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Kalavria, la terra dei greci di Calabria: documentario suggestivo

Irene Pepe 6 anni fa Commenta! 4
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A Pisa vive una nutrita comunità calabrese, spesso studenti dell’università pisana che poi sono rimasti in Toscana per lavoro. Ogni anno l’Associazione Culturale Calabrese “Esperia” organizza una Festa della Cultura Calabrese, arrivata alla XV edizione, che comprende eventi vari, musicali, cinematografici e, perché no, gastronomici. Come sempre, il cineclub Arsenale ospita la Festa proiettando film.

Il documentario di Davide e Freedom (non è un nome bizzarro, in realtà, da buon meridionale, porta i nomi dei nonni: Francesco e Domenico, siccome Fradom suonava male, hanno aggiustato il nome del primo nonno), è stato girato a costo zero o quasi, in tre estati, durante le vacanze, perché entrambi lavorano lontano dalla Calabria. Se, da un punto di vista meramente cinematografico, non è di particolare interesse è, invece, ricco di suggestioni. Intanto la location, come si suol dire, è di una bellezza impressionante, che sia la zona costiera, che sia quella dell’Aspromonte; poi il tentativo di salvare una lingua antichissima come il grecanico non può che far partire con la fantasia indietro di quasi tre millenni.

Il grecanico stava scomparendo. Una volta morti gli ultimi parlanti, la maggior parte dei quali ultrasettantenni, si sarebbe completamente estinto, non fosse stato per il lavoro ostinato, documentato dal film, di alcuni greci di Calabria, che stanno insegnando la lingua ai giovani e la stanno promuovendo anche attraverso questo film. Cos’ha di tanto speciale il grecanico? Il grecanico è la lingua della Magna Grecia, ovvero la lingua di Archimede e di Pitagora, conservatasi per quasi tremila anni. È più greco il grecanico del greco moderno stesso. Mi spiego: quando la Grecia ottenne l’indipendenza dall’Impero Ottomano, nessuno parlava più greco, ma un misto di turco e dialetti albanesi. La lingua greca fu ricostruita attraverso i testi liturgici perché i pope ortodossi avevano continuato a officiare in greco bizantino. Un po’ la stessa cosa che è successa per l’ebraico in Israele. Quindi, se solo Omero fosse vivo, capirebbe perfettamente i greci di Calabria e molto meno gli attuali ateniesi. Perciò se il grecanico sparisse sarebbe una perdita analoga all’estinzione dei panda. Altra suggestione che viene suggerita dal documentario è che L’Odissea sia stata scritta a Reggio Calabria. Non è un’idea del tutto peregrina, dato che L’Odissea viene datata fra l’800 e il 700 avanti l’era volgare, ossia proprio quando iniziarono le migrazioni greche in Italia e visto che gran parte delle avventure di Odisseo avvengono in Italia: Scilla e Cariddi, Polifemo, Circe, i lestrigoni, le sirene.

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Se c’è un ulteriore motivo per volere che il grecanico sopravviva è che, durante l’infausto ventennio, i greci di Calabria furono fortemente stigmatizzati dal regime che aveva come punto fermo della sua propaganda che Roma avesse conquistato il mediterraneo e i greci calabresi, per i fascisti, erano un po’ come i galli irriducibili di Asterix. Per dare un esempio del greco che si parla nell’Italia meridionale; non solo in Calabria, ma anche in Puglia, dove viene chiamato “griko”, facciamo ascoltare una canzone nel greco di Pitagora

Ascoltandola attentamente, ci sono apparenti incongruenze, per esempio, il mare viene chiamato alternativamente “Thalassa”, in greco o “mare”, in italiano, a seconda del metro e della rima. In realtà è uno dei molti esempi delle infinite possibilità che darebbe la multicultura.

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