In anteprima al Toronto Film Festival, nei cinema americani dal 21 settembre “Fahrenheit 11/9”
Per chi non avesse mai guardato un film di Michael Moore, consiglio di cominciare con quello che gli è valso il premio Oscar nel 2003 “Bowling for Columbine”, tanto per farsi un’idea del modo in cui Moore illustra i temi che affronta. Scosso dalla strage nella piccola scuola del Colorado “Columbine High School” il 20 aprile 1999, in cui due giovani entrarono nella scuola armati fino ai denti uccidendo dodici persone, mentre l’America stava bombardando il Kosovo in quello che è passato alla storia come il grande bombardamento Usa in un paese straniero, Moore comincia a cercare il motivo per cui l’America ha il primato mondiale di omicidi per armi da fuoco e se questo sia collegato alla presenza di una pistola in migliaia di case statunitensi. In un viaggio che tocca vari stati, Moore incontra famiglie che insegnano alle proprio bambine a sparare con fucili di grosso calibro, si reca a fiere delle armi in cui ormai è possibile acquistare l’impensabile, intervistando persone normali che vivono la loro passione per le armi da fuoco. Ma ci mostra anche l’altro lato della medaglia, ovverosia giovani ragazzi rimasti paralizzati o che ancora si portano proiettili dentro il corpo e madri che piangono la morte dei propri figli, evidenziando le contrapposizioni di pensiero tra le lobby che guadagnano sulla vendita delle armi e gente normale che si vede strappare via i propri cari per colpa dei loro prodotti, diventati ormai merce facilmente acquistabile.
11 settembre 2001. Questa data segnò l’inizio di lunghi eventi e guerre che portarono al coinvolgimento di tutte le potenze militari mondiali in una guerra lunga e disastrosa, di cui ancora si hanno gli strascichi, con il tempo rivelatasi basata su verità costruite proprio per iniziarla. Moore comincia ad indagare su strani collegamenti economici che unirebbero l’allora presidente americano George W. Bush e Osama Bin Laden, da subito indicato come il mandante del sanguinoso attacco, scoprendo verità scomode e illustrando una realtà che non è quella che ci è stata mostrata. Anche in “Fahrenheit 9/11” Moore viaggia e fa interviste a ex politici, mostra documenti desecretati ma anche la cinica omertà diffusa tra i detentori del potere, contrapposta al dolore delle famiglie che non trovano pace per i loro morti, sacrificati in una guerra senza senso.
Le nuove paure degli americani.
“Fahrenheit 11/9” è l’ultima fatica di Michael Moore che stavolta pone l’obbiettivo sull’America all’indomani dell’elezione imprevedibile di Donald Trump, avvenuta appunto il 9 novembre del 2016, cercando di rispondere ad una domanda:
“How the f**k did we get here, and how the f**k do we get out”
“Come ca**o siamo arrivati qui e come ca**o ne usciremo?”
Come al suo solito, Moore intraprende un viaggio per conoscere le ansie e le paure degli americani all’indomani dell’elezione presidenziale che più di tutte ha stupito il mondo ma, data la particolare campagna elettorale di Donald Trump fondata su estremismi e negazionismo, ha anche instillato nuove paure nei cittadini ritrovandosi di nuovo ad affrontare molti problemi che si pensavano superati, dall’assistenza sanitaria gratuita alla crescente minaccia di nuovi gruppi razzisti. Un grido di protesta contro una politica che si sta rivelando in tutta la sua indifferenza verso i reali problemi della gente alimentando odio interraziale e riproponendo politiche climatiche che appaiono, nel 2018, antiche e dannose, contro ogni logica e dimostrazione scientifica, con conseguenze che si ripercuotono a livello mondiale.