Amazon Studios rifiuta di distribuire A rainy day in New York di Woody Allen e il regista chiede un risarcimento danni di 68 milioni di dollari
Woody Allen fa causa a Amazon Studios per aver violato il contratto, rifiutando di distribuire il suo ultimo film. Il contratto prevedeva che Amazon fornisse il servizio streaming per quattro film, A rainy day incluso. Il rifiuto sarebbe motivato dall’accusa che Dylan Farrow, figlia di Mia, ha rivolto ad Allen di aver abusato di lei quando aveva 7 anni. Cosa che è stata smentita da esami medici e oltretutto: “Amazon ha provato a giustificare la sua azione facendo riferimento a un’accusa priva di fondamento fatta da una venticinquenne contro il signor Allen, ma Amazon (e il pubblico) era già a conoscenza di quelle accuse quando ha deciso di impegnarsi per quattro film con il signor Allen. E in ogni caso questo non costituisce una base per rompere il contratto, non ci sono motivi legittimi per cui Amazon non debba rispettare le promesse fatte“. Come si legge nella denuncia.
Fermo restando che, a nostro modesto avviso, alla major non importa un fico secco di cosa abbia fatto Allen alla piccola Dylan, mettiamoci nei panni di Amazon. La major ha pagato duramente, in termini di immagine, i suoi legami col produttore Harvey Weinstein. In più, alcuni attori che avevano lavorato con Allen: Greta Gerwig, Ellen Page, Colin Firth e lo stesso protagonista di A Rainy Day in New York, Timothée Chalamet, che è arrivato perfino a devolvere il compenso per il film ad associazioni lgbt e centri antiviolenza, hanno dichiarato di non voler lavorare mai più col regista newyorkese, dopo le accuse che gli sono state rivolte. Aggiungiamoci che gli Stati Uniti rimangono un paese bacchettone che non ha mosso ciglio quando Clinton ha bombardato le fabbriche farmaceutiche della Nigeria che facevano concorrenza alle multinazionali nordamericane, ma lo hanno quasi fatto dimettere per la sua storia con Monica Lewinsky. Insomma, Amazon temeva un flop ed è corsa ai ripari.
Dall’Italia, in difesa di Woody Allen, alcuni critici cinematografici, guidati dal regista Giulio Laroni, hanno firmato un appello affinché A rainy day trovasse “… la più ampia circolazione possibile: la condotta di un artista non può influire sul giudizio del critico né deve indurre a censurare la sua opera. È altre sì inutile citare la miriade di grandi artisti, da Caravaggio in poi, che si sono resi responsabili di atti criminali“. Il che, di fatto, ammette le accuse rivolte a Woody Allen.
E ora veniamo alle nostre considerazioni. L’omicidio, come nel caso di Caravaggio o lo stupro di minori, come nel caso, ammesso che sia vero, di Allen o Polanski, altro regista immensamente bravo, non è come lasciare la macchina in divieto di sosta. Non c’è dubbio che debbano essere puniti, come è giusto pagare la multa per sosta vietata. Ma le considerazioni di Laroni e compagnia non sono da buttar via. Un mondo senza Giuditta e Oloferne, Manhattan o Rosemary’s baby, andrebbe avanti lo stesso, ma sarebbe ancora più brutto di quel che è e una visita a un museo che espone le opere di Caravaggio può aiutare a staccare, per un attimo, da tutte le brutture che ci circondano.
È una scelta veramente difficile. Nel nostro caso specifico non è difficile tifare per Woody Allen, visto che la Amazon non è certo una ONG, quindi, dovendo giudicare fra pari, si sta dalla parte di quello che, almeno, è un bravo regista. Ma in assoluto?
Probabilmente non c’è soluzione: i casi sono infiniti e non solamente nel campo artistico: Martin Heidegger è stato un essere spregevole, che ha denunciato i suoi colleghi ebrei alle autorità naziste, ciò non toglie che sia stato il pensatore più originale del XX secolo. Lasciamo, quindi la questione in sospeso, limitandoci al nostro caso: bisogna ammettere che fra una major sicuramente ipocrita e un regista, per ora, solo sospettato di stupro, stiamo col regista. Almeno rimane il beneficio del dubbio.