Un film manifesto, che si pone come elemento di denuncia della guerra russo-ucraina. The Invasion (2024) di Sergei Loznitsa, presentato al Festival di Cannes, racconta la guerra attraverso un specchio rotto, metafora di vite spezzate, portate ai margini del disordine naturale. Il regista ucraino, prende le difese dei suoi connazionali, cercando di mostrare a tutto tondo le condizioni umane degli ucraini sotto assedio, focalizzandosi in vari episodi, per stessa ammissione del regista, su momenti chiave della vita degli individui: la nascita, la scuola, il matrimonio, l’età matura, la morte.
Ed è proprio con il funerale di alcuni caduti in battaglia che si apre il film. Momenti di vita primordiali per l’essere umano, che sono raccontanti sotto lo sguardo impotente della guerra. Una normalità ormai spezzata da quel febbraio 2022.
Sergei Loznitsa, il regista che racconta la guerra
Sergei Loznitsa inizia fin da subito a lavorare con il documentario, considerato un maestro assoluto per il Festival del Cinema Documentario IDFA (Amsterdam), dato la lunga esperienza con il formato cinematografico ricreato quasi sempre con il materiale d’archivio. Fonte preziosa per il regista, sopratutto per The Natural History of Destruction, una ricostruzione mirata degli effetti devastanti della guerra, plasmata da una ricerca archivistica meticolosa.
Un’operazione dove caso e storia si incontrano per dare una rilettura del passato ma anche un presagio del presente. Un lavoro che ci aveva mostrato con un film cosiddetto ‘di finzione’ ma carico di una tragica verità, Germania anno zero di Roberto Rossellini che aveva colto con una carica drammatica fuori dal comune la distruzione fisica e morale della Germania e del suo popolo.
Loznitsa apre il suo film con la tranquillità della vita di campagna per poi condurci progressivamente, anche con la mediazione di una colonna di musica, suoni e rumori in crescendo, verso l’annientamento di massa. È la logica aberrante della guerra, che oggi torna a ripetersi in contesto diverso ma apparentemente ignaro alle lezioni della storia.
Serjei Loznitsa, uno sguardo sulla nuova società contemportanea
Un filo conduttore che lega passato e presente, e il registra ucraino ne fa quasi sempre un sua personale rilettura, come Austerlitz, un documentario del 2016, ambientato nel museo di Sachsenhausen, allestito all’interno di un campo di concentramento, dove le uniche immagini che vediamo sono i visitatori accompagnati dalla voce fuori campo, le guide turistiche che spiegano le torture inflitte nel campo dalle SS e dalla Gestapo. Uno squarcio tagliente nella contemporaneità di oggi, figlia di uno straordinario spunto iniziale. Tra selfie e luoghi di Ristoro, le mura e i binari di quei luoghi diventano sfondo di superficialità e protagonismo.
Gli eventi accaduti rimangono nel presente e nel futuro, in quella continuità che riassume la parola tedesca Gestalt riferendosi alla continuità. Se fai un film sul passato è dunque anche un film sul presente.
Sergei Losnitza
Un messaggio chiaro quello mandato da Loznitsa, il valore della memoria si scontra con la drastica mancanza della stessa. Il luogo di memoria diventa percorso museale, tra gruppi in comitiva e pranzi al sacco, tra facce annoiate e messe in posa nelle camere a gas o sui pali dove i prigionieri venivano impiccati. Un campanello d’allarme verso la nostra contemporaneità e il modo di percepire la Storia, e i suoi orrori. Austerlitz è la morte della moralità olio su tela, il pittore è Sergei Losnitza, che si limita proprio come un’artista a dipingere tutto ciò che vede, senza giudicare, posiziona la macchina da presa e lascia che siano i visitatori a fare il resto.
La guerra russo-ucraina attraverso i film di Sergei Loznitsa
Dall’inizio fino alla fine, il regista ucraino pare aver intrapreso un vero e proprio racconto della guerra in Ucraina. Da Majdan docu-film del 2014, dove racconta la rivolta civile contro il regime del presidente dell’Ucraina Viktor Janukovyč iniziata proprio a Majdan Nezaležnosti, nome della piazza centrale della capitale Kiev, nel novembre 2013.
