Chi ha avuto la bontà di seguirci con una certa regolarità, in particolare i miei articoli, si sarà accorto sicuramente che non considero affatto la commedia un genere minore, non fosse che per l’attenzione e il sostegno che ho sempre dato a Woody Allen in questo suo periodo buio.
La commedia non è solo divertente; può essere un modo intelligente per dire quello che non va senza bisogno di fare un pippone. Per questo, anche se trovo esilaranti le commedie inglesi e statunitensi, quelle che preferisco sono quelle italiane (quelle fatte bene, si intende) e francesi, che sono diametralmente opposte, ma che ritengo le più efficaci per far critica sociale. Sottolineo sociale, perché le commedie in lingua inglese, il più delle volte, sono introspettive ed esistenziali, soprattutto proprio quelle di Woody Allen.
La commedia all’italiana parla del mondo così come è e lo massacra a forza di risate (amare). Tutti i nostri vizi vengono messi letteralmente alla berlina. La commedia all’italiana che apprezziamo, l’abbiamo detto più volte, è quella di Monicelli, De Sica padre, ecc., ma anche quella dei Vanzina, De Sica figlio, ecc. mette alla berlina i nostri vizi, visto che la volgarità è uno di essi, ma noi radical chic siamo infastiditi dalla volgarità e non li apprezziamo come, forse, meriterebbero.
La commedia francese, al contrario, parla del mondo come dovrebbe essere e ci fa rammaricare che non sia così. Sempre riso amaro è. Non sfugge alla regola questa commedia, ché commedia è, anche se finisce con un funerale; d’altronde anche uno degli Amici miei finisce con un funerale,
altre commedie iniziano proprio con un funerale, tipo Funeral party, o comunque parlano anche di un funerale, tipo Quattro matrimoni e un funerale, ovviamente commedie inglesi, che hanno una predilezione per l’humor nero.
Gamberetti per tutti lo avevamo già segnalato più di un anno fa e ora che lo abbiamo visto non possiamo che confermare tutte le belle aspettative delle quali lo avevamo investito. Ripetiamo brevemente la storia, fra l’altro vera: il nuotatore, vice campione del mondo, Matthias Le Goff rilascia alcune dichiarazioni omofobe; fosse stato il CONI probabilmente lo avrebbe premiato, paese che vai usanza che trovi, la federazione francese, invece, lo sospende e gli affibbia una punizione esemplare: allenare una squadra di pallanuotisti gay per partecipare ai Gay Games che si terranno in Croazia. Prevedibilmente, Matthias supererà i suoi pregiudizi, instaurando un rapporto paritario, come è normale che sia, coi suoi giocatori.
Qui il trailer di Gamberetti per tutti:
Film godibilissimo, con qualche cliché ma, visto l’argomento, forse non era possibile evitarlo. D’altronde la critica sociale non può che partire dall’abbattimento dei cliché, per dimostrare che solo di cliché si tratta, la realtà è molto più complessa e sfumata. E forse è un po’ questo che il film non rende a pieno, ma è possibile che insistendo di più su questo aspetto il film avrebbe perso in leggerezza, tanto non è che ci voglia l’immaginazione di un consumatore di LSD per immaginare quali e quanti inconvenienti comporti vivere serenamente la propria sessualità se non è quella omologata.
I registi Maxime Govare e Cédric Le Gallo, che qui vediamo in un’intervista con la tuta della squadra dei Crevettes pailletées, anche perché è la squadra nella quale Le Gallo gioca da sette anni, sebbene non più giovanissimi, hanno all’attivo pochi film; questo è il primo che dirigono insieme. Sono stati bravi a usare uno schema collaudato (se ci si pensa è lo stesso di Giù al nord, acclamatissimo film di Dany Boon, tanto per rimanere in area francese) riuscendo però a rimanere originali e liberi.
Direi che un anno fa siamo stati buoni profeti. Quattro stelle meritate.