Oggi, 11 maggio, nasceva Salvador Dalì (1904-1989), uno dei maggiori esponenti del movimento artistico surrealista. Artista a tuttotondo, ricordiamo Dalì soprattutto per i suoi dipinti dalle atmosfere oniriche. Il surrealismo è di fatto una corrente volta all’illustrazione di immagini provenienti dall’inconscio, in concomitanza con le innovazioni introdotte dalla psicoanalisi nei primi anni ’20 del Novecento. Uomo poliedrico, il suo apporto nel mondo del cinema, definito come la settima arte, è stato altrettanto notevole.
Nel giorno del compleanno di Salvador Dalì vogliamo quindi ricordare i film dell’artista e la forte incidenza che il suo lavoro ha avuto rispetto alle opere cinematografiche, del resto esse stesse non sono altro che un’ulteriore forma d’arte.
Salvador Dalì nel cinema
Salvador Dalì nacque negli anni dell’invenzione del cinema, vivendone dunque le successive evoluzioni: dal muto al sonoro, dal bianco e nero ai colori. Fin dalla giovinezza l’artista era grande appassionato della cinematografia, cogliendone la portata artistica. Egli affermava che i film potevano essere scomposti in due componenti: “le cose in sé” ovvero il contenuto, ciò che veniva narrato, e “l’immagine fotografica” ovvero il modo attraverso cui la macchina da presa era in grado di immortalare e di rielaborare le immagini.
La fascinazione per la settima arte e la passione per gli effetti visuali resero Dalì uno dei primi videoartisti della storia. Nel 1924 André Breton pubblicò il primo Manifesto surrealista, sottolineando l’importanza del cinema per questo movimento artistico, definendolo come:
“un occhio artificiale capace di riprendere uno spazio virtuale in cui immagini e realtà si fondono”.
Dalì traspose alcune riflessioni teoriche sul cinema negli scritti Guia Sinoptica: Cinema e successivamente Documental: Paris, tra il 1928 ed il 1929, criticando il romanticismo ed il sentimentalismo e piuttosto apprezzando la macchina da presa quale mezzo in grado di cogliere la realtà nella sua oggettività, crudezza ed immediatezza. Peraltro proprio di tale strumento venne colto il potenziale immenso per la rappresentazione dei temi ricorrenti del surrealismo, consentendo l’incontro tra la realtà ed il sogno.
Il primo incontro tra Salvador Dalì ed il cinema si realizzò grazie alla collaborazione nel 1928 con Luis Buñuel, dando alla luce Un chien andalou: il cortometraggio, opera prima di Buñuel, è ad oggi ancora noto come uno dei più rappresentativi dell’avanguardia surrealista.
Un chien andalou: il sodalizio tra Salvador Dalì e Luis Buñuel
Un chien andalou è un cortometraggio davvero suggestivo, ideato ed interpretato da Dalì e Buñuel e da cui emergono appieno tutti i temi più ricorrenti del surrealismo e della psicoanalisi, la cui visione lascia la medesima sensazione di un risveglio dopo uno strano sogno. Proprio la psicoanalisi è essenziale ai fini dell’interpretazione del corto, come del resto per ogni opera surrealista.
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Trama:
Viene narrata la storia passionale tra violenza e pulsioni sessuali di un uomo ed una donna, che non riescono a congiungersi a causa di una serie di eventi e personaggi che si frappongono tra i due.
Si tratta di un cortometraggio di poco più di venti minuti, sufficienti a destabilizzare lo spettatore. L’opera realizza un ibrido tra il sogno e la realtà, allontanandosi totalmente da quanto più possa considerarsi razionale. Si tratta di un’opera emblematica e che non si presta a facili interpretazioni, data la sua forte ambiguità. Già il titolo sembra fuorviante: Un chien andalou, in italiano un cane andaluso, omonimo titolo di un libro di poesie dello stesso Buñuel, forse egli stesso definitosi un cane, rinviando all’Andalusia quale suo paese d’origine. Come è evidente e come del resto è caratteristico del movimento surrealista, il corto trae spunto dai sogni di Buñuel e Salvador Dalì:
“Giunto a Figueras da Dalì, invitato a passare qualche giorno gli raccontai che avevo sognato da poco una nuvola lunga e sottile che tagliava la luna e una lama di rasoio che spaccava un occhio. Lui mi raccontò che la notte prima aveva visto in sogno una mano piena di formiche. Aggiunse: e se dai due sogni ne ricavassimo un film?”
La sceneggiatura venne scritta in una sola settimana ed il corto venne girato in soli 14 giorni: dal sodalizio dei due nacque un’opera caratterizzata da una forte ambiguità essenziale, dove la breve durata non giova a favore di una possibile interpretazione degli eventi, apparentemente casuali.
