Dal 30 Novembre è disponibile su Netflix Baby, una delle prime serie televisive italiane del colosso dello streaming americano
Ne avevamo già parlato prima che uscisse e già dal trailer non ci aveva entusiasmato, ma non sapevamo fino a che punto. La serie doveva portare sullo schermo la vicenda delle baby prostitute dei Parioli ma è stato così? No e il risultato è decisamente equivoco.
Le ragazze dei Parioli
Nei mesi precedenti all’uscita siamo stati incalzati dalla promozione della serie. Gli intenti erano molto chiari: doveva essere un racconto, non cronistico, del caso di prostituzione in uno dei quartieri più altolocati di Roma: i Parioli.
Il punto critico più appariscente della serie è proprio questo: il fatto di cronaca è completamente assente e la serie più che essere un racconto-denuncia, o meglio una racconto-verità, risulta essere una versione italiana (ma possiamo dire anche pariolina) dei teen-drama d’oltreoceano. Nei sei episodi ,di cui è composta, la serie accompagniamo Chiara e Ludovica (e i loro amici) nelle problematiche adolescenziali: la scuola, la famiglia, gli amici. Se non fosse stata legata a quel preciso fatto di cronaca non ci sarebbe nulla di male, Netflix ha già nel suo catalogo titoli simili (un esempio è sicuramente Elite e non è un caso che proprio con questa Baby viene spesso paragonata). Il problema è che lo hanno fatto e lo hanno rappresentato come un caso isolato: Girls just want to have fun, ma solo le due protagoniste. Nella realtà l’elemento più inquietante (e per questo più rilevante) è che non fosse una caso isolato ma decisamente più diffuso. Poteva essere una narrazione più incisiva e tagliente di quello che è stato, di fatto è un’occasione persa.
https://www.youtube.com/watch?v=BFqF0acs4eE
Parlare di prostituzione minorile
Alla fine della visione di Baby qualcosa non mi aveva convinto del tutto, non sono riuscita a capirlo subito ma poi ho capito: la rappresentazione della prostituzione minorile è qualcosa di agghiacciante.
“Viviamo in un acquario. Ma sogniamo il mare. Per questo dobbiamo avere una vita segreta”.
E’ quello che sentiamo a conclusione della serie, ma più che vedere il passaggio da una gabbia dorata a una prostituzione glamour sarebbe stato più interessante vedere un mondo più sporco mettendo più personaggi negativi di quelli che a conti fatti compaiono.
Non tutto è perduto
Baby, nonostante la più che povera qualità/quantità di contenuti, è ben confezionata. La regia, soprattutto nei primi due episodi, fa delle scelte molto interessanti. Alle inquadrature più tradizionali si intervallano le schermate del telefono: dalle stories di Instagram alle conversazioni di whatsapp, cosa che avevamo già visto in Black Mirror.
Notevole è anche la fotografia che per alcuni tratti (colori vividi e i forti contrasti di alcune scene) ricorda molto i film di Refn: in particolare The neon demon e Solo dio perdona.
Questa serie è imbarazzante, ma chi l’ha scritta? Un ragazzino di 16 anni? Personaggi scontati e stereotipati (il ricco ribelle, la perfettina, la scuola privata in cui i figli di papà hanno una vita trasgressiva…) Io avevo capito fosse una trasposizione del caso delle baby squillo dei Parioli ma sta roba fa cagare anche ai 18enni. Mi stupisco che Netflix abbia prodotto una serie di così basso livello, gli attori ci provano pure, non sono malvagi ma è proprio scritta male. Si salva solo la colonna sonora con chicche come Nex Cassel e Achille Lauro.