Il 29 novembre uscirà nelle sale Tre volti, ultima prova di Jafar Panahi; regista condannato nel 2010 dal governo iraniano a non poter dirigere film o lasciare il paese per i successivi venti anni
Tre volti racconta con semplicità e ironia la difficile situazione che la settima arte vive in Iran. La storia inizia quando la famosa star Jafari riceve una video richiesta di aiuto da parte della giovane attrice in difficoltà Rezaei, la quale alla fine del nastro sembra suicidarsi. Presa dai sensi di colpa per non aver aiutato una collega in difficoltà parte in auto alla disperata ricerca della ragazza, accompagnata proprio da Panahi. Il viaggio li porterà ad attraversare gli aspri villaggi del nord-est del paese, dove si scontrano l’arretratezza e l’inesorabile arrivo della modernità.
L’esperienza diretta e la critica sociale
Il regista critica fortemente la pesante censura che il governo iraniano impone, e chi meglio di lui può farlo dopo le vicissitudini passate. Nel 2010 Jafar Panahi fu infatti condannato a non poter dirigere pellicole e a non poter lasciare il paese per 20 anni. Questa aspra condanna solo per aver cercato di mostrare al mondo una faccia dell’Iran ben lontana dal fascino dei fasti antichi ma bensì fatta di censura, arretratezza sociale e incapacità di adattarsi al flusso di cambiamento. Iconica la scena del film in cui il regista parla al telefono con la madre che, ignara di ciò che il figlio stia facendo, chiede :”Non stai mica girando un film?”. Panahi per non farla preoccupare è costretto a negare.
Curiosità
Potrebbe sembrare solamente una firma stilistica il girare film negli angusti spazi di un veicolo, così come in Taxi Teheran; si tratta invece di una forma di protezione proprio dovuta alla condanna ricevuta dal regista clandestino.