Tratto dal romanzo di Laetitia Colombani, arriva al cinema La treccia, un film che sarà distribuito a partire dal 20 giugno in tutte le sale italiane. Una storia divisa in tre episodi; tre continenti, tre donne, e tre destini incrociati. Il racconto coraggioso della regista francese che racconta la condizione femminile, diversa eppure uguale in tutto il mondo.
La treccia: la trama
India, Italia e Canada. Tre continenti diversi. Tre donne: Smita, una giovane madre che vive nel villaggio di Badlapur, a stento riesce ad arrivare a fine mese, il suo sogno è mandare la piccola Lalita a scuola per salvarla da un destino già scritto. Lo stesso di Smita, che ogni mattina è costretta a svuotare le latrine nei buchi scavati per terra, la “toilette secca”, poichè è una dalit e quindi di stirpe inferiore ai jat.
Con invani sforzi, e con gli ultimi suoi risparmi ricavati per le visite mediche, manda la bambina a scuola. Smita capisce che non c’è futuro in quel villaggio, cosi decide di cambiare la sorte del loro destino. Sceglie il coraggio, che per lei significa lasciare tutto e fuggire, verso un futuro migliore. Questo per Smita, significa essere donne.
Giulia, 20 anni, vive a Palermo, fin da sempre lavora nella piccola impresa di famiglia, che si fonda sulla cascatura, la tradizione siciliana di conservare i capelli tagliati o caduti per ricavarne parrucche o toupet. Un giorno, il padre subisce un grave incidente e vengono affidate alla giovane le sorti del laboratorio Lanfredi. Pian piano viene a conoscenza di molti debiti, accumulati negli anni, la piccola azienda è sull‘orlo del baratro, e Giulia si ritroverà ad affrontare un destino crudele, qualcosa da cui non può scappare.
In una società impregnata di razzismo, di misoginia e disparità di genere, Giulia sceglierà il coraggio, per dire no ad un matrimonio combinato, e dire no a ogni forma di diseguaglianza che vede la donna solo un mezzo per l’accoppiamento. Per lei coraggio significa, risollevare le sorti dell’azienda e della famiglia, senza sacrificare la sua libertà di scelta. Questo significa essere donna per Giulia.
Canada, Sarah, avvocato in carriera nel prestigioso studio legale Johnson & Loockwood, alle spalle due divorzi e tre figli. Una vita apparentemente nella norma, nonostante le fatiche che ogni giorno deve affrontare, essendo donna in un luogo notoriamente maschilista. Ma Sarah ha carattere, e in tanti anni di duro lavoro, riesce ad conquistare un’ambito posto, ovvero diventare managing partner. Ma, proprio sul punto più alto della carriera, arriva a bussare il destino, troppo insipido che si abbatte su Sarah come un temporale improvviso.
La donna scopre di avere un tumore, sconfitta moralmente, all’inizio non riuscirà a trovare una via di fuga. Ma anche Sarah sceglierà il coraggio, quello di lottare, nonostante la rabbia e il dolore. Cercherà di affrontare la malattia e la trasformazione che vi porta, accetterà il cambiamento, e troverà in tutto questo il vero senso della vita: l’amore, la famiglia. Questo per Sarah significa essere donne.
La treccia: la recensione
Ciò che lega queste tre donne è il coraggio. Quello che le ha aiutate in qualche modo a trovare una soluzione diversa da un destino che sembrava segnato. La treccia, un gruppo di tre ciocche, tre file intrecciate, che tra loro si compongono a creare una cosa sola. Come le tre vite di queste donne che se pur lontane, si toccano, e si intrecciano in un quadro di meravigliosa entità femminile. Un racconto che riesce ad arrivare dritto al cuore, grazie alla semplicità ma alla stesso tempo al tagliente squarcio sulla realtà. Quella che purtroppo ad oggi ancora non si affaccia sugli stessi diritti, e infondo dall’India fino al Canada essere donna vuol dire coraggio.
La treccia: il femminismo che ci fa paura
Ancora una volta ci viene posto un quadro completo, di come in realtà ci sia ancora un’enorme spaccatura nella società. Troppo spesso si parla di disuguaglianze sociali, e di parità di genere, che ancora nel 2024 non si è riuscita ad raggiungere. Troppo le differenze, nel campo del lavoro, tra salariato più basso rispetto ai colleghi maschi fino ad abusi indesiderati sul posto di lavoro, raggiungendo il 40% rispetto al 22% del 2022.
Il regista Joa Roach aveva raccontato nel 2019 lo scandalo della Fox News in Bombshell- La voce dello scandalo, film di denuncia che dà voce alle donne abusate dall’ex capo dell’azienda Roger Ailes, con protagoniste Nicole Kidman, Charlize Theron e Margot Robbie. L’ultima impegnata da anni a portare nel cinema un divario ancora così netto, dopo il successo di Barbie, prodotto e recitato dalla stessa, arriva però la risposta di Shonda Rhimes, produttrice dello storico medical drama Grey’s Anatomy e della serie Netflix Bridgerton, che accusa la Robbie di aver reso l’intero reboot un manifesto eccessivamente femminista.
Insomma quando la questione è la donna, si arriva ad una vera e propria frattura sociale, e a volte occorre entrarci davvero con i piedi di piombo e Laetitia Colombani è riuscita a trattare il tema con intelligenza e profonda entità umana. La parola femminismo è qualcosa che se pronunciata fa paura già inizialmente, sembra provocatorio e a volte aggressivo, ma identifica a volte quelle disparità culturali che troppo spesso non vengono svelati. La treccia riesce a far emergere le difficoltà di essere donna in diversi sfondi continentali, da il terzo mondo fino a quello più civilizzato.
Frutto di un patriarcato basato su il capitalismo, germe vivente della forma più brutale di diseguaglianza. Basti pensare a come la pubblicità parlasse alla società, il Carosello, apice degli spot pubblicitari della televisione italiana, usa il personaggio di Calimero per sponsorizzare un detersivo, ovviamente rivolto alle donne, con un occhio alla sensibilizzazione verso un pulcino, che nello spot diventa poi nero. Un tripudio di messaggi allusivi e misogini di cui ovviamente non si è mai parlato.
La treccia: il coraggio che ci manca
Un’opera corale, che unisce, non divide. Rappresenta tre realtà diverse, ma comunque legate tra loro. Laetitia Colombani mette insieme un potente mosaico di vita, tra frammenti di umanità e veridicità. Non è femminismo, o attivismo. È una rappresentazione pura del mondo, dove la donna, nonostante i tanti progressi intrapresi negli anni, ancora parte svantaggiata, in una società che non aspetta ma va sempre più veloce. Da Smitha che è donna in una società patriarcale, dove essere donna significa essere sempre tre passi indietro ad un uomo, dove studiare è possibile solo per la casta sociale più alta e scappare, ribellarsi vuol dire morte.
Fino a Giulia, che prova in tutti i modi a salvare l’azienda di famiglia, nonostante la sfiducia e l’arretratezza dai suoi cari nei progetti della ragazza. Che invece è diversa da loro, ama leggere e immergersi in storie culturalmente diverse, dove non esiste ne razza e ne genere. Amore e coraggio, Giulia sceglie di cambiare la propria sorte mostrando il suo essere donna, che non vuol dire arrivare a qualcosa, per obbligo o sotto un matrimonio combinato.
E infine Sarah, forse la storia più struggente, più umana che la scrittrice riesce a portare in scena. La lotta contro qualcosa che distrugge tutti e tutte. Il cancro. La consapevolezza, l’accettazione e infine il duro scontro. Le fasi che l’avvocato in carriera dovrà affrontare, proprio all’apice nel suo adempimento lavorativo, proprio mentre tutto andava così bene. O forse no, perché Sarah aveva perso una parte di sè, rinchiusa tra una carta e l’altra, tra un processo da svolgere, e un figlio che aspetta il suo arrivo davanti scuola. Quante volte ci perdiamo, e a volte ci ritroviamo nel momento in cui la vita ci mette davanti un ostacolo, è lì che capiamo cosa stiamo perdendo, cosa davvero conta nella vita.
La treccia: se questa è una donna
Un film che non provoca ma commuove. Riesce ad identificare in pochi caratteri una storia che funziona, senza troppi giri di parole, senza eufemismi e critiche sociali. A tratti sottolinea un marcato ritratto collettivo. Il tutto incentivato dalla potente carica drammatica donata dalle musiche di Ludovico Einauidi che corrispettivamente aprono inizialmente ognuna delle tre storie, un aspetto forse troppo esaltato che anticipa la drammaticità del film, che grazie alla potenza delle scene riesce comunque ad essere comunicata allo spettatore. Un montaggio che a grandi linee emerge con maestria, data la difficoltà di alternare in modo coerente le tre storie insieme.
Prova superata per la regista, alle prime armi con una trama non cosi facile da sviluppare e mettere in scena. Se questa è una donna, verrebbe da chiedersi nel film, che mette a tacere qualsiasi qualunquismo antifemminista, e apre gli occhi su una realtà, spesso dimenticata, dove il cinismo sta alla base anche del cinema stesso. Basta ricordare il divismo che mette in scena la più maniacale forma di sessismo, da Marilyn Monroe fino al periodo italiano delle maggiorate dove lo donne erano oggetto di fantasie mascoline, tra definizione prorompente di donna formosa, al centro di storie e misfatti italiani.
La donna, a volte oggetto, mezzo e possesso. Ma anche madre, natura e amore. Come identifica la Mannoia nel singolo di Sanremo 24, tanti i nomi dati, le definizioni, ma nel profondo donna significa essere libera e orgogliosa, in un mare di no. La treccia, un film che non dà risposte ma solo una miriade di domande, intrecciate tra loro, fino a comporre una treccia.
Una descrizione emozionante. Mi ha fatto veramente venire la voglia di andare al cinema a godermi questo film. Ho anche riletto l’articolo più di una volta, davvero incalzante.