Di queste dichiarazioni rilasciate da Martin Scorsese ne abbiamo già parlato sul nostro sito e ne esistono numerose notizie in rete. Le ho lette e compendiate. Fra tutte la più esaustiva era quella di El País e molto di quello che scriverò lo devo al quotidiano spagnolo che ringrazio, come sempre.
Dopo le polemiche originate dalle sue dichiarazioni sul cinema di intrattenimento, in particolare dell’universo Marvel, in un’intervista di ottobre su Empire, Martin Scorsese conferma le sue parole in un articolo pubblicato sul New York Times e va oltre, affermando che questo tipo di film sta pregiudicando il cinema inteso come “arte”. “La situazione spiacevole è che oggi ci sono due filoni ben distinti: c’è l’intrattenimento audivisivo globale e c’è il cinema. Ci sono casi in cui questi due piani si sovrappongono, ma sta diventando sempre più raro e temo che il dominio finanziario dell’uno si stia dando da fare per emarginare l’altro”.
Chi ha seguito l’affare The Irishman capisce da dove nascano queste opinioni. Si sa che Scorsese ha trovato una sponda in Netflix quando le major gli hanno sbattuto la porta in faccia e si sa che il regista ha ammesso: “Avrei voluto vedere The Irishman proiettato in più sale“. I costi di un film Marvel richiedono di farlo uscire nel massimo numero di sale possibili, ma il numero di sale è limitato, perciò si crea una sorta di collo di bottiglia che marginalizza i film che Scorsese vorrebbe vedere e fare relegandoli alla distribuzione in streaming o home video. E questo è innegabile e dobbiamo dare ragione al regista. Quando apparve la prima intervista, seguì un acceso dibattito che aveva visto schierati con Scorsese i colleghi Ken Loach e Francis Ford Coppola, che ha rincarato la dose: “Quando Scorsese dice che la Marvel non è cinema, ha ragione. Uno da un film si aspetta una formazione e un’ispirazione e non credo che questo si ottenga con la Marvel perché fa film senza rischi. Per me fare film senza rischio è come avere un bambino senza aver fatto sesso. In realtà Martin è stato molto amabile; non ha mica detto che era cinema da disprezzare, che è quanto affermo io”. Fu criticato, invece, da Bob Iger, della Disney: “Grande regista, ma non credo che ne abbia mai visto uno“. La replica di Scorsese era stata: “Ho cercato di vederne alcuni, ma non fanno per me. A me sembrano più vicini ai parchi giochi che ai film come li ho conosciuti e amati per tutta la mia vita. Alla fine, non credo proprio che siano cinema”. Per la seconda volta ha confermato. Altra ancora la reazione di James Gunn, regista de I Guardiani della galassia: “Martin Scorsese è uno dei miei cinque registi preferiti. Mi sono indignato quando la gente criticò L’ultima tentazione di Cristo senza nemmeno averlo visto. Mi dispiace che ora giudichi il mio film allo stesso modo. Detto questo adorerò sempre Scorsese e gli sono grato per il suo contributo al cinema. Non vedo l’ora di vedere The Irishman”.
Nel suo articolo, comunque, Scorzese precisa che i film coi supereroi non gli piacciono per motivi di gusto personale, probabilmente dovuto a motivi generazionali: “Per me, per i registi che sono arrivato ad amare e rispettare, e per i miei amici che iniziarono a fare film con me, il cinema girava attorno all’idea di rivelazione: rivelazione estetica, emotiva, spirituale. I personaggi erano importanti: la complessità delle persone e della loro natura contraddittoria, a volte paradossale, il modo nel quale si può fare del male e amare. Si trattava di confrontare l’inatteso sullo schermo e nella vita, che si drammatizzava e interpretava; di ampliare il senso di quello che era possibile in una forma di arte. Questa era la chiave per noi: era una forma di arte”.
Man mano che si avanza nell’articolo ci si rende conto che l’amarezza di Scorsese non ha molto a che vedere coi film della Marvel quanto con una logica di mercato che, quella sì, pur di fare profitto ammazza l’arte, ma ammazzerebbe anche sua madre, se ce l’avesse. Scorsese riconosce che il mondo in 20 anni è cambiato molto, in particolare il modello di business imposto dalla franchise procede a: “Variazioni illimitate su un numero definito di temi fatti per soddisfare una serie specifica di domande, i film Marvel sono sequel di nome, ma remake di fatto, basati su ricerche di mercato e test dell’audience, modificati, riverificati e rimodificati fino a che non sono pronti per il consumo. In molti luoghi degli Stati Uniti e in tutto il mondo, il franchising è l’opzione principale se vuoi vedere qualcosa sul grande schermo, questo riguarda anche me, che ho appena finito di girare un film con Netflix. Solo così abbiamo potuto realizzare The Irishman come lo volevamo e di questo sarò sempre grato. Abbiamo la possibilità di andare in sala, che è bellissimo, ma mi sarebbe piaciuto che il film fosse proiettato in più sale e per più tempo. Ma non importa con chi fai il film, il fatto è che le sale sono condizionate dal franchising. Se mi rispondete che si tratta solo di una questione di domanda e offerta e si dà alla gente quello che vuole, devo dire che non sono d’accordo. È una questione come quella dell’uovo e la gallina. Se alla gente si dà solo un tipo di cose e gli si vende solo un tipo di cose è naturale che ne vorranno sempre di più”. E così termina il suo articolo: “Per chiunque sogni di fare un film o che sta cominciando, la situazione in questo momento è brutale e inospitale per l’arte”.