti cuoricini a un certo Ponzio Kardashian da Isernia. Garantisco foto quotidiane di gattini e croissant all’amarena. Poi, se mi gira, dico anche ai miei 44 follower di seguirti (44, ma di cui la metà sono bot).
c) I titoli di coda si aprono con nonno Germano che fa un selfie e i nomi degli attori sono il loro nickname chiocciolinato come da Photogram. Sarebbe kitschissimo criticare una scelta così kitschissima. Meglio che vada a scrivere (ma credendoci davvero, se no non ha senso) un “ti adoro” idolatra sotto un post di dubbio gusto della nostra mitologica Ana.