Un anno dopo gli eventi di Avatar: La Via dell’Acqua, la famiglia di Jake (Sam Worthington) e Neytiri (Zoe Saldana) si è ormai stabilita nel Clan Metkayina e affronta il dolore per la morte del figlio Neteyam. Mentre una nuova fazione rischia di rompere il precario equilibrio, gli umani continuano il loro assalto a Pandora.
Avatar: Fuoco e Cenere riafferma la centralità della sala
La possibile acquisizione della Warner Bros. da parte di Netflix ha risollevato negli ultimi tempi un dibattito che tiene banco da diversi anni, quello sulle sale e sulla fruizione cinematografica, anche a causa della riduzione della durata delle finestre distributive riservate alle nuove uscite. Avatar: Fuoco e Cenere è in un certo senso una risposta a questo dibattito, è un film che riafferma la centralità della sala proponendo un’esperienza immersiva e sensoriale praticamente impossibile da replicare tra le mura domestiche.

James Cameron ci riporta nel mondo immaginifico di Pandora per la terza volta, a soli tre anni di distanza dall’uscita del secondo capitolo. L’impatto risulta ormai meno stupefacente dato che l’ambientazione è in gran parte la stessa dei due film precedenti; tuttavia la cura per i dettagli, la solita grande gestione dell’aspetto action e il sapiente uso del 3D non rendono quest’epopea meno mozzafiato.
I personaggi del film e una ritrovata empatia
Nonostante il titolo della pellicola, questa nuova iterazione del franchise non si concentra in modo particolare sul nuovo gruppo che introduce: i Na’vi (dall’aspetto vagamente orchesco) appartenenti alla tribù del fuoco suscitano un immediato interesse eppure con il passare dei minuti appare chiaro che, al contrario di quanto ci si poteva attendere, rappresentano solo uno dei tanti ingredienti del piatto e non la portata principale.
Lo stesso si può dire di Varang, la temibile leader del suddetto clan. Interpretata in motion capture da Oona Chaplin (nipote del grande Charlie Chapin e già vista nel ruolo di Talisa Stark ne Il Trono di Spade), Varang irrompe nel film con prepotenza, rivelandosi una presenza affascinante e magnetica, ma il suo potenziale iconico non è sfruttato fino in fondo nel prosieguo della pellicola: lo sviluppo dell’indomita Tsahìk va in una direzione in cui il personaggio viene narrativamente addomesticato, anche se rimane uno dei principali highlight di Avatar: Fuoco e Cenere.

Questa volta bisogna comunque riconoscere come Cameron sia riuscito a rendere interessanti le dinamiche tra i protagonisti, riuscendo a generare finalmente una certa dose di empatia per i suoi personaggi. Il cuore del film risiede nei Sully, una famiglia amorevole (allargata e in espansione) ma che non è certo quella del Mulino Bianco (o – pardon – del Mulino Blu). È proprio l’aspetto disfunzionale a generare interesse per le sorti dei personaggi, posti spesso in situazioni difficili e davanti ad ardui dilemmi morali, scottati dalle esperienze vissute nei capitoli precedenti.
Un altro personaggio su cui Cameron compie un lavoro interessante è quello del redivivo Quaritch (Stephen Lang). Il colonnello continua il percorso iniziato nello scorso film, sempre più diviso tra il dovere, l’affetto non ricambiato per il figlio Spider e i cambiamenti dovuti al suo nuovo corpo Na’vi; il risultato è quello di un villain più complesso e addirittura quasi simpatetico in più di un frangente.
I peccati veniali della saga di Avatar
Avatar: Fuoco e Cenere presenta alcuni dei soliti difetti della saga: personaggi umani non particolarmente memorabili, situazioni ridondanti, soluzioni stereotipate. Le varie linee narrative, inoltre, non sono tutte interessanti allo stesso modo. Chi si aspetta che l’accento venga posto sull’elemento del fuoco rimarrà deluso: la pellicola è in realtà una seconda parte di Avatar: La Via dell’Acqua (d’altronde i due film sono stati girati contemporaneamente) e le atmosfere sono in tutto e per tutto quelle del predecessore.

Questi “peccati” sono comunque perdonabili visto che il risultato finale è maggiore della somma delle sue parti: lo spettacolo offerto e l’immersività generata anche dalla (forse eccessiva) durata mastodontica avvolgono lo spettatore e stringono la presa, rendono semplice accettare alcune facilonerie senza farsi troppe domande.
Un blockbuster unico nel panorama odierno
Questo franchise, che costituisce quasi un unicum, pone l’accento sulla spettacolarità – un aspetto sempre più sacrificato nell’odierno panorama dei film ad alto budget (principalmente per le scadenze ristrette a cui sono sottoposti gli artisti di VFX) e mette in scena un tasso di epicità che raramente si rintraccia in altre pellicole simili al giorno d’oggi.
Per ambizione, cura del world-building e senso di grandezza, Avatar: Fuoco e Cenere si configura quasi come una diretta evoluzione di alcuni blockbuster degli anni 2000, come i prequel di Star Wars o i film diretti da Gore Verbinski della serie di Pirati dei Caraibi. Avatar riesce ad essere una saga fuori dal tempo, senza risultare datata – se non per una manciata di elementi, come nel caso dei pacchiani titoli di coda.

Il futuro di Avatar
Recentemente, Cameron ha dichiarato che il futuro della saga dipenderà dagli incassi di questo terzo capitolo. Non ci sono molti dubbi sul fatto che la nuova fatica del regista di Titanic incasserà una cifra considerevole al box-office, ma il risultato basterà a convincere i vertici della Disney a concedergli ancora tempo e risorse?
Avatar: Fuoco e Cenere chiude in modo piuttosto soddisfacente il dittico iniziato con La Via dell’Acqua, ma restano in sospeso degli snodi narrativi che rendono difficile considerare questo finale una conclusione dell’intera epopea di Pandora. Non resta che augurarsi che Cameron possa concludere la sua visione. In caso contrario, dopo questa sua permanenza quasi ventennale su un pianeta alieno, sarebbe certamente interessante vedere il regista tornare sulla Terra con nuovi progetti.