#vita da carlo 4 #carloverdone #paramount+
Maniche di camicia, lungomare in bicicletta, tra la gente al mercato. Lasciate alle spalle le polemiche di Sanremo s’era ritemprato. Nizza, prima della vita. Quasi a dimenticar d’essere Carlo Verdone, almeno per il tempo di un monologo. La malinconia di un’ispirazione dal naso, la serenità di un’espiazione dalla bocca. E poi Le Monde tutte le mattine, i libri mai letti addirittura a pagina 50, la libertà del kitesurf. Tocco di classe, s’è pure dato alle cuffie wireless.

Carlo, Carlo, Carlo. Possiamo fare una foto? Ma Carlo ha imparato a dire di no, smack, ve vojo bene, un’altra volta. Che arrogante, no, davvero, che Oronzo. Ma stavo a scherzà, famose sto selfie, dai, dai, dai, tutti qua. No, non c’interessa più, oramai, e giù a ridere dietro lo schermo per i disguidi di uno, da sempre, troppo simpatico per essere una star.
Tornerà a Roma, certo che tornerà. Tu chiamala, se vuoi, sceneggiatura. Il funerale di Renato anziché quello di Gastone, uno spiedino di gag una in fila all’altra, culminate con la proposta alla docenza di regia per il Centro Sperimentale di Cinematografia, semplicemente l’istituto a tema più importante al mondo. No, grazie Alfonso, in un altro momento ti avrei detto sì, ma ora je suis Nice e robe così. Sto zombiemaroni. II rifiuto, ulteriore tassello del viaggio dell’eroe.

La struttura a highlights dei 10 episodi consente di sorvolare sull’autocitazionismo del Nostro, sul perché cambi idea e bla bla bla, d’altronde il timore di non poter dare niente alle nuove leve è specchio della paura di non aver lasciato nulla agli italiani, qualcosa per cui essere ricordato, ed è declinazione di una inquietudine più generale che lo costringe all’insonnia, agli incubi in bianco e nero con Alvaro Vitali, il quale, oltre a essere in contrapposizione onirica con Fritz Lang e altri mattatori del cinema mittleleuropeo, a’ Carlo, devi facce ridere, lassa pedde i piagnoni, è altresì al sipario della carriera su questa Terra, 55 anni spazianti da Fellini alla lingua de fora di Pierino nelle commedie sexy all’italiana.
Inquietudine, si diceva, fisiologica ansia invece il primo giorno di lezione, a entrare in quelle mura piene di ricordi, nella scuola che fu di suo padre. Non chiamatemi Dottore, non chiamatemi Professore, non chiamatemi Maestro. I giovani, gli studenti, un’antropologia MUBI piuttosto cliché, statisticamente improbabile, che in altri contesti risulterebbe forzata, ma che nella serie serve da contraltare al classico boomer che saltava il fosso per il lungo, accusato in maniera implicita, proprio lui, di ogni nefandezza del ventunesimo secolo, dal patriarcato ad altre innominabili atrocità, quali il mancato ricorso agli asterischi e lo scorretto uso dei pronomi.

Il cinema è la più sacra delle cose profane, ci mancava solo la lettera minatoria nel registro di classe, ahah, e poi l’amico/nemico Sergio Rubini, docente di recitazione presso lo stesso istituto che, sia messo a verbale, in nome del realismo farebbe di tutto, anche una pizza al momento giusto durante le prove, ma guai a prendere l’ascensore insieme a lui, o guai a domandargli se ha dimestichezza con le petizioni online. Guai. È un tipo fatto a modo suo.
Old Man lo definisce Ivana, a casa, al sushi, mentre ammicca, financo quando gli illustra le sue posizioni sulla plastica, decisamente più permissive, queste ultime, di quelle della figlia Maddalena, la quale, laddove non impegnata col pargolo o a testare la resistenza dei vetri con Chicco, è in grado di piazzate senza eguali contro il testimonial Diesel da jet privato e avocado, perché l’ambiente è importante, direbbe il bomber, ma essere fighi lo è di più.

Ah sì, Carlo è andato a Belve, la Fagnani gli ha fatto pure whispering dal vivo. E io non solo mi incazzo se non indovino all’Eredità, ma mi si è pure rotto l’auricolare destro alle 11 di sera. Che disdetta. L’avevo pure portata a cena Sandra.