Fino a Donbass (2018), un’opera corale di finzione, che ripercorre gli scontri nel Donbass dei separatisti che hanno portato alla proclamazione dello stato della Nuova Russia. Tra risate e pallottole, si muove la macchina da presa, impercettibile, che non lascia spazio ad un intervento musicale extradiegetico. Una trope si prepara a girare per un telegiornale, tra comparse e realtà, non si riesce più a distinguere gli eventi e la loro costruzione. Un film a metà tra un documentario a cui il regista si ispira e a un film di finzione. Tra satira e tragicità, Sergei Losnitza tira ancora i fili del teatro di guerra sovietico, e lo fa alla sua maniera attraverso il cinema, l’occhio dello spettatore è ancora una volta giudice di tali follie.
The Invasion, gli ultimi due anni in Ucraina
Il regista ucraino non si ferma, e allestisce un tribunale dell’Inquisione dove la macchina da presa diventa aula di sentenza. In The Invasion (2024) continua raccontare l’interminabile scontro russo-ucraino, da Maidan si passa al secondo atto. Una raccolta meticolosa di video, immagini sugli ultimi due anni di guerra. Sergei Loznitsa cerca di mostrare un’immagine a tutto tondo della società ucraina sotto assedio, con una fredda e distaccata rappresentazione di momenti sociali e quotidiani, che inducono ad una riflessione lo spettatore, senza manipolazioni emotive.
In primo piano c’è una donna che raccoglie in silenzio i mattoni della casa distrutta dal bombardamento russo e li posa uno sull’altro nel tentativo di ricostruire da sola le mura, nel sottosuolo si fanno lezioni a ai bambini improvvisando la normalità di una scuola. C’è chi aspetta in fila davanti alla mensa popolare aspettano un piatto di minestra, qualcuno festeggia un matrimonio e da qualche parte si sente il compianto per i caduti al fronte. Un mosaico, che pezzo per pezzo, ricostruisce la vita della popolazione civile, sotto un punto di vista quasi diegitico nonostante la veridicità di quello che vediamo.
Mi interessava la vita delle persone in questa situazione: quale è stato l’impatto della guerra su di loro? Trasmettere cosa significa affrontare l’esperienza di un’invasione è molto più complesso che mostrare scene di battaglia, ci volevano immagini forti, in grado di restituire dei momenti chiave» spiega Loznitsa. Come quando a un certo punto si vedono i libri degli autori russi, Puskin, Dostoevskij, gettati via con rabbia nelle discariche. «La distruzione non riguarda soltanto le cose materiali, la gente è colpita nell’animo, nella psiche. È assurdo che la guerra cambi il nostro sguardo su Dostoevskij»
Sergei Loznitsa
Inizialmente The Invasion era stato pensato come una raccolta di cortometraggi che doveva andare in onda su Arte francese. L’idea era di diffonderli in tempo reale, ma poi vi è entrato il presupposto di farlo diventare un’unico docu-film, che riuscisse a racchiudere il vissuto degli ucraini durante l’invasione. Un lotta di diritto di esistenza, combattuta non solo con armi e violenza ma con la forza di continuare a vivere su quelle terre e difendere quella normalità che è stata spezzata da quel mostro chiamato “guerra” che è entrata senza bussare nella vita delle persone.
“Non è una ‘vita normale’ quella che si vive in Ucraina. Non è normale quando l’odore della morte è sospeso nell’aria, quando ogni singolo giorno porta notizie di morti e feriti, quando la tua giornata è programmata da un raid aereo all’altro, quando le famiglie sono separate, quando le case vengono distrutte, quando i posti di lavoro vengono persi, quando vivi in un costante stato di ansia. E questo va già avanti da due anni e tre mesi… Dove trovi l’energia e la forza per andare avanti? Cosa unisce le persone e le aiuta a superare le difficoltà? Quanto sono dignitose queste persone nei confronti della follia che questa guerra è davvero! Una terrificante follia! Pura follia!”
Sergei Loznitsa
The Invasion è un’opera sociale, fatta da attori sociali che rispecchiano la loro “normalità” nel riflesso della macchina da presa. Uno specchio rotto ai confini dell’ Europa, dove la vita non è più vita ma solo sopravvivenza alla morte. Sergei Loznitsa ha portato un vero e proprio avvertimento all’Europa, una denuncia sociale di quello che non vediamo, oltre le bombe, oltre il conflitto, ci sono persone, vite, sospese tra passato, presente e futuro.
“Non riuscivo a rimanere in silenzio, non riuscivo a distogliere lo sguardo. Era mio dovere fare questo film. Questa guerra è diventata l’argomento principale per me, la mia preoccupazione principale, qualcosa con cui ho vissuto costantemente in questi due anni”
Sergei Loznitsa