Dolittle era, fin dal momento del suo annuncio, una delle promesse di intrattenimento di inizio anno per tutta la famiglia.
L’arrivo del primo e orgoglioso trailer mostrava una produzione mirata ad un’audience giovane, un prodotto pensato per far divertire la famiglia. Il ritorno di Robert Downey Jr. in fattezze diverse rispetto al supereroe è una gioia immensa e uno dei pochi lati positivi del film; Downey Jr., grazie alla sua spiccata versatilità attoriale, dà vita a un personaggio divertente, sebbene le sue movenze risultino già trite e ritrite. A questo si va poi ad aggiungere una produzione che, sin dal momento del suo annuncio, sembrava dovesse schizzare verso le stelle.
Nel bene e nel male, dunque, Dolittle è nelle sale da un po’ di tempo e, nonostante il non poco appoggio pubblicitario per far emergere questa produzione, il prodotto risulta sottotono, come una fiaba vissuta in un mondo odierno. Scopri insieme a me, caro iCrewer, perché Dolittle è un concentrato di bellezza visiva, ma di poca profondità a livello di storytelling.
UN DOTTORE PER GLI ANIMALI
La premessa animata è fuorviante. Il prologo, presentato sotto forma di animazione a mano (molto simile all’incipit di un altro recente film, Birds of Prey), mostra le ragioni che porteranno il dottor Dolittle (Robert Downey Jr.) alla chiusura del suo centro di riabilitazione per animali e alla solitudine più disperata.
Sebbene questo contesto animato provochi confusione su che genere di film si tratti, ai quattro minuti d’introduzione, atti a spiegare le primissime vicende, si fa poi l’abitudine.
La storia di Dolittle comincia con un ”e vissero felici e contenti”; il protagonista e sua moglie Lily vivono in una magione regalata dalla regina d’Inghilterra per la loro dedizione nel curare e prendersi cura di tutte le specie di animali. Quando però la moglie parte per una spedizione senza mai fare ritorno, il nostro protagonista cede alla disperazione, chiudendosi in se stesso e sbarrando i cancelli della sua clinica a tutti i volti umani.
L’occasione di riscatto arriva quando la giovanissima Lady Rose giunge nella magione con un messaggio della regina: aiutare quest’ultima a guarire da una grave malattia prima che sia troppo tardi, prima che la malattia prenda il sopravvento. Così, Dolittle, i suoi amici pelosi (doppiati originariamente da alcuni volti noti di Hollywood tra cui Tom Holland, Octavia Spencer, Rami Malek e Marion Cottilard) e il futuro apprendista Tommy Stubbins (un ragazzo giunto nella magione per chiedere soccorso verso uno scoiattolo che aveva accidentalmente sparato) partono per un viaggio verso un’isola dove cresce un frutto dai poteri curativi immensi.
IL MONDO OTTOCENTESCO
Dolittle, sebbene prenda ispirazione direttamente dalla serie letteraria omonima, cerca di ritrarre con le nuove tecnologie cinematografiche un mondo ambientato nel diciannovesimo secolo; fatto di prime macchine, ferro battuto in ogni dove e prime rivoluzioni individualistiche. Il tutto però viene spezzato dalla monotonia di un protagonista che vive per metà allo stato brado. Sì, perché Dolittle non ha solo il gran potere di capire e parlare con gli animali, ma ciò che circonda un uomo che ha ceduto le sue vittorie a causa di un amore perduto è il suo quieto vivere con strumenti e mezzi di trasporto troppo vecchi per quel mondo moderno che è l’Ottocento. Cavalca uno struzzo per raggiungere Buckingham Palace, gli viene recapitata un’imbarcazione del Settecento per il suo lungo e pericoloso viaggio, ma fa uso della parola come ipnotizzante per persuadere i suoi nemici e far loro perdere il lume della ragione. A volte facendolo nel modo più sbagliato e con risultati che si trasformano in scene d’azione quasi riuscite.
Dall’altro lato abbiamo le controparti antagonistiche che fanno del loro meglio e sembrano essere decisi a vendicarsi del nostro beniamino.
In primis abbiamo un Antonio Banderas che interpreta Rassoulim, il suocero di Dolittle e pretendente del diario di sua figlia Lily, che cerca di tenere stretto tra le sue grinfie. Dall’altro lato abbiamo la tigre Barry (doppiato da Ralph Fiennes) che cerca vendetta nei confronti del dottore per aver interrotto le sedute di terapia con la madre. Infine abbiamo il dottor Müdfly, un uomo che aveva prima il compito di prendersi cura di sua maestà, poi mettere il bastone tra le ruote di Dolittle e dei suoi compagni di viaggio per intercedere le sue scoperte e cancellare ogni traccia vivente di questo Giardino dell’Eden.
Questo schema sarebbe potuto risultare se non innovativo quantomeno interessante, invece risulta piatto e senza un senso logico, con il solo obiettivo di strizzare l’occhio a un pubblico giovanissimo.
UN RISULTATO MEDIOCRE
Di certo la logica c’è, la costruzione di questi nemici viene spiegata nel modo più semplice possibile, ma il tutto finisce poi in una piattezza in cui le azioni del cattivo si banalizzano fin troppo per favorire il sopracitato target del film. Dolittle arriva a una conclusione prevedibile, che sapeva di lieto fine sin dalle primissime scene, e cerca in tutti modi di fare breccia nel cuore del suo pubblico. Per arrivare a un risultato dolce amaro: da un lato ci riesce perché trasporta lo spettatore dentro immagini e avventure che tutti vorremmo vivere, dall’altro resta piatto per la resa caratteriale di alcuni elementi importanti della pellicola, come i personaggi e la loro caratterizzazione nel reagire agli impulsi del nostro protagonista.
Infine, abbiamo Robert Downey Jr. che, dopo aver vigilato sulla sua armatura di ferro per più di dieci anni, torna in nuove vesti. Il suo Dolittle è un personaggio quasi riuscito: fa del suo meglio per porre un accento britannico nella lingua originale, nonostante le movenze del dottore si potrebbero accostare a qualcosa di già visto con un altro suo iconico personaggio ottocentesco: Sherlock Holmes.
Dolittle è nella sua fattispecie un prodotto che intrattiene in una piccola parte, ma incappa nei soliti errori di sceneggiatura e, alla fine, risulta un film mediocre senza futuro come franchise.