Con In the Mood for Love ci troviamo negli anni sessanta ad Hong-Kong, dove si sviluppa un’inaspettata storia d’amore tra due persone già sposate che scoprono il tradimento dei rispettivi coniugi e con il quale dovranno fare i conti, scoprendo però inaspettatamente in questa loro dolorosa ricerca, i motivi per il quale sono stati traditi, e se forse tutto sommato per loro possa esserci eventualmente un futuro o no.
La trama
Hong-Kong, 1962. I coniugi Chow e i coniugi Chan si trasferiscono lo stesso giorno in due appartamenti contigui. Qui incontriamo il signor Chow (Tony Chiu-Wai Leung) e la signora Chan (Maggie Cheung) i quali sono sposati con due persone perennemente assenti, e tra di loro inizierà un discreto, ma sempre più assiduo scambio di opinioni che li porterà a scoprire poco dopo l’amara verità: i loro due consorti sono segretamente amanti.
Tra i due coniugi inizia quindi un viaggio alla scoperta sulle motivazioni che hanno spinto i loro rispettivi compagni di vita ad intraprendere altre relazioni di vita, e contestualmente inizieranno a porsi domande su di loro e allo stesso tempo usate per confrontarsi tra di loro, per capire il perché e da quando tutto ciò sia avvenuto dietro le loro inconsapevoli spalle.
Entrambi infatti sono due persone estremamente sole, lavorano strenuamente, lui come giornalista, lei come segretaria, ed essenzialmente lo fanno perché le persone che hanno sposato sono praticamente sempre assenti. Sono sposati in pratica con due fantasmi, e in quello spazio vuoto si incontrano loro e scoprono un’affinità inaspettata sotto diversi punti di vista.
Un’indagine che li porta a capire che forse entrambi meriterebbero di meglio dalla vita, e difatti se in principio la scoperta del tradimento porta in loro rabbia e disperazione, tenendosi compagnia uno con l’altra, capiranno che forse c’è di meglio per loro, e forse chissà potrebbe essere proprio la persona che hanno di fianco nell’affrontare questo doloroso momento, ad essere quella giusta con la quale stare, forse ci vuole solo il coraggio di lasciare indietro ciò che non funziona, per far spazio ad un qualcosa di più profondo e soddisfacente.
La regia di Wong Kar-wai
Il regista Wong Kar-wai realizza un film decisamente elaborato dal punto di vista registico. Infatti è una relazione tra quella dei due coniugi basata sulla sincronia dei movimenti: entrambi sono alla presa con amici o datori di lavoro moralmente discutibili, uno scende le scale, l’altra le scende e viceversa, fino a che nell’andare avanti nella relazione, incominceranno a camminare sempre sullo stesso piano, se non fianco a fianco, uno avanti, uno indietro, ma entrambi sul medesimo asse.
Il regista poi usa spazi molto stretti in cui a malapena spesso ci passa uno dei due: che siano corridoi, che siano stanze o semplicemente oggetti di tutti i giorni come le scarpe, tutto è all’insegna dello stretto, ai limiti della claustrofobia, di una vita di coppia che soffoca, più che libera.
Il matrimonio viene sempre più visto dagli occhi del regista come un qualcosa che limita la libertà degli altri, e seppure i loro coniugi ne abbiano abusato fin troppo di quella libertà, forse loro al contrario ne hanno esplorata fin troppo poca di questo alternativo modo di vivere la vita matrimoniale.
Il regista fa uso sapientemente poi, di strumenti come il rallenty o cambi repentini di velocità della trama sia per drammatizzare momenti importanti della storia, o per far scorrere con altrettanta velocità dove non c’è bisogno di un intreccio troppo lento.
Importanti sono anche i giochi di luci ed ombre. Noi non conosciamo infatti l’aspetto dei coniugi, li vediamo solo attraverso le ombre, mentre dei due protagonisti ne notiamo praticamente tutti i colori dagli eleganti tubini della protagonista sempre intonati con il luogo in cui si trova e gli stessi completi del coniuge Chow, si intonano spesso in alcuni dettagli, alle mura degli edifici che attraversa insieme alla signora Chang. Una scelta registica che sembra ci voglia mostrare che i luoghi sono una prosecuzione sia della nostra esteriorità, che dellla nostra interiorità più profonda.
Anche le sonorità In the Mood for Love, provenienti dall’esterno o dai rumori interni della quotidianità, restano estremamente vincolate allo stato d’animo dei due possibili amanti, i quali non è un caso sono due anime notturne, dove anche i rumori più delicati dominano sul caos dellla mondanità.
Stelle solitarie, non amanti della compagnia altrui, ma sognatrici e amanti della letteratura, i loro due coniugi astratti invece scambiano il loro affetto con loro con oggetti pratici, come una borsa o una cravatta, utili a mascherare un’esistenza fatta di estrema superficialità inconsistente.
Interessante anche la scelta molto perfezionistica di preferire dettagli ed inquadrature strette, a volta addirittura tagliate, a volte fissate su un unico oggetto, come le diverse inquadrature di un orologio analogico, con voci fuori-campo che dialogano tra di loro, insomma una scelta consapevole sul non voler essere più invasivo di quanto in realtà sia con la sua regia.
Certe cose infatti non hanno bisogno di una dimensione fisica per essere reali, basta l’intonazione vocale a riempirla, a volte invece è il contrario: abbiamo l’immagine, ma la voce assente, insomma non è detto che l’insieme delle due dimensioni sia segno di completezza della natura umana.
In the Mood for Love: una storia intima, ma una storia anche collettiva
Sapientemente Wong Kar-wai, sceglie spesso di mischiare le vicende dei due protagonisti con altre, che apparentemente non hanno alcun scopo utile per lo sviluppo della trama, ma che invece ci fanno comprendere che comunque facciamo parte di un mondo collettivo, non esistiamo solo noi, facciamo tutti parte di un continente immenso con migliaia di storie che compongono la storia del mondo.
Oltre a ciò, non si resta soltanto nelle strette e anguste della vecchia Hong-Kong, ma è un mondo asiatico che gira intorno a loro. Si citano spesso anche infatti altre città della Cina, si arriva addirittura anche in Giappone e sempre più sud verso la Cambogia e Singapore, con gli avvenimenti che coinvolgono questi paesi nei complessi anni sessanta del mondo asiatico, tra caos e assenza di rumori.
Nemmeno assente anche un po’ d’occidente, ma solo in virtù di musica spagnoleggiante, fluttuante costantemente nell’incontro tra i due, tra il sensuale e il nostalgico Quizas, Quizas, Quizas.
Divisi costantemente tra grandi folle e la solitudine dei templi, tra rumori collettivi e silenzio, tra parole urlate e altre rimaste in gola e mai pronunciate, in mezzo a tutto ciò scopriamo una delicata ed intensa storia d’amore e di conoscenza dell’altro, forse più sussurata che reale, ma essenzialmente ed estremamente profonda, quindi realmente vissuta.