“In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare”.
Questa è la battuta iniziale del film di cui parleremo oggi e fa parecchio riflettere considerando il periodo che stiamo tutti attraversando in cui la fuga, paradossalmente, sarebbe l’unica cosa da non fare per sperare di salvarsi la pelle.
Mediterraneo, è un film del 1991 diretto da Gabriele Salvatores, liberamente ispirato al romanzo Sagapò di Renzo Biasion.
La pellicola, terzo capitolo della cosiddetta «trilogia della fuga» dopo Marrakech Express (1989) e Turné (1990), racconta di un gruppo di militari italiani (Sergente Maggiore Nicola Lorusso/Diego Abatantuono, Tenente Raffaele Montini/Claudio Bigagli, Corrado Noventa/Claudio Bisio, Antonio Farina/Giuseppe Cederna, Luciano Colasanti/Ugo Conti, Eliseo Strazzabosco/Gigio Alberti, Libero Munaron/Memo Dini e Felice Munaron/Vasco Mirandola) che, nel 1941, approdano su una piccola isola dell’Egeo con il compito di stabilirvi un presidio.
La trama
Nel 1941 otto soldati del regio esercito italiano, sotto il comando del tenente Raffaele Montini (Claudio Bigagli), sono inviati a presidiare una sperduta isola greca che, a seguito dell’occupazione tedesca, è stata quasi totalmente abbandonata dalla popolazione.
I soldati perdono ben presto di vista il loro obiettivo e si insidiano nell’isola creando un’oasi di pace, lontano dai fragori della guerra.
Anche il sergente Nicola Lorusso (Diego Abatantuono10 giorni con Babbo Natale: i Rovelli ritornano, più matti di prima), l’unico ad aver una rilevante esperienza militare, decide di unirsi alla calma apparente offerta dall’incantevole luogo.
Avendo costatato che i nuovi arrivati non hanno intenzioni belligeranti, la popolazione dell’isola esce allo scoperto.
Tra gli abitanti c’è anche un prete, scampato all’arruolamento forzato, che incarica Montini di affrescare la piccola chiesa locale. Facilitati dalla mancanza di connessione via radio e dalla truffa del turco Aziz, che li priva delle armi e degli effetti personali, gli otto italiani possono condurre una vita normale come semplici cittadini.
L’avvenente Vassilissa (Vana Barba), prostituta locale, farà capitolare i soldati e in particolare il timido Antonio Farina (Giuseppe Caderna).
Colpita dall’innocenza d’animo dell’uomo, Vassilissa accetterà di sposarlo suscitando la gioia di tutti gli abitanti. Trascorrono tre anni intensi e felici, prima che un aereo di ricognizione italiano atterri sull’isola per annunciare che il fascismo è caduto così come il progetto dei soldati di poter vivere per sempre in una delle sperdute isole del Mediterraneo e che gli alleati adesso sono gli americani, cioè i nemici di prima.
Ma il legame profondo istaurato con quella terra straniera spingerà alcuni dei commilitoni a prendere una decisione inaspettata.
Le difficoltà e la location
Quando si decide produrre e dirigere un film del genere, giocato quasi esclusivamente sulle ambientazioni e sulla scelta dei luoghi, nulla deve essere lasciato al caso.
Proprio per questo motivo, la produzione del film è stata in bilico fino all’ultimo momento a causa delle difficoltà incontrate nella ricerca della location adatta alla storia.
Mediterraneo è stato girato sull’isola greca di Kastellorizo che si trova tra Rodi e la Turchia, ma prima di questa la produzione aveva visitato e scartato altre isole greche e quella di Kastellorizo era l’ultima opzione.
A raccontarlo è stato proprio Abatantuono, qualche anno fa, in un’intervista:
“Era la vigilia della partenza e c’era rimasta da vedere solo l’isola più lontana, Kastellorizo. Il tempo stringeva, eravamo tentati di lasciar perdere. Invece salimmo su un aeroplanino da paura, una caffettiera praticamente, e atterrammo verso sera nello spazio aperto in cui poi fu girata la scena della partita. In un istante, alla luce di un magnifico tramonto, trovammo tutte le location: dalla casa di Vassilissa ai fortilizi militari”.
L’isola di Kastellorizo ha in realtà una storia molto particolare, essendo da sempre al centro del contendere tra Grecia e Turchia.
Il piccolo lembo di terra occupa infatti una posizione strategica per entrambe le nazioni e la tensione tra i due Stati l’hanno percepita negli anni ’90 anche attori e troupe.
A raccontare un episodio emblematico è stato, negli anni, sempre Diego Abatantuono:
“Per tutta la durata delle riprese, e furono mesi, facemmo una sola gita sulle coste turche. Durante la traversata, dopo un giro di permessi che sembra di essere in una spy story, ci dissero di stare sdraiati per non dare nell’occhio e, una volta arrivati, fummo controllati dalla testa ai piedi. C’erano solo tre chilometri di mare tra l’isola greca e la Turchia ma l’atmosfera era totalmente diversa”.
