Anche se di un libro si tratta, Riso Kosher di Lawrence J. Epstein è pur sempre un buon libro che parla di cinema e che, chi vorrebbe approfondire il cinema comico ebreaico, dovrebbe leggere.
Questo è il primo libro pubblicato, nel 2010, dalla Sagoma Edizioni, la casa editrice indipendente specializzata in cinema, soprattutto comico. In occasione dell’ultimo Pisa Book Festival ho comprato l’ultima ristampa, aggiornata, con prefazione di Moni Ovadia. Ho già parlato di alcuni libri pubblicati da questa casa editrice, come In arte Peter Sellers o Baciami come uno sconosciuto di Gene Wilder, altri ne ho letti e mi sono piaciuti, così mi è sembrato interessante vedere in che modo ha esordito questa piccola casa editrice che sta trovando un suo posto nella distribuzione convenzionale. Intanto, diciamo che trovo il titolo tradotto migliore dell’originale (The Haunted Smile), perché mette il lettore già sulla strada giusta (a meno che non pensi che si tratti di un libro di cucina). La storia dei comici di origine ebraica inizia con le prime massicce immigrazioni in terra nordamericana, soprattutto a seguito dei sanguinosissimi pogrom russi, iniziati fra il 1903 e il 1906 e durati fino a quando è durato lo zar. Epstein non lo dice esplicitamente, forse non gli è sembrato importante sottolinearlo, ma dal libro viene fuori abbastanza chiaramente che i comici ebrei hanno iniziato a lavorare all’interno del loro contesto culturale; insomma, per far ridere altri ebrei, poi sono piaciuti a tutti; il che, una volta di più, è la dimostrazione che la multicultura arricchisce. Il libro presenta in ordine cronologico tutti i grandi comici di origine ebraica che si erano cimentati nei vari generi di spettacolo e si erano adattati al vaudeville, al cinema, alla radio, alla televisione, mano a mano che il nuovo genere (e il nuovo mezzo) era più apprezzato e diffuso. È un po’ questo quello che viene fuori dal libro: la sopravvivenza a ogni costo. Soprattutto agli inizi, non c’era ispirazione artistica che tenesse o chissà che altra motivazione creativa; lo scopo principale era mangiare e poi, se possibile, fare un po’ di soldi. Quindi si parte da quelli che per noi sono illustri sconosciuti come Gracie Allen e George Burns, Ed Wynn, Eddie Cantor, Jack Benny. Poi si arriva ai fratelli Marx, Danny Kaye, Jerry Lewis, ossia comici che, per quanto lontani da noi, sono entrati nell’immaginario. Poi Sid Caesar, il controverso Lenny Bruce,
interpretato al cinema da una altro attore di origine ebraica, ossia Dustin Hoffman; infine Mel Brooks, Woody Allen, al quale Epstein dedica, giustamente, quasi tutto il capitolo sui registi ebrei; fino agli ultimi comici dell’edizione aggiornata. Una cosa curiosa è che sia Woody Allen che Mel Brooks sono immensamente più amati in Europa che negli States. Considerando che la percentuale di popolazione di origine ebraica in USA è il 3%, ma in Europa, per ovvi motivi, è lo 0,002% (in Italia lo 0,075%), l’idea che se ne può ricavare è che i comici di origine ebraica tocchino corde che vanno ben oltre la loro identità culturale, per cui alcune delle supposizioni che fa Epstein, legate alla specificità nordamericana, hanno un fondamento abbastanza labile.
Artisti ebraici e antisemitismo
Una cosa interessante è il rapporto fra gli artisti di origine ebraica e l’antisemitismo: i comici si sono dovuti adattare, nascondere o ostentare la propria ebraicità a seconda del periodo. Lenny Bruce, addirittura, usava l’aggettivo ebreo come apprezzamento: “Io sono ebreo. Ray Charles è ebreo. Count Basie è ebreo” e l’aggettivo “goysh” (che è una sorta di dispregiativo di “gentile”) come ingiuria, anche a personaggi di origine ebraica: “Eddie Cantor è goiysh. Il corpo dei marines è davvero goym“. Giusto per inquadrare storicamente la questione; nelle note di copertina sta scritto che gli ebrei sono perseguitati da 40 secoli; non è vero, l’antisemitismo è cosa relativamente recente: solo da dopo che il papato ha consolidato il suo potere temporale, quindi un migliaio di anni. Lo Stato Pontificio aveva inventato un metodo infallibile per finanziarsi: cominciava a perseguitare gli ebrei e questi, per essere lasciati in pace, pagavano quello che serviva al papa per le sue guerre, i suoi palazzi, ecc. (non sto inventando nulla, qualsiasi libro di storia attendibile lo conferma). Se sia per questo precedente storico che gli ebrei siano sempre stati perseguitati in periodi di crisi economica lo ignoro, però questa è sempre stata la regola: appena i soldi cominciano a scarseggiare è colpa degli ebrei. Le statistiche, riportate da Epstein, facilmente reperibili, dicono che durante la crisi del ’29 e nel periodo della II guerra mondiale la percentuale di antisemiti negli USA superava il 60%. Infatti, negli anni immediatamente precedenti alla II guerra mondiale, non erano pochi i WASP che pensavano che Hitler non fosse poi un cattivo ragazzo. Poi, una volta bombardata Pearl Harbour, gli USA non potevano più rimanere neutrali. È il caso di dire che gli ebrei americani li hanno salvati i giapponesi. Finita la guerra ci fu il famoso boom economico; infatti negli anni 50 la percentuale di antisemiti scese al 16%, fino ad arrivare a un 11% nel 1956. Oggi, che stiamo vivendo una crisi economica gravissima, secondo le ultime statistiche, negli USA la percentuale di intervistati antisemiti sta di nuovo sfiorando il 60%, una percentuale ben più alta di quella degli anti islamici. Chi se lo sarebbe aspettato? Se vogliamo farci del male guardando anche in casa nostra è evidente che è molto più facile dire “è colpa degli immigrati”, piuttosto che ammettere: “scusate, ma non sono capace di governare”.
Perché gli ebrei fanno ridere?
Infine, la risposta che uno si aspetta di trovare in un’opera di questo tipo: perché gli ebrei fanno ridere? Forse questa è la parte più debole del libro. Intanto Epstein sostiene che la comicità ebraica è soprattutto verbale a causa delle infinite e sottilissime dispute religiose cui è avvezzo il popolo del Libro, infatti, dice, non c’erano comici ebrei nel cinema muto. Ma è vero?
Harpo Marx è muto
e ci sono un’infinità di scene nei film di Harpo e i suoi fratelli che reggono o reggerebbero anche senza sonoro.
E poi, c’è qualcuno che, in tempi di sonoro, ha privilegiato la comicità fisica più di Jerry Lewis?
Ne dà una misura proprio un’inesattezza scritta da Epstein quando, nel suo quinto capitolo, scrive che Jerry Lewis era piccolo di statura. Non è vero; Jerry Lewis era alto un metro e 82, non un millimetro di più, né uno di meno dell’altezza di Dean Martin eppure si ha l’impressione che Jerry Lewis sia più piccolo del crooner italoamericano; anche se basterebbe guardare il film senza lasciarsi suggestionare per constatare che sono veramente alti uguali. Nelle Folli notti del dottor Jerryll, Lewis recita sia nella parte del piccolo professor Julius Kelp
che in quella dell’aitante Buddy Love
https://www.youtube.com/watch?v=MH8ZGTKJLOY
e non si mette i tacchi rialzati come Berlusconi quando è Buddy: riesce a rimpicciolirsi quando è Kemp. Inoltre ricordiamo (per averne letto la biografia, sempre pubblicata da Sagoma) che Stan Laurel (omaggiato da Lewis in Ragazzo tuttofare) diceva che gli unici due comici giovani (beh, allora lo erano) che avrebbero potuto avere successo anche nel muto erano Dick Van Dyke e Jerry Lewis per via della loro comicità fisica. Infine ricordiamo che Charlie Chaplin volle una copia di Ragazzo tuttofare, un film nel quale Jerry Lewis non dice una sola solitaria parola e affida tutta la sua comicità alla mimica e all’espressione e forse Chaplin l’apprezzò tanto proprio perché gli ricordava il cinema muto.
Per non parlare di Mel Brooks, che ha fatto un intero film muto, Silent movie, tradotto L’ultima follia di Mel Brooks, dove l’unica parola che si sente è il “No!” di Marcel Marceau. Un film dove Brooks è sia regista che attore e anche gli altri attori sono ebrei: Marty Feldman, Sid Caesar, Harold Gould, Paul Newman.
Dopo aver dato fondo a tutte le teorie scientifiche sulla comicità, la motivazione più forte della comicità ebraica, per Epstein, è che un popolo perseguitato per secoli aveva trovato nella comicità un modo per tirare avanti, per sdrammatizzare. Che è anche vero, però, se c’è un popolo che ha sofferto quanto e per lo stesso tempo degli ebrei, ossia fin dal medioevo, è il popolo romanì, ossia gli zingari (che non è una parolaccia), che hanno compartito con gli ebrei i campi di sterminio e le persecuzioni in qualsiasi paese cercassero di stanziarsi, tant’è che ancora oggi vengono definiti “nomadi”. Eppure i romanì non sono certo famosi per la loro comicità, ma per la musica. A parte i violinisti tzigani amati anche da Brahms e altri compositori classici, a parte i grandi chitarristi flamenchi, a parte Django Reinhart, Josef Zawinul, Ron Wood. Elvis “The Pelvis” Preseley è figlio di padre sinti e madre romanichel. Poi, nel mondo dello spettacolo, gli ebrei non facevano solo i comici. Basti pensare che i grandi registi che hanno inventato Hollywood sono di origine ebraica: Ernst Lubitsch, Billy Wilder, Joseph L. Mankiewicz, George Cukor, John Schlesinger, Fritz Lang, Max Reinhart. Fra i grandi registi più recenti ricordiamo Stanley Kubrik, Sydney Pollack, Oliver Stone, Roman Polanski, Steven Spielberg. Anche fra gli attori non comici ci sono grandi nomi: Kirk Douglas, Paul Newman, Leonard Nimoy, Leo Penn, padre di Sean, Dustin Hoffman, Daniel Day Lewis, Natalie Portman, Scarlett Johansson e via dicendo. Affermare che gli ebrei fanno ridere è come dire che i neri hanno il senso del ritmo; mi pare un po’ banale. Forse, pensando marxianamente, o darwinamente se si preferisce, gli immigrati ebrei sono arrivati tardi e non hanno potuto fare i contadini o gli operai perché c’erano già gli immigrati anglosassoni, non hanno potuto fare i musicisti perché c’erano già gli afro americani, non hanno potuto fare i poliziotti perché c’erano già gli irlandesi, non hanno potuto fare i malviventi perché c’erano già gli italiani, hanno trovato nell’industria dello spettacolo un posto che non era ancora stato occupato da nessuno e lì si sono insediati.
Questa opinione manca di qualsiasi fondamento scientifico, però più ci penso e più mi pare plausibile.
Senza sapere che erano ebrei da ragazzetta li ho tutti amati, specie i comici.