Gli eventi non si svolgono in ordine cronologico, non vi è alcun senso logico e la narrazione è discontinua e costantemente interrotta, creando dunque un forte senso di disorientamento. Non solo il tempo ma anche la percezione spaziale risulta profondamente alterata e destabilizzante, ricreando uno scenario prettamente onirico eppur vicino al reale. La scena iniziale è certamente la più emblematica e rappresentativa del successivo cinema di Buñuel: è notte e nel cielo le nuvole tagliano la luna così come un barbiere (interpretato dallo stesso regista) taglia con un rasoio l’occhio di una donna.
Una ferita dell’occhio non della donna, ma dello stesso spettatore, costretto ad una visione alquanto disturbante. L’obiettivo è quello di rappresentare una serie di sequenze che catturino l’attenzione dello spettatore, secondo la tesi esposta da Ėjzenštejn e come vedremo successivamente in numerose opere cinematografiche, quali ad esempio Persona (1966) di Ingmar Bergman, dove sin dall’apertura lo spettatore è posto dinanzi ad immagini terrificanti e disturbanti, anche decontestualizzate, quali dei flash volti a richiamare l’attenzione.
La scena dell’occhio tagliato, oggetto di studio per il cinema mondiale ancora oggi, segna un passaggio importante nella storia cinematografica, ponendosi quale simbolo di un mutamento di prospettiva. Buñuel va a simboleggiare così un cambiamento del punto di vista, ora superando il reale ed assumendo un nuovo sguardo volto all’inconscio, aprendo la mente dello spettatore a visioni oniriche. Il taglio rappresenta la rottura col passato e l’avvento del surrealismo nel cinema.
Dal sogno di Dalì è tratta la scena della mano da cui fuoriescono formiche. Le formiche sono un elemento ricorrente nell’opera dell’artista e che di fatto possiamo individuare in numerosi suoi dipinti, quale simbolo di decadenza e putrefazione, rinviando ad un trauma dell’uomo, rimasto impressionato dalla visione di formiche che copiose si apprestavano a divorare la carcassa di un animale.
In un’altra scena vediamo la donna costretta all’angolo per difendersi dall’aggressione dell’uomo, quest’ultimo è però bloccato da un pesante fardello che trascina dietro di sé, simbolo della religione che è di ostacolo all’espressione della sessualità. Infatti il peso portato dall’uomo è rappresentato dalle tavole dei dieci comandamenti, pianoforti con carcasse di asini, e due preti, di cui uno interpretato da Dalì in persona.
L’âge d’or e la rottura tra Dalì e Buñuel
Il sodalizio tra Salvador Dalì e Luis Buñuel diede vita ad un ulteriore film surrealista: L’âge d’or, del 1930.
Seconda opera del regista, questa sembra avvicinarsi sempre di più ai temi che poi saranno propri della sua cinematografia, specie riguardo alla forte critica contro la società borghese.
Al contrario del primo film, L’âge d’or sembra avere un debole filo narrativo: una coppia tenta di consumare il proprio rapporto, ostacolata però dai tabù sessuali imposti dalla società borghese, dalla chiesa e dalla famiglia.
Secondo manifesto surrealista cinematografico, questo segnò anche la rottura del sodalizio Dalì-Buñuel, a causa del fatto che il regista non aveva accreditato adeguatamente l’operato di Dalì, riconosciuto solo come co-sceneggiatore e non riconoscendo così l’effettiva paternità dell’opera all’artista, che aveva invece dichiarato di aver costantemente inviato numerose lettere con suggerimenti per la trama del film.
Dalì stava lavorando ad un ulteriore titolo che avrebbe dovuto presentarsi come il terzo capitolo della trilogia surrealista con Buñuel: Babaouo, scritto nel 1932 ma mai realizzato, proprio a causa del litigio tra i due.
Io ti salverò: la collaborazione con Hitchcock
Salvador Dalì si occupò della realizzazione di varie scenografie. In particolare ricordiamo la sua collaborazione con Alfred Hitchcock per il film Io ti salverò (Spellbound) del 1945. Interpretato da Ingrid Bergman e Gregory Peck, il film è incentrato proprio sul tema della psicoanalisi: l’attrice interpreta il ruolo di una psichiatra, vengono affrontati temi prettamente psicologici, ed al contempo sussiste la componente del mistero, di un giallo da sbrogliare, in linea con l’opera del regista.