Sembra inoltre che l’isola fosse talmente piccola da esserci un solo albergo, e in molti dormirono nelle case dei residenti, gente alla mano e molto disponibile, tant’è che il cast, per distrarsi dalle riprese, ogni sera andava giocare a calcio-tennis davanti alla chiesa, e quando la palla finiva in acqua gli abitanti di Kastellorizo si trasformavano in raccattapalle e si tuffavano per recuperarla.
Frasi, scene e battute
Salvatores non ha mai imposto limitazioni agli attori. Da Abatantuono a Bisio, tutti i protagonisti sono stati liberi di poter modificare i dialoghi delle scene e improvvisare.
Così è nata una delle frasi più celebri di Mediterraneo:
“Che cosa sai tu di quel che mangiano i greci“.
La frase, pronunciata dal sergente maggiore Nicola Lorusso (Diego Abatantuono) non è mai stata nella sceneggiatura originale.
A tirarla fuori, in dieci minuti, è stato proprio Abatantuono che, un po’ alla Sordi, ha voluto dare un tocco personale alla scena girata in paese.
Lorusso al termine del racconto di un aneddoto di guerra con i cannibali, a fronte delle perplessità di Farina gli dice
“Ma cosa ne sai tu, cosa ne sai tu di cosa mangiano i greci“.
Pochi sanno che in circolazione esistono varie versioni di questo film e questo negli anni ha creato confusione.
Oltre alla versione integrale originale da 99minuti che conosciamo infatti, esiste una versione americana della durata di 86minuti e in proposito proprio Gabriele Salvatores ha dichiarato che il taglio è noto e approvato, e fu deciso con Harvey Wienstein della Miramax per la distribuzione americana.
In particolare gli americani ritenevano che il punto di svolta del film fosse quando i soldati scoprivano che il paese era abitato e, pensavano fosse un po’ troppo lenta e lunga la prima parte del film precedente a questo “giro di boa”.
Decisero quindi di apportare dei tagli al fine di dare maggior ritmo, pensando di andare così incontro al gusto americano.
Curioso in particolare che la versione americana fu realizzata da un montatore americano di 28 anni, il quale era imbarazzato all’idea di dover mettere mano ad un’opera realizzata da un suo maestro, Nino Baragli (che ha collaborato con Federico Fellini, Sergio Leone, Pier Paolo Pasolini), che aveva curato la versione originale.
Furono tagliate praticamente tutte le battute più grevi o potenzialmente offensive (per qualche sensibilità delicata o per i greci), in particolare del sergente Lorusso, battute che però sono importanti per trasmettere il carattere ruspante, ma anche autentico e sincero del personaggio.
Stranamente altre scene sono rimaste invece invariate, come quella in cui Vassilissa “cerca lavoro” come prostituta, con una naturalezza disarmante
Invariata e memorabile, resta invece la scena madre del film, quella in cui Lo Russo vede una stella cadente ed esprime il suo desiderio…
“Una vita è troppo poco. Una vita sola non mi basta. Se conti bene non sono neanche tanti giorni. Troppe cose da fare, troppe idee. Sai che ogni volta che vedo un tramonto mi girano i coglioni? Perché penso che è passato un altro giorno. Dopo mi commuovo, perché penso che sono solo, un puntino nell’universo. I tramonti, mi piacerebbe vederli con mia madre e con una donna che amo. Invece le notti mi piacerebbe passarle da solo; da solo… magari con una bella troia, che è meglio che da solo.”
Premi e riconoscimenti
La pellicola è una delle più premiate della storia del cinema italiano con tre David di Donatello (Miglio film, Miglior montaggio e Miglior sonoro) e ben 12 candidature, un Globo d’oro, un Nastro d’argento e un Ciak d’oro; agli Oscar del 1992 inoltre, il film trionfò nella categoria ‘Miglior film straniero’.
Ancora oggi, a 30 anni di distanza, Mediterraneo di Gabriele Salvatores, rimane uno dei film italiani più amati e più discussi, dal momento che a molti, l’Oscar come Miglior Film straniero parve eccessivo, e parte della critica non sembrò capire la scelta della Academy.
Il grande Roger Ebert, confessò di essere uscito a metà film non trovando un senso in quello che vedeva.
Di certo un film che, se da una parte appariva conforme alla classica immagine degli italiani un po’ sfigati ma perbene del secondo conflitto mondiale, dall’altro in realtà proponeva tematiche e messaggi tutt’altro che superficiali, per quanto forse un po’ troppo personali per arrivare completamente a chi Salvatores non lo conosceva.
Sicuramente un film molto italiano, per i dubbi ed i quesiti che poneva, per l’angosciosa e opprimente dimensione temporale, mitigata dalla bellezza della natura, dagli abitanti di quell’isoletta in cui quel piccolo drappello di fanti veniva abbandonato dalla storia e dalla guerra, metafora di quei trentenni che, negli anni 90, si sentivano persi e senza futuro.
Un film generazionale potremmo definirlo, che ci ha segnati in positivo e in negativo.
Una storia che lascia un po’ l’amaro in bocca per quell’alone di nostalgia rievocativa dell’ultima scena.
La frase finale
“Dedicato a tutti quelli che stanno scappando”.
È la più“generazionale” di tutte perché la più rappresentativa delle utopie politico-sociali-artistiche, in cui orde di giovani di quegli anni si identificavano.
E chissà, forse stiamo ancora scappando.