“Veniamo al mondo da soli e lo lasciamo da soli. È una cosa bellissima. “Solo” viene dal latino “sollus”, ovvero essere di per sé un tutto”
https://www.youtube.com/watch?v=oV2Ml2gbSgY
Ho visto Lucky più di due anni fa al cinema e, non appena tornata a casa, l’ho visto di nuovo. Mi sono comprata il dvd e ogni tanto accendo il computer e mi riguardo qualche scena. Eppure, non ho mai scritto una recensione del film. O meglio, ne ho scritte tante, ma mai nessuna è stata quella definitiva. E dopo un po’ ho rinunciato.
Il perché è semplice. Ci sono film che trovo troppo difficili da descrivere, di cui mi è difficile parlare. Perché hanno significato tanto per me o perché hanno smosso qualcosa di troppo profondo da poter esprimere. Diciamo che ci sono film che ho paura di deludere, spaventata di non poter rendere loro giustizia. Vorrei che tutti li guardassero e che li amassero esattamente come ho fatto io, che riuscissero a provare le stesse emozioni che ho provato io. Allo stesso tempo, però, sono anche film di cui sono gelosa, che vorrei che fossero soltanto miei. Ecco, Lucky è tutto questo. Ieri sera, però, mi sono decisa a riguardare il film e a fare una recensione, quella definitiva.
Lucky è un film che è passato abbastanza inosservato; forse ha fatto parlare più che altro perché Harry Dean Stanton, che interpreta il protagonista, è morto dopo pochi mesi dall’uscita del film. Eppure è uno dei più bei film girati nel XXI secolo.
Lucky non ha una vera storia; segue la quotidianità di un novantenne che vive in un piccolo villaggio del Texas e è ovvio che la vita di un novantenne sia in gran parte routine, nulla di travolgente, salvo la morte. E è la morte il filo rosso che attraversa il film.
I personaggi di Lucky fanno il film
Lucky è un ex marinaio, soprannominato “fortunato” perché sulla nave faceva il cuoco e non ha corso i rischi dei suoi compagni, durante la guerra. Lucky è arrivato a novant’anni in buona salute, nonostante fumi come una locomotiva a vapore, ed è benvoluto da tutti. Un giorno, improvvisamente, ha un mancamento, va dal medico che lo trova sano come un pesce, il suo solo problema è l’età. Lucky ricorda, dopo che gli era passato di mente da molti anni, quando da ragazzo, giocando con una pistola ad aria compressa, un giorno aveva sparato, senza neanche pensare che potesse colpirlo, a un tordo che cantava a squarciagola, il tordo era morto e il canto era cessato. Lucky comincia ad aver paura di morire.
Nel film la morte non è eclatante, invadente, terrifica, ma permea tutto il film; tutti i personaggi ne sono, in qualche modo, ossessionati. Howard, un grande amico di Lucky, interpretato da un David Lynch veramente lynchiano, ha una vera fissazione per la sua testuggine centenaria (e bada bene, testuggine, non tartaruga!), il Presidente Roosevelt, che ha visto morire le sue due mogli e che vedrà morire lui, perciò la nomina sua erede universale.
Bobby Lawrence (Ron Livingstone), l’avvocato che redige il testamento di Howard, è giovane ma, quando ha rischiato di morire schiacciato da un camion, ha fatto a sua volta testamento perché alla sua morte tutto sia in ordine. Ma Bobby ha famiglia, ha figli che lo ricorderanno, mentre Lucky non ha figli, non è mai stato sposato, una volta morto chi lo ricorderà? Sarà la fine di tutto.
Fred (Tom Skerrit), un vecchio marine, ha ancora in mente il sorriso più sereno che abbia mai visto in tutta la sua vita; quello di una ragazzina filippina, felice di essere uccisa dai soldati nordamericani, perché era buddista e così si compiva il suo karma. Lucky, invece, è ateo e ha paura di morire. Ha paura perché non ha fede o la fede ci si inventa perché si ha paura di morire?
Tutte le suggestioni, le domande che evoca questo film non nascono già da un intreccio avvincente o da avventure straordinarie ma, a dirla come Nietsche, dall’eterno ritorno dell’uguale, morte inclusa. D’altro canto una delle straordinarie capacità dei narratori nordamericani, sia al cinema che nei libri, è quella di riuscire a rendere avvincente anche la quotidianità più banale. Negli States gli estremi si toccano e convivono: film roboanti, fatti essenzialmente di effetti speciali, con film come il nostro Lucky e pure romanzi con soggetti grandiosi, come le balene, perché, come dice il narratore di Moby Dick, “nessun grande romanzo può essere scritto su soggetti insignificanti come le pulci” e romanzi che incantano pur avendo soggetti che, quanto a grandiosità, se la giocano con la vita delle pulci.
Sperando che questa recensione ti abbia convinto a guardare Lucky, che non ho difficoltà a chiamare capolavoro, ti lascio qui il video di Harry Dean Stanton che canta Volver, Voler, una delle scene più belle ed emozionanti di tutto il film: