Emily in Paris è una tale delusione da offuscare persino il trauma subito a causa del finale di How I Met Your Mother.
Non me ne vogliano i fan di Lily Collins che personalmente stimo molto e che ho apprezzato tantissimo nel film drammatico Fino all’osso, ma questa serie TV è un totale e completo disastro. Una sorta di fashion show con una debole e stereotipata storiella di fondo che sembra scritta da una dodicenne che sogna “la ville Lumière” dopo averla vista soltanto in Ratatouille! (E non mi sono neanche allontanata tanto dalla realtà, dal momento che il film Disney viene citato tra i numerosi stereotipi sulla Francia).
Emily è una ragazza di successo, è bella ed intelligente (a tratti, ma molto raramente, è anche divertente) eppure appena giunta a Parigi, sembra diventare una tonta completa. Si ritrova indubbiamente in un contesto geografico, culturale e sociale ben diverso da quello al quale è abituata e deve affrontare l’ostilità (sinceramente gratuita) dei suoi nuovi colleghi, in una città sconosciuta e, per giunta, deve farlo tutta sola.
Non si lascia scoraggiare e fa di tutto per rendersi preziosa, utile e fare al meglio il suo lavoro. Nel percorso formativo della sua carriera, perde il fidanzato egoista (potevano inventarsi una rottura molto più credibile) e guadagna tanti amici e troppi ammiratori (è mai possibile che TUTTI la desiderino e la corteggino? Siamo ancora a questi cliché uomo-donna?).
Da questo momento in poi, è un continuo susseguirsi di “voi americani siete/fate” e “voi francesi siete/fate” che mentre all’inizio può sembrare soltanto un approccio narrativo ironico, episodio dopo episodio diventa insopportabile, un insulto all’intelligenza dello spettatore.
Ma dove sono finite la genialità, la sagacia e la simpatia dei dialoghi di Sex and The City? Darren Star ha davvero ideato Emily in Paris o c’è una sorta di suo entourage che come fanno i ghost writer ha snaturato il suo lavoro? Perché ho avuto davvero questa spiacevole impressione.
L’idea c’è e non è niente male, il talento degli interpreti anche (c’è addirittura la splendida e bravissima figlia di Philip Leroy!), la fotografia è tecnicamente ineccepibile e molto suggestiva, la colonna sonora è adatta e ben studiata, Parigi è, come sempre, perfetta, ma permane la sensazione di star guardando un prodotto scadente. Nel senso che sono assolutamente certa che gli stessi episodi, con cast ed produttore diversi, non avrebbero mai avuto neanche una chance di successo!
Emily in Paris ed il relativo finale di stagione danno l’impressione che i dieci episodi non siano altro che un grosso prologo distribuito per tentare di “agganciare” un target di pubblico più giovane e frivolo di quello al quale generalmente Darren Star si rivolge, di somministrare un prodotto poco pretenzioso ad una platea di spettatori più vasta e magari di farlo approfittando del successo accumulato nel corso degli anni, sfruttandolo a mo di garanzia.
A tal proposito scommetto che, appena saranno diffusi i dati sul gradimento della serie, sapremo se ci sarà una seconda stagione. Ma entriamo nel vivo degli episodi, analizzando i particolari che ho trovato ridicoli e quasi offensivi. Da questo punto in poi, potreste incappare in spoilers. Lettore avvisato…
Emily (Lily Collins) giunge a Parigi per la sua nuova, entusiasmante avventura lavorativa e scopre poco a poco le peculiarità della capitale francese: la numerazione dei piani del palazzo in cui abiterà, la suddivisione della città in zone denominate “arrondissements“, le brioches per la colazione a base di burro (gli americani non conoscono il burro?), il suo nuovo e attraente (ma va?) vicino di casa che lavora come chef (è francese, non poteva mica fare l’idraulico!).
Premesso che molti stereotipi di Emily in Paris sono riferibili ai francesi tanto quanto agli europei in generale, faccio qualche rapido esempio delle gravi banalizzazioni a cui mi riferisco: i francesi fumano troppo e non vanno a lavorare prima delle 10.30 (ah si?), si prendono tutte le pause lavorative che vogliono perché a Parigi “far niente” è una vera e propria arte. Ma c’è di più!
A Parigi è comune che un uomo abbia una donna ed un’amante contemporaneamente e che le due si conoscano e sappiano l’una dell’altra (questa è un’oscenità maschilista che è grave ricondurre alla cultura di una città o di un popolo!); i francesi sono tutti snob e sono tutti apertamente cattivi ed ostili; sono troppo legati al passato e restii alla modernità; al contrario, gli americani sono superficiali, cafoni e privi di stile e classe, sempliciotti rimbambiti dai social media.
Gli americani non conoscono il buon cibo o il buon vino; gli chef francesi non lavano le padelle in cui fanno le crêpes (EWWW); gli uomini parigini sono tutti dei “broccoli” con una sola cosa in mente: la seduzione ed il sesso e sono degli sfaticati disinibiti (il padre di un’amica di Emily la riceve completamente nudo, perché tanto così si fa nella campagna francese); i genitori francesi si preoccupano più delle abilità sessuali dei propri figli che della loro virtù.
E, infine, ci sono una serie di incongruenze che compromettono l’onestà narrativa di tutta la serie e la credibilità di chi ci ha lavorato:
- Nel primo episodio, Emily riceve una telefonata dal suo fidanzato che ne interrompe il sonno (spiega che sono le 3 del mattino) i due condividono una sorta di “intimità virtuale” e quando Emily cerca di avviare un dispositivo elettrico, causa un corto circuito che travolge l’intero stabile. La scena mostra dunque tutte le luci che si spengono, ma…non erano le 3 del mattino? Com’è possibile che TUTTE le luci degli appartamenti fossero accese?
- Chiunque sia stato a Parigi almeno una volta sa benissimo che la città è un meraviglioso melting pot di culture ed etnie e che è elevatissima la presenza di persone con la pelle nera. Nella serie, però, Emily ha soltanto UN collega di colore e non si rapporta, né incontra o conosce nessun altro della stessa etnia. Non soltanto è assolutamente irrealistico, ma che non siano sufficientemente rappresentati i vari gruppi culturali non è per niente politically correct.
- Emily non conosce il francese e non lo parla, però anche quando le conversazioni non la riguardano e a conferire tra loro sono due francesi, senza che ve ne sia alcuna ragione, parlano in inglese.
- Ad un certo punto, Emily scopre che Gabriel, il vicino di casa per cui prova un’innegabile attrazione (ricambiata) è fidanzato e che la fidanzata è Camille, una ragazza di cui Emily è diventata amica. Da quel momento in poi, la presenza della ragazza nella vita dello chef è praticamente costante (notte e giorno) ma dov’era stata fino a quel momento?? Possibile che Emily, che aveva (per esigenze idrauliche) fatto la doccia da lui, cenato al suo ristorante, condiviso diversi momenti di vita quotidiana con lui, non abbia mai incontrato prima Camille?
Insomma, bel tentativo ma poca sostanza. Non basta apprezzare il lavoro di uno showrunner a rendere automaticamente perfetto tutto ciò che realizza. L’onestà ci impone di criticare forse con maggior vigore e severità gli artisti e gli ideatori che apprezziamo, perché a loro ci ispiriamo e perché a loro dedichiamo la nostra passione ed il nostro tempo, dopotutto non è mai troppo tardi per migliorarsi ed è sempre da incoraggiare la sperimentazione.
Dunque apprezziamo che Darren Star si sia messo alla prova con una serie che si ispira ai suoi successi precedenti, pur essendo completamente diversa da questi, perché si è cimentato con qualcosa di nuovo, ma è giusto anche prendere atto del deludente risultato ottenuto, senza riposare sugli allori.