“La democrazia è sopravvalutata”
House of Cards è una serie memorabile per molte ragioni. Fin dal 2013 la sua prima stagione, forte della regia, nelle prime due puntate di David Fincher (Seven, The Social Network) e di un attore come Kevin Spacey dal carisma indiscusso – 2 Oscar per I Soliti Sospetti e American Beauty – ha destato sensazione. Incentrata sulla brama di potere e gli interessi che girano intorno alla Casa Bianca, la storia di Frank Underwood, deputato e capogruppo del Partito Democratico alla Camera dei rappresentanti, cui viene promesso e poi negato il posto di segretario di Stato coinvolge profondamente lo spettatore. Egli, per ottenere la sua rivincita, inizia una vera e propria guerra di potere, in cui i suoi nemici politici cadono, uno dopo l’altro, sepolti da scandali, ricatti e minacce. “I soldi sono come ville di lusso che iniziano a cadere a pezzi dopo pochi anni; il potere è la solida costruzione in pietra che dura per secoli. Non riesco a rispettare chi non vede questa differenza.” Questa è solo una delle citazioni che danno un’idea della caratura dell’ interpretazione dell’ ex direttore artistico dell’ Old Vic Theatre.
Il cast di contorno, a partire da Robin Wright, che interpreta Claire Underwood, moglie del diabolico protagonista, è di altissima qualità e non sorprende che abbia calamitato l’attenzione del pubblico, rendendo la serie il veicolo ideale per sdoganare la piattaforma digitale Netflix, che la trasmette in streaming e in esclusiva dalla prima stagione, dopo aver battuto la concorrenza di altri giganti dell’ intrattenimento via cavo “tradizionale” come HBO. Nei primi due anni , la serie fa incetta di nomination e premi: Robin Wright vince il Golden Globe come miglior attrice in una serie drammatica nel 2014, seguita l’anno dopo da Kevin Spacey, premiato come miglior attore nel 2015. Il successo continua ma ll terremoto del movimento #METOO scoperchia il vaso di Pandora delle molestie sessuali nel dorato mondo del cinema e non risparmia House of Cards. Netflix è costretta a licenziare in tronco Kevin Spacey e rimandare l’uscita della sesta stagione, riscrivendola completamente.
Frank Underwood viene eliminato e con la morte del protagonista principale, avvenuta in circostanze poco chiare, ben poco resta se non la necessità di chiudere la storia. La serie torna con le ultime otto puntate: Robin Wright è magnetica, spregiudicata quanto e forse più del mefistofelico Spacey, ma la sceneggiatura, finora una delle carte vincenti, perde di equilibrio. Lo sceneggiatore principale Beau Willimon (Le Idi di Marzo) che nella sua vita aveva partecipato alla campagna al Senato per Hillary Clinton e a quella presidenziale per Howard Dean,aveva già lasciato la serie al termine della quarta stagione, ritenendo l’opera compiuta e la sua mancanza si fa sentire: il confronto con la brillantezza del passato è impietoso e nemmeno l’ opportunistica virata sull’uguaglianza di genere riesce a riscattare questo epilogo da un’ impressione generale di confusione, causa probabile della crisi d’ascolti registrata per i primi episodi dell’ ultima stagione, che hanno perso quasi un milione di spettatori rispetto allo scorso anno.
Fu vera gloria? Di certo House of Cards è il primo caso di serie che riesce ad annoverare interpreti di primissimo livello come protagonisti e, se oggi lo riteniamo quasi scontato, nel 2013 non lo era. Ha aperto una nuova strada per l’intrattenimento televisivo , che ormai si avvia a diventare sempre più in streaming e on demand, insidiando la distribuzione tradizionale: è davvero questo che ci riserva il futuro? Lo scopriremo solo…guardando.