La storia di quello che accadde in Italia in seguito all’attuazione delle leggi razziali del 1938; il profilo di un popolo millenario e di una nazione, la nostra, ancora in fieri.
Era il 1938 e il popolo italiano, che non era tradizionalmente antisemita, fu spinto dalla propaganda fascista ad accettare la persecuzione di una minoranza che viveva pacificamente in Italia da secoli. Come fu possibile tutto questo? E quanto sappiamo ancora oggi di quel momento storico?
In occasione dell’80° anniversario della promulgazione delle leggi razziali in Italia, la Tangram Film di Roberto e Carolina Levi ha realizzato in collaborazione con Sky Arte, Piemonte Film Fund, MiBACT, AB Groupe e AAMOD il documentario “1938, Diversi” scritto da Giorgio Treves e Luca Scivoletto per la regia di Giorgio Treves. Il documentario è stato presentato alla recentissima Biennale di Venezia 2018.
“1938, Diversi” vuole ripercorrere ciò che comportò per la popolazione, ebraica e non, l’attuazione di quelle leggi e, in particolare, i sottili meccanismi di persuasione messi in opera dal fascismo.
Il 14 luglio 1938, “Il Giornale d’Italia” pubblicava il Manifesto della Razza, redatto e firmato da sedicenti scienziati italiani che stabiliva inconfutabilmente la suddivisione dell’umanità in razze, l’esistenza di una razza italiana pura e la non appartenenza degli ebrei alla razza Italica.
I filmati d’epoca scorrono e mostrano come in Italia il Fascismo si sia sempre collocato e strutturato in una strumentale continuità storica della stirpe romano-italica, di cui rappresenta l’approdo evolutivo e di cui la matrice cattolica ha costituito il formidabile collante da cui l’ebreo restava alieno, minaccia per la società italiana che ‘a ragione’ lo rigettava come corpo estraneo, straniero.
“1938, Diversi” riporta al centro del discorso pubblico un’eredità politica pesante. Il documentario illustra come la componente del razzismo sia presente nel regime fascista fin dal suo inizio, per tradursi poi nella militarizzazione del popolo italiano, nell’esaltazione della romanità, nella conquista dell’Africa Orientale e infine nelle leggi antisemite e nell’alleanza con Hitler.
Verrebbe da chiedersi “diversi da chi?”. Essere tacciati di diversità e di estraneità quando in realtà si è Italiani a tutti gli effetti, non deve esser facile da digerire.
Gli ebrei sono da secoli ben radicati in Italia, ottimamente integrati nella popolazione di cui hanno adottato gli usi e costumi che più si confacevano alle loro radici. Sono sorte cosi negli anni delle comunità, come quella romana ad esempio, che sono parte integrante del tessuto sociale e culturale, senza soluzione di continuità.
Per fortuna, il popolo Italico, non la nomenclatura, diede prova di coraggio oltre che di astuzia e creatività; in barba alle leggi razziali e ai controlli dei caporioni dell’epoca molti si prodigarono nell’ospitare centinaia di bambini e di famiglie fuggitive.
Se non ci fu un pronunciamento ufficiale della Chiesa Cattolica contro lo sterminio e la follia onnipotente di Hitler, centinaia di sacerdoti e religiosi salvarono letteralmente la vita a chi consideravano Italiani proprio come loro, oppressi, proprio come lo furono i primi cristiani (anche se parliamo di numeri diversi), in pericolo e bisognosi di tutto proprio come il viandante a Gerico, spogliato dai briganti, snobbato dai più e aiutato dal buon samaritano.
A dimostrazione che il ruolo del povero e del prodigo possono alternarsi senza preavviso. Ogni giorno possiamo diventare più miseri, ogni giorno possiamo essere noi i buon samaritani per qualcun altro.
È divertente notare un paradosso che si rivela peraltro inquietante: passano le epoche, i secoli, le culture, le civiltà ma l’uomo rimane sempre lo stesso. I potenti si scambiano di ruolo, ma vi saranno sempre aggressori e perseguitati, laidi indifferenti e buon samaritani accorti e caritatevoli.
La lotta al diverso non conosce quartiere. Oggi come allora, questo appellativo ci interroga. L’epiteto riguarda sempre qualcuno un po’ più su o un po’ più in giù di noi sulla scala sociale. Gli omosessuali, gli ebrei, i massoni, le donne negli anni ’50 e praticamente fin quasi all’altro ieri. E domani? Chi saranno i diversi di domani?
Prender le distanze dalla norma, da ciò che è nella media e che spesso invece diventa mediocre, rende diversi. Il pensiero, quello autentico, indipendente, è l’espressione della diversità ontologica dell’uomo.
Per fortuna ogni uomo nasce distinto e diverso da tutti gli altri uomini sulla faccia della terra. Perché anche in questo si riconosce il valore di una vita, nel sentirsi unici e insostituibili. Portatori di un valore assoluto, come pezzi rari di una collezione di scacchi, ciascuno prezioso a modo suo.
Per questo, dovremmo imparare un nuovo modo di sentire, che non esclude ma anzi contempla il diverso. Dovremmo abituarci, tutti, nessuno escluso, ad essere fieri della propria piccola o grande diversità.
L’adolescenza dell’umanità volge al termine. Dopo le grandi civiltà, i reami e gli ori, la sapienza assoluta presto relativizzata, le tradizioni, i “compagnonaggi”, ci stiamo ora approssimando verso nuove volute, in cerca di una nuova “rinascenza”. Per combattere l’aridità di un post moderno arido e “quelconque”.
Dovrà sorgere, speriamo, un’alba nuova, un nuovo regno sotto il sole, dove ogni essere umano potrà sentirsi libero di vivere e rispettare fin nel profondo la propria e altrui essenza.
Uguali nei diritti, diversi per valore, uniti nello sforzo comune di umanizzare la nostra società. Per costruire, insieme, un viver migliore. Grazie soprattutto alle molteplici sfaccettature di una infinita e sempre verde diversità.