“Welcome to my Instagram. These images will be posted without explanation, for your interpretation. Enjoy”.
Queste sono le parole con cui l‘arci-amerikano John Cena accoglie i quasi 21 milioni di follower sul suo profilo, e ciò può dare un indizio su che considerazione abbia il social media manager che gestisce la pagina (non è vero, la curo io personalmente; come la santona de La Grande Bellezza conosce il nome di battesimo di tutti quegli uccelli, io conosco il nome di battesimo di tutte le persone che mi seguono) (grazie del cuoricino, Jasmine, hai proprio una micetta stupenda…) del pubblico di riferimento.
Nell’eterna diatriba tra show e tell, infatti, è quantomeno curioso che si decida di essere tell per far capire a 21 milioni di carneadi (più uno, io: la mamma dei carneadi è sempre incinta…) che quello è un profilo in cui si fa show.
Ma, evidentemente, la nuova cifra della coolness è spiegare agli ignari clikkatori compulsivi che compromettono server e igiene antropologica della rete il fatto che quella è una pagina smart, allo stesso modo di un ipotetico David Lynch (lui americano con la c) che nei titoli di testa sussurrasse allo spettatore un “ehi, questo è un film simbolico e pieno di metafore!“.
Dopo la premessa instagrammica atta a esplicitare la sublime pacchianaggine di John Cena, del suo social media manager e dei suoi follower (balle, le premesse instragrammiche, come gli esami e i Rotoloni Regina, non finiscono mai), possiamo passare finalmente all’Amerikanata suprema del 1⁰ maggio 2011.
Let’s go.
John Cena patriota sudato, Bin Laden rivale eliminato
Barack Obama (36 milioni di follower adesso su Instagram, senza contare i 132 milioni di X; chissà quanto vuole per un post sponsorizzato sulla mia linea di creme per il viso…) era il Presidente degli Stati Uniti in carica (ah, quando la sinistra americana aveva candidati elettoralmente fighi…), con l’ormai oggi decrepito Joe Biden (17 milioni di Punti Fragola all’Esselunga) come vice.
(Ma esiste davvero qualcuno contento di votare Pazza Inter Kamala?)
Quell’improbabile mandrillone di Donald Trump (26 milioni di seguaci nel 2024 solo su Instagram, oltre ai 90 milioni di X e agli inverificabili sul social che si è fondato da solo, ma su cui penso non sponsorizzerebbe le mie creme…), invece, aveva ancora l’orecchio integro ed era noto principalmente per essere un miliardario con un cameo in Mamma ho riperso l’aereo e per le celeberrime scazzottate con Vince McMahon durante gli eventi della WWE (chissà se lo spettatore medio del wrestling è più affascinato dai dibattiti sulla fluidità di genere o da quelli sull’impatto ambientale delle cannucce monouso…).
E proprio in chiusura di uno di questi eventi (no, The Donald per una volta non c’era; forse aveva perso l’aereo…), accadde la farsa suprema.
Dal Pakistan, dove era già scoccato il 2 maggio infatti, era giunta notizia del successo dell’Operation Neptune Spear, l’azione militare eseguita dai Navy Seals e narrata cinematograficamente in Zero Dark Thirty che aveva condotto all’eliminazione mirata del terrorista più ricercato al mondo, Osama Bin Laden.
L’appena citato Barack Obama, da buon Presidente, provò a informare i suoi connazionali dell’accaduto, ma, non avendo i social network ancora la portata pervasiva che hanno oggi, la notizia inizialmente non raggiunse gran parte degli statunitensi.
Nello specifico, c’erano pure diecimila persone allo St. Pete Times Forum di Tampa, Florida, per godersi lo spettacolo del WWE Extreme Rules 2011, oltre a più di duecentomila altre che assistevano all’evento in pay per view.
Le quali, povere creature, non avrebbero di certo dormito sonni tranquilli se non avessero saputo subito della morte dello Sceicco del Terrore, magari, orrore, cercandolo spaventati addirittura sotto il letto.
E perciò ecco che il messaggio alla nazione fu affidato al più rappresentativo wrestler–attore in circolazione nonché emblema di quella amerikanità decisamente kitsch di cui i nostri coloni d’oltreoceano vanno tanto orgogliosi (Vodka Martini, agitato non mescolato…), John Cena, il quale era pure appena divenuto detentore del WWE Championship per l’ottava volta dopo un match nella gabbia contro John Morrison e The Miz.
Ancora grondante di sudore, a petto nudo, con l’elastico delle iconiche mutande Uomo Underwear al di là della cintura e, perdipiù, in piedi sul banco dei commentatori, il nostro John prese il microfono con genuina fierezza, iniziando così il suo discorso sulla difesa della libertà dai nemici del Paese con una retorica e una ferocia nello sguardo degne del leggendario Chris Kyle (Bradley Cooper) nell’American Sniper di Clint Eastwood, senza tuttavia poter avere un minimo di serietà agli occhi di un osservatore non amerikano neppure (o forse soprattutto) al momento del saluto militare finale a causa del surreale e ridicolo contesto in cui tutto ciò si inseriva.
A giudicare quelle immagini pare quasi che Bin Laden, semplicemente, fosse uno dei suoi tanti rivali per il titolo WWE eliminato dalla storyline e che i Navy Seals fossero, allo stesso modo, solo suoi compagni di stable pronti a dare una lezione a uno che aveva fatto troppo il gradasso (John pose molta attenzione al linguaggio utilizzando l’espressione “compromised to a permanent end” anziché termini come “killed”), sempre per il tripudio del pubblico che inneggiava patriotticamente “IU ES EI, IU ES EI, IU ES EI”, con in sottofondo The Stars and Stripes Forever di John Phillip Sousa a esaltare quel momento di tribale eccitazione.
(Basta con questo perbenismo, io ero lì e ho visto solo gente dai sani valori che voleva divertirsi ed esultare per la morte di un farabutto che ha osato far sanguinare la nostra Patria e la nostra Bandiera. Dio benedica l’America, e nessun altro posto…).
In ogni caso, quella notte del 2011 due persone informarono il mondo della fine di Osama Bin Laden: uno era l’allora inquilino della Casa Bianca, l’altro un wrestler che ha fatto diventare l’amerikanità parte del suo personal branding, tra discutibili maglie a stelle e strisce e millantati trascorsi in Marina, il quale, peraltro, qualche anno dopo si sarebbe presentato con il birillo di fuori agli Oscar dopo aver recitato la parte di sirenotto in Barbie.
(Ben fatto, John, è così che si fa. Al diavolo i rosiconi che non realizzano nulla…).
Vuoi vedere che prima o poi pure John Cena diventerà Presidente?
È inutile ridere, caro lettore o cara lettrice di icrewplay.com. Nessuno lo avrebbe mai detto nemmeno di Trump…