Come J’accuse sia diventato in italiano L’ufficiale e la spia è uno dei frequenti misteri dei traduttori di titoli di film. Forse si sospetta che lo spettatore italiano non riesca a capire di cosa parlano i film se non glielo dici chiaro e tondo o forse si ritiene che nessuno riesca a capire che il titolo è una citazione dell’articolo di Émile Zola, ed è strano, perché questo non è certo un film da leghisti. Fatto sta che, nonostante il titolo infelice, questo è uno dei film più belli di Roman Polanski, forse è il più bello. Merito di un grande Jean Dujardin, nel ruolo dell’ufficiale Georges Picquart ma, soprattutto, di un grande copione e una grande regia. La trama, visto che sono tutti fatti rigorosamente storici, dovrebbe essere nota. L’accenniamo rapidamente. Alfred Dreyfus, capitano dell’esercito francese, viene dichiarato colpevole di alto tradimento per spionaggio, viene degradato in maniera umiliante e condannato all’esilio sull’Isola del Diavolo. La scoperta della corruzione nell’esercito francese sarebbe stato un clamoroso scandalo, ma se a tradire fosse stato un ebreo, e Dreyfus era ebreo, la cosa sarebbe stata più accettabile; perciò Dreyfus era il capro espiatorio perfetto e perciò il processo era stato piuttosto sommario e l’accusa si basava su prove tutt’altro che solide, ma la condanna era stata unanime. Un anno dopo, Georges Picquart, che era stato superiore di Dreyfus, viene nominato capo della sezione dei servizi segreti nell’esercito francese. Nonostante anche Picquart sia antisemita, notando alcune irregolarità nel dossier relativo a Deyfus, va a fondo e ne scopre l’innocenza. Picquart tenta di riaprire il processo, ma viene prima ostacolato, quindi perseguitato e condannato, a sua volta, proprio dai suoi superiori. Intanto Zola pubblica il celeberrimo editoriale J’accuse nel quale denuncia le irregolarità del processo Dreyfus e accusa puntualmente tutte le persone coinvolte nel caso. Si riapre il processo e anche Zola viene condannato per calunnie. La Francia intera si divide tra innocentisti e colpevolisti. Infine, la verità viene a galla, Dreyfus è reintegrato, ma non gli vengono riconosciuti gli anni scontati ingiustamente, e Picquart diventa addirittura Ministro della Guerra. Detto così sembra un lieto fine, ma non lo è: Picquart, grazie a Dreyfus, fa carriera, ma per Dreyfus non ci sarà mai una vera giustizia; la sua condanna illegittima continuerà a intralciare la sua carriera.
Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Robert Harris, che ha firmato la sceneggiatura col regista ed è stato ispirato a scrivere il libro proprio da Roman Polanski.
Emulo di Alfred Hitchcock, Polanski appare, dotato di un gran paio di baffoni, in un cameo, durante un concerto da camera, ben riconoscibile anche perché è più basso di un paio di teste di chiunque. A completare la famiglia Polanski, Emmanuelle Seigner, nel ruolo dell’amante di Picquart; molto brava, ma chi merita ogni lode è Jean Dujardin che, a dire la verità, coi baffi e quelle ridicole uniformi, ricorda un po’ il Commissario Capo Clouseau. Dujardin recita senza enfasi, perfettamente misurato in ogni situazione, risultando assolutamente plausibile in ogni fase della sua storia. Per la seconda volta, dopo Il pianista, Polanski torna sulla questione ebraica e, visto che ha perso entrambi i genitori nei campi di sterminio, è inevitabile che sia un argomento al quale è particolarmente sensibile. Anche se il protagonista del film è George Picquart, quello che rimane sempre in piena evidenza nel film è la palese ingiustizia del tutto arbitraria nei confronti di Dreyfus, che non cessa neppure dopo il “lieto fine”.
Non è il caso di rivangare le polemiche e le accuse rivolte al regista francese, visto che parliamo di un film e non della sua vita privata; però, mentre darei serenamente credito a Woody Allen quando sostiene la sua innocenza per le presunte molestie a Dylan Farrow, su Polanski qualche riserva ce l’avrei ma, effettivamente, non ha avuto una vita facile, anzi è stata costellata da vere e proprie tragedie. Comunque stiano le cose e sospendendo i giudizi sull’uomo, il regista Polanski è uno di quelli che rimarrà nella storia del cinema. I suoi film non sono tutti capolavori, ma pellicole come Rosemary’s baby, Chinatown, L’inquilino del terzo piano, Il pianista, ma anche Per favore, non mordermi sul collo, e soprattutto L’ufficiale e la spia saranno sempre considerati fra quelli che hanno fatto la storia del cinema.