Il Diego Armando Maradona dello Yuppismo è tornato.
Donald J. Trump, dopo una campagna elettorale molto intensa tra turni da McDonald’s e camion dell’immondizia, ha vinto le elezioni americane e da gennaio sarà (di nuovo!) Presidente degli Stati Uniti dei meme d’America!
Siamo fiduciosi del fatto che saprà regalarci un sacco di risate in questi 4 anni di glorioso mandato, come già fece durante il suo primo mandato d’altronde, e a giudicare dalla campagna elettorale a cui abbiamo assistito, l’arancione non deluderà le aspettative.
Però qui si parla di cinema, e visto che tutto può essere cinema, Donald Trump è fonte di ispirazione per innumerevoli tipi di storie.
E’ comune il modo di dire “sembra uscito da un film”, ma bisogna sempre ricordare che qualsiasi storia trae sempre un minimo di base dalla realtà.
Nonostante ciò però, il nuovo (e vecchio) Mr President si trova in una zona ambigua.
Con lui la domanda da farsi è:
E’ la vita che imita l’arte oppure l’opposto?
Questi sono i 5 film per festeggiare il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.
La Terra dei Morti Viventi (George A. Romero, 2005)
Cominciamo con un regista che probabilmente Trump se lo sognava la notte, ovviamente parliamo di George A. Romero, uno che ha fatto della lotta al capitalismo e al consumismo una missione di vita.
Il quarto capitolo della saga dei morti viventi (che trovate intera qui in blu ray a proposito), girato ben 20 anni dopo il precedente Il Giorno degli zombi, vede un umanità era agli sgoccioli, in pieno post-apocalittico, con gli umani che si sono in qualche modo adattati al nuovo mondo dominato dai morti viventi.
Le metafore sono palesi, Dennis Hopper è un uomo bianco ricco che regna un grattacielo contenente tutti i lussi possibili mentre fuori gli uomini che non se lo possono permettere combattono con gli zombi, che ad un certo punto evolvono e, capitanati da uno zombie nero con la tuta da benzinaio, assaltano il palazzo.
La cosa meravigliosa è che in un intervista con Federico Frusciante (la trovate qui) girata durante il periodo della campagna elettorale che portò Trump alla Casa Bianca la prima volta, l’anti-critico di Livorno ha chiesto al regista a chi farebbe interpretare il tycoon.
Romero rispose ridendo: “Dennis Hopper“.
‘Nuff said.
Civil War (Alex Garland, 2024)
Ricordiamo tutti l’assalto a Capitol Hill da parte dei sostenitori del magnate newyorkese, infuriati perchè convinti che ci fossero stati dei brogli elettorali che hanno portato alla vittoria del candidato democratico Joe Biden.
Civil War di Garland immagina invece cosa sarebbe successo se l’assalto a Capitol Hill, invece di essere una fiera cosplay di dubbio gusto (che ha purtroppo fatto delle vittime), fosse sfociato in una vera e propria guerra civile.
La pellicola però, a dispetto di quanto si possa pensare, usa questo peculiare contesto di secessione americana dei nuovi anni 20 per raccontare una storia di giornalismo e di cosa si è disposti a fare per perseguire i propri obiettivi.
Insomma, un film che parla non tanto di guerra quanto di chi la ritrae.
Garland ha purtroppo annunciato che questo sarà il suo ultimo film, si spera che ci ripensi.
Trovate la recensione completa del film cliccando qui.
The Hunt (Craig Zobel, 2020)
Sulla trama di questo preferiamo non dire troppo, perchè è un bel film ma semi-sconosciuto in Italia (leggi qui la nostra recensione), e inoltre è un tipo di storia che vive molto di scoperta (d’altronde alla sceneggiatura c’è il Damon Lindelof che ha scritto Lost).
La pellicola, che è un adattamento del racconto La partita più pericolosa, scritto da Richard Connell nel 1924, parte come un classico survival game (a la Hunger Games per capirci) per poi evolvere presto in qualcos’altro.
Ancora più interessante della storia del film è la storia della sua distribuzione.
Il 7 agosto 2019 la Universal ha annunciato che, dopo la strage di Dayton e la strage di El Paso, avrebbe sospeso la campagna promozionale del film.
Alcuni giorni dopo il film è stato ritirato dal calendario di uscita dello studio. Il film è stato infine distribuito nelle sale statunitensi il 13 marzo 2020 (mentre in Italia viene distribuito direttamente in video on demand il 27 marzo 2020 a causa della pandemia di COVID-19).
Ma qui la storia si fa particolare.
The Hollywood Reporter ha scritto che ci sono state un paio di proiezioni di prova per il film che hanno avuto “reazioni negative”.
La seconda proiezione si è tenuta il 6 agosto 2019, a Los Angeles, e “gli spettatori hanno espresso ancora una volta il loro disagio con la politica”, un problema che Universal non aveva previsto (anche se altri studi avevano inizialmente rifiutato la sceneggiatura proprio per questo motivo).
In una dichiarazione a Variety, Universal ha smentito questa ricostruzione e ha anche contrastato le affermazioni secondo cui la sceneggiatura aveva originariamente un titolo politicamente polemico:
Mentre alcuni media hanno indicato che le proiezioni di prova per The Hunt hanno avuto un feedback negativo del pubblico; in realtà, il film è stato accolto molto bene e ha ottenuto uno dei più alti punteggi di prova per un film originale della Blumhouse.
Inoltre, nessun spettatore presente alla proiezione di prova ha espresso disagio per qualsiasi discussione politica nel film.
Mentre gli articoli dicono che The Hunt era precedentemente intitolato Red State vs. Blue State, non è mai stato il titolo provvisorio del film in nessun punto del processo di sviluppo, né è apparso su alcun documento di stato con quel nome.