Nello specifico ricordiamo la sequenza del sogno di Gregory Peck, in cui osserviamo l’effetto della repressione di un’esperienza traumatica attraverso i meccanismi di difesa, intesi quali strategie inconsce volte alla rimozione di esperienze particolarmente traumatiche e dolorose, causando però delle nevrosi. Proprio l’interpretazione dei sogni nella psicoanalisi riveste un ruolo fondamentale per la cura del paziente. Chi meglio di Salvador Dalì avrebbe potuto raffigurare la celebre e meravigliosa sequenza onirica?
Nella scena vediamo uno splendido fondale di tendaggi ed occhi, ancora una volta tagliati (forse proprio rinviando a Un chien andalou), da grandi forbici, quasi come se fosse necessaria tale rottura per accedere alla dimensione inconscia. Dalì realizzò cento schizzi e cinque dipinti a olio da consegnare allo scenografo. Le immagini furono rese realtà da Rex Wimpy, storico collaboratore di Hitchcock che ricordiamo anche in Psycho, esperto di effetti speciali.
Le idee di Dalì erano però troppo grandi ed ardue da realizzare. La scena avrebbe dovuto avere una durata di ben venti minuti ma, per esigenze di montaggio e soprattutto per difficoltà tecniche, la sequenza finì per durare soltanto tre minuti, a fronte dei venti iniziali.
Destino: Salvador Dalì incontra l’animazione di Walt Disney
Un altro interessante contributo di Salvador Dalì al mondo del cinema lo ritroviamo nel campo dell’animazione: stiamo parlando di Destino, il cortometraggio realizzato per Walt Disney. Il progetto risale al 1945, quando Walt Disney rimase colpito dalla sequenza onirica di Dalì in Io ti salverò e decise di contattarlo per una collaborazione.
Il titolo del corto è ripreso dalla canzone da sottofondo del compositore messicano Armando Domínguez. Furono realizzati 22 dipinti e centinaia di bozzetti in otto mesi di incessante lavoro. Il progetto partiva da una trama molto semplice: la storia d’amore tra una ballerina ed un giocatore di baseball. Quest’ultimo è però la personificazione di Chronos, divinità del tempo. Dalì decise di illustrare un’eterna corsa contro il tempo, l’opera stessa venne definita dall’artista come “un’esposizione magica della vita nel labirinto del tempo”.
Tuttavia il corto non venne portato a termine prima del 2003, dalla Walt Disney Company. Di fatto i lavori furono interrotti a seguito di problemi finanziari, data la crisi affrontata dalla Disney dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Nel 1999 Roy Edward Disney, nipote di Walt Disney, durante i lavori per Fantasia 2000, ritrovò i bozzetti ed il lavoro precedentemente svolto per Destino, donando nuova vita al cortometraggio ed affidandolo all’animatore francese Dominique Monfrey.
Un perfetto connubio dove l’animazione si presentò come il mezzo più adeguato a dare piena espressione alle immagini da sempre presenti nell’opera di Dalì, così rappresentando ambienti, oggetti, personaggi, tutto in costante movimento, scene dotate di forte dinamismo e plasticità che presero vita nell’universo Disney.
In conclusione
Salvador Dalì è stato sicuramente un grande artista, tutt’oggi fonte d’ispirazione per numerosi autori, come la stessa corrente surrealista. Molti sono i registi che tutt’oggi si rifanno alle sue opere, anche cinematografiche, quali ad esempio David Lynch (ripensiamo alla scena d’apertura di Velluto Blu dove a terra scorgiamo un orecchio ricoperto da formiche, rinviando forse alla mano di Un chien andalou).
Il surrealismo da sempre è oggetto di grande fascinazione e ispirazione, così come la psicoanalisi ed il tentativo di rappresentare quanto più si accosti alla dimensione inconscia. Ancora oggi il cinema è il luogo in cui realtà e sogno si fondono, in parte proprio grazie all’apporto di Dalì. Sarebbe stato interessante vedere oggi cosa sarebbe stato in grado di realizzare l’artista, che forse non avrebbe risentito delle forti limitazioni dei suoi tempi: forse la sequenza onirica di Io ti salverò sarebbe durata 20 minuti, forse Destino sarebbe diventato un film anziché un cortometraggio, o forse Dalì avrebbe realizzato un proprio film!
Purtroppo questo non potremo mai scoprirlo, tuttavia proprio grazie alle recenti tecnologie abbiamo la possibilità di entrare letteralmente in un dipinto di Salvador Dalì! Qui ti lascio un video a 360° dove potrai sperimentare la realtà aumentata, immergendoti appieno nella suggestiva atmosfera del dipinto Reminiscenza archeologica dell’Angelus di Millet: