Non poteva essere altrimenti; con un regista come Martin Scorsese, attori come Robert De Niro (produttore del film assieme al regista), Joe Pesci, Al Pacino, Harvey Keitel, oltretutto attori storici di Scorsese, non poteva che essere un capolavoro. Il cinema attuale ci ha abituati a belle storie senza lo straccio di una regia; ebbene, questa è una bella storia, ma la regia lo è ancor di più. Un film tenuto saldamente in mano da chi sa cosa fare, senza che storie e personaggi scappino di mano e si aggirino per chissà dove. Il fatto che siano tutti, attori e regista, italoamericani potrebbe far pensare a un film sulla mafia. Indovinato. Questo è l’ennesimo film sulla mafia. Anche se “ennesimo”, trattandosi di Scorsese, non si può proprio dire. A questo punto viene da pensare che Salvini non abbia poi torto sulla supremazia degli italiani (siamo ironici, ovviamente): gli immigrati nel nostro paese riescono a stento a organizzare qualche furtarello, un ridicolo giro di spaccio, un po’ di prostituzione che sono, comunque, subordinati alla mafia locale. I nostri immigrati hanno portato negli Stati Uniti una cosa grandiosa come la Mafia, che ha creato un immaginario, ma anche un indotto. Pensate quanto Hollywwod sia in debito con la mafia: senza la strage di San Valentino non ci sarebbe stato A qualcuno piace caldo. Senza i grandi mafiosi italoamericani non ci sarebbe stato Il Padrino, 1, e 3, L’onore dei Prizzi, Gli intoccabili, C’era una volta in America che, fra l’altro, rammenta molto The Irishman (beh, ovviamente è il contrario) o, più probabilmente viene spesso citato. Quindi, a buon diritto, possiamo vantarci di essere un popolo di santi, poeti, navigatori e mafiosi.
Il film è stato tratto dal saggio sulla vita di Frank Sheeran L’irlandese. Ho ucciso Jimmy Hoffa di Charles Brandt. Quindi si tratta di storie vere. Nei panni di Sheeran c’è Robert De Niro, il boss della mafia Russel Bufalino è Joe Pesci, che è stato convinto ad accettare il ruolo proprio per le insistenze di De Niro, mentre Jimmy Hoffa è interpretato da Al Pacino, in grandissima forma; fra i tre quello che mi è piaciuto di più e ci tengo a precisare che non sono mai stata una sua gande fan. Hoffa era il presidente di un sindacato, la International Brotherhood of Teamsters; scomparve nel 1975 e di lui non se ne seppe più nulla. La cosa che più mi ha colpito di Al Pacino in The Irishman è la sua estrema somiglianza un po’ con Jon “Bowzer” Bauman, ma sopratutto con Paul McCartney. Sarà per questo che mi è rimasto così simpatico.
Ma mettiamo da parte gli scherzi e guardiamo al film
Come è stato detto e ridetto il film era stato rifiutato dalle majors per via del budget altissimo: già si parlava di 100 milioni di dollari che poi si sono trasformati in 140 milioni di dollari per pagare gli effetti speciali che hanno permesso di ringiovanire di trent’anni i protagonisti. Soldi ben spesi, se si pensa ai film dove grandi attori attempati, per i flash back, sono stati interpretati da giovani di belle speranze, ma senza un briciolo di talento. Ci sono anche stati casi di due grandi attori che interpretano lo stesso personaggio a età diverse, per esempio proprio Don Vito Corleone che da vecchio è Marlon Brando e da giovane è Robert De Niro, ma non si somigliano per niente. Si poteva evitare di spendere tanto? Sì, forse, ma il cinema è anche sperimentazione: ricordiamo gli effetti speciali di Uccelli di Hitchcock, costati un occhio della testa, ma che poi sono stati fonte d’ispirazione per innumerevoli film successivi. Poi se si pensa che l’Italia ogni anno ha oltre 25 miliardi di euro di spesa militare, quella degli USA è addirittura di 1379 miliardi di dollari, Scorsese i suoi soldi li ha spesi meglio.
Il fatto che la storia narrata abbia una forte pretesa di verità ci fa anche rileggere la storia di alcune figure mitiche da noi, come, per esempio, i fratelli Kennedy. Che J.F.K. sia stato eletto grazie ai brogli della mafia era cosa nota, ma in Italia, siccome era cattolico, era stato tenuto rigorosamente nascosto. Come pure l’affare della baia dei porci, quando gli States fecero la loro prima figuraccia internazionale e rischiarono di far scoppiare la terza guerra mondiale, era un’operazione volta a sdebitarsi con la mafia, che rivoleva i casinò e i bordelli cubani. Nel film si suggerisce anche che fu l’inettitudine di Kennedy rispetto alle aspettative della mafia a condannarlo a morte. Se questo sia vero o no non si sa; se Oswald fosse un folle individualista o fosse manovrato da qualcuno, tipo la mafia, neanche lo sapremo mai, ma non è la prima volta che si sente dire questa cosa. Quindi la vita di Sheeran diventa la vita di un paese, vista con gli occhi del microcosmo mafioso. E forse sta un po’ qui il limite del film, che poi è il limite di quasi tutti i film sulla mafia: i mafiosi stanno simpatici. Joe Pesci è il nonno che tutti vorrebbero avere, De Niro poi è un attore troppo amato per far paura, ci sarebbe voluto un villain di professione. Poi l’unico personaggio che disprezza e teme i mafiosi è Peggy, la figlia maggiore di Frank, che fin da bambina osserva e capisce e che, una volta scoperto il delitto del padre, lo rifiuta. Se guardiamo a un film, in un certo modo analogo, Il traditore, c’è Buscetta che sta simpatico, ma gli altri mafiosi sono vere carogne che non piacciono a nessuno.
The Irisman è un film perfetto dal punto di vista tecnico e artistico, quindi regia, recitazione, fotografia, meritatamente destinato all’Oscar, e racchiude tutto il meglio di Scorsese; è un gangster movie che non manca di ironia e di elementi surreali, un film che ripesca tante scene dei film indimenticabili del regista, tra cui ovviamente Taxi Driver (con un De Niro imbestialito che urla “Get in the fucking car” sembra di rivedere Travis), e che non manca di momenti a dir poco comici, di cui protagonista è quasi sempre Al Pacino, che in questo film mi ha ricordato moltissimo Walter de Il grande Lebowski: stesse manie, stessa irascibilità, stesso modo di fare. Un personaggio perfetto, che è già diventato cult.