Per capirci, con Red State e Blue State si intendono “stati repubblicani” e “stati democratici”, quindi cominciò a girare la voce che il film parlasse di un conflitto ideologico interno agli Stati Uniti.
Prima della sua uscita, il film è stato oggetto di critiche da parte di alcuni media come un presunto ritratto di liberali elitari che cacciano i sostenitori di Donald Trump.
E Mr President in persona addirittura si espresse al riguardo.
Con un tweet postato il 9 agosto 2019, dichiarò:
La Hollywood liberale è razzista al massimo livello. Il film in uscita è fatto per infiammare e causare il caos. Creano loro stessi la violenza e poi cercano di incolpare gli altri.
Come potrete notare, il tycoon non ha davvero nominato precisamente The Hunt, ma parliamoci chiaro…
La notte del giudizio – Election Year (James DeMonaco, 2016)
Il terzo capitolo della fortunata saga di James DeMonaco entra più dentro alla mitologia di questi distopici Stati Uniti governati dai “Nuovi Padri Fondatori”.
La protagonista del film è la senatrice Charlene Roan (Elizabeth Mitchell), candidata alla presidenza degli Stati Uniti, determinata ad abolire per sempre “Lo Sfogo”, ovvero la legge che sancisce che una notte all’anno (dalle 7 di sera alle 7 di mattina) possono essere compiuti tutti i crimini, permettendo così ai Nuovi Padri Fondatori, il gruppo che sta al governo, di liberarsi dei poveri e delle minoranze, con la scusa di aver concesso agli americani il diritto di sfogarsi.
Ovviamente agli antagonisti della senatrice, la sua candidatura non va giù e, sentendo puzza di sconfitta, decidono di ucciderla approfittando della notte dello sfogo, incontrando però la resistenza del suo bodyguard, Leo Barnes (Frank Grillo), già protagonista del secondo film.
Il film è in generale sufficiente e intrattiene con alti e bassi, ma merita senza dubbio una grossa menzione speciale l‘ottimo finale (che non sveleremo, ma ha in qualche modo previsto un certo evento accaduto anni dopo l’uscita del film).
American Psycho (Mary Harron, 2000)
Concludiamo con quella che possiamo considerare una storia di origini.
Fin’ora abbiamo parlato di film ambientati in un America distopica, ma ora andiamo a indagare l’uomo, in un America passata ma reale.
Non ha certo bisogno di presentazioni il cult diretto da Mary Harron, ispirato all’omonimo romanzo di Bret Easton Ellis (di cui tra qualche anno uscirà un ulteriore adattamento).
Il protagonista è Patrick Bateman, interpretato da un monumentale Christian Bale, classico yuppie anni 80 di “Agnelliana” memoria (per dare un riferimento italico) caratterizzato da mancanza totale di empatia e riguardo per la vita umana, e ossessionato solo dalle yuppie-cose, come mostrato nella famosa scena (divenuta meme) della business card.
Tra le ossessioni del nostro investitore matto c’è quella di vedere dappertutto riferimenti a Trump (come la moglie o la sua macchina) e di riuscire nell’impossibile impresa di prenotare un tavolo in un ristorante molto preciso: il Dorsia.
Il motivo?
E’ il ristorante preferito del suo idolo e fonte d’ispirazione.
Di nuovo, ‘Nuff said.
Menzione speciale: Yuppies – I giovani di successo (Carlo Vanzina, 1986)
Probabilmente Trump non lo ha visto, ma sicuramente gli piacerebbe.
Michael Moore e il suo amore per Donald Trump
Merita una menzione extra il grande Michael Moore, uno dei migliori narratori di ciò che sono gli Stati Uniti d’America, sia a livello culturale che politico.
Il documentarista del Michigan ha analizzato il fenomeno Trump con ben due documentari.
Michael Moore in Trumpland (Michael Moore, 2016)
Documentario registrato durante due serate in cui Michael Moore ha incontrato i sostenitori di Trump in Ohio, che è considerata la “roccaforte di Trump” (appunto Trumpland).
Fahrenheit 11/9 (Michael Moore, 2018)
Con un titolo che riprende il documentario che fece su George W. Bush, Fahrenheit 9/11, questo “sequel” si concentra su come sia stato possibile che un uomo come Trump possa aver vinto le elezioni presidenziali.
A questo punto è auspicabile un ulteriore sequel.
Il Presidente Soldato d’Inverno: The Apprentice (Ali Abbasi, 2024)
Per concludere, menzioniamo un film che, a differenza di American Psycho di cui abbiamo parlato prima, è davvero una storia di origini.
The Apprentice racconta gli inizi di carriera di Donald Trump (interpretato dal Soldato d’Inverno Sebastian Stan) mentre, come si suole dire, impara il mestiere stando sotto l’ala protettrice dell’avvocato newyorkese Roy Cohn, noto maccartista interpretato da Jeremy Strong.
Il film, uscito nelle nostre sale il 17 ottobre, è stato oggetto di un contenzioso da parte di uno degli investitori che ha finanziato il film, Daniel Snyder, sostenitore delle campagne elettorali di Trump che non aveva capito di star dando soldi ad un film che in realtà era critico verso il suo socio.
Che tristezza.
La stagione finale di The Boys degli Stati Uniti
Concludiamo augurando a Patriota di The Boys al nuovo Presidente degli Stati Uniti (che sicuramente ci legge) un buon finale di serie mandato, che possa durare in eterno.
Anche perchè ha promesso che questa sarebbe stata “l’ultima volta che gli americani voteranno”, quindi insomma…
E’ effettivamente un finale di